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giovedì 22 settembre 2011
Top(a) five di Marco Travaglio
(vignetta SARX88-Il Fatto-22.09.11)
Classifica (provvisoria) delle migliori cazzate del e sul Cavalier Patonza.
1) Il primo posto va alle reazioni del Pdl, dunque del Giornale e di Libero sul trasferimento dell’inchiesta a Roma. “Woodcock ha fallito. Il gip smaschera l’inganno: la competenza è di Roma, ma ormai B. è già stato infangato” (Il Giornale). “Silvio sputtanato da pm incompetenti. Ora chi paga?”. A parte che a pagare (Lavitola e Tarantini) ha già provveduto B., il gip Amelia Primavera che ha trasferito l’inchiesta è lo stesso che aveva disposto gli arresti: all’inizio infatti la competenza, non sapendo dove si era consumato il reato, era della Procura che l’aveva scoperto, cioè di Napoli. Solo dopo, gli interrogati e il memoriale di B. hanno sostenuto che i versamenti sono avvenuti a Roma. Dunque indagine e arresti erano perfettamente legittimi e, soprattutto, i fatti emersi restano uguali, che a giudicarli sia Napoli o Roma. Questi somari pensano che, se uno ammazza la moglie, lo arrestano a Napoli e poi si scopre che l’ha uccisa a Roma, la donna resusciti solo perché il processo si fa a Roma.
2) Ghedini rivela ai pm: “Il Presidente ha una solidarietà istintiva verso tutti coloro che vengono toccati da vicende giudiziarie, per un riflesso condizionato”. E ai riflessi non si comanda. Lui, per dire, legge che un tizio finisce in carcere per aver stuprato una bambina? Gli sorge subito una solidarietà istintiva. Per il tizio, non per la bimba. Catturano Provenzano? Altro riflesso e zac!, scatta la solidarietà istintiva (se poi non scatta, gliela fa scattare Dell’Utri). Arrestano una banda di rapinatori di banche? Di riflesso, gli vien voglia di abbracciarli, o magari di candidarli.
3) B. spiega a Gianpi la presenza, davvero bizzarra, di Rossella e Del Noce alle ammucchiate. I due fanno da esca (“così le ragazze sentono che c’è qualcuno che ha il potere di farle lavorare... Rossella, presidente di Medusa, e Fabrizio Del Noce, direttore di Rai1 e responsabile di tutta la fiction Rai, possono far lavorare chi vogliono... decidere del loro destino”). E poi “Rossella c’ha una ragazza che canta in Vaticano, molto brava”. Non bastasse la benedizione delle tette minette col crocifisso presidenziale, ecco la corista che balla la lapdance cantando il bungabunga in gregoriano. Si sa che in Vaticano a queste cose ci tengono.
4) Terry De Nicolò e Olindo Sallusti a L’ultima parola, ex aequo. Trarco Mavaglio su youtube evidenzia le loro strabilianti somiglianze: non fisiche, filosofiche. Terry, escort: “Se sei bella e vuoi venderti devi poterlo fare. La bellezza ha un valore e dev’essere pagata. Se sei racchia e fai schifo, stai a casa. Da che mondo è mondo è così, Tarantini non ha scoperto l’acqua calda. Il sistema esiste da tantissimi anni. A sinistra sono loffi e non pagano, lui invece alla grande”. Sallusti, giornalista a sua insaputa: “Stasera abbiamo scoperto che esiste la prostituzione. Ma le escort ci sono dall’antica Roma! Poi le più fortunate e depravate riescono ad arrivare ad Arcore. Ma la porta di Arcore la varcano anche altre persone: B. ogni anno paga 30 milioni a tante persone, anche missionari”. Ciò che conta è la posizione del missionario, sempre in omaggio alla Santa Sede.
5) Ghedini svela che Lavitola voleva un posto da deputato, però “io, visto che la stampa di cui godeva non era straordinaria, avevo sconsigliato, e il dr. Letta in maniera ancor più vivace di me. La reazione di Lavitola non fu particolarmente piacevole: voleva bastonarmi fisicamente”. A parte l'immagine di Letta “vivace”, anzi “ancor più vivace” di Ghedini, che appartiene al regno del fantasy visto che i due hanno meno vivacità di un termosifone spento, è bello sapere che vegliano sull’illibatezza delle liste per escluderne chi gode di “stampa non straordinaria”. Se ne son fatti sfuggire qualche migliaio, ma pazienza. Almeno si spiega perché B. disse a Lavitola, già armato di bastone, “rimani all’estero”: temeva di dover cambiare un’altra volta avvocato.
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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Classifica (provvisoria) delle migliori cazzate del e sul Cavalier Patonza.
1) Il primo posto va alle reazioni del Pdl, dunque del Giornale e di Libero sul trasferimento dell’inchiesta a Roma. “Woodcock ha fallito. Il gip smaschera l’inganno: la competenza è di Roma, ma ormai B. è già stato infangato” (Il Giornale). “Silvio sputtanato da pm incompetenti. Ora chi paga?”. A parte che a pagare (Lavitola e Tarantini) ha già provveduto B., il gip Amelia Primavera che ha trasferito l’inchiesta è lo stesso che aveva disposto gli arresti: all’inizio infatti la competenza, non sapendo dove si era consumato il reato, era della Procura che l’aveva scoperto, cioè di Napoli. Solo dopo, gli interrogati e il memoriale di B. hanno sostenuto che i versamenti sono avvenuti a Roma. Dunque indagine e arresti erano perfettamente legittimi e, soprattutto, i fatti emersi restano uguali, che a giudicarli sia Napoli o Roma. Questi somari pensano che, se uno ammazza la moglie, lo arrestano a Napoli e poi si scopre che l’ha uccisa a Roma, la donna resusciti solo perché il processo si fa a Roma.
2) Ghedini rivela ai pm: “Il Presidente ha una solidarietà istintiva verso tutti coloro che vengono toccati da vicende giudiziarie, per un riflesso condizionato”. E ai riflessi non si comanda. Lui, per dire, legge che un tizio finisce in carcere per aver stuprato una bambina? Gli sorge subito una solidarietà istintiva. Per il tizio, non per la bimba. Catturano Provenzano? Altro riflesso e zac!, scatta la solidarietà istintiva (se poi non scatta, gliela fa scattare Dell’Utri). Arrestano una banda di rapinatori di banche? Di riflesso, gli vien voglia di abbracciarli, o magari di candidarli.
3) B. spiega a Gianpi la presenza, davvero bizzarra, di Rossella e Del Noce alle ammucchiate. I due fanno da esca (“così le ragazze sentono che c’è qualcuno che ha il potere di farle lavorare... Rossella, presidente di Medusa, e Fabrizio Del Noce, direttore di Rai1 e responsabile di tutta la fiction Rai, possono far lavorare chi vogliono... decidere del loro destino”). E poi “Rossella c’ha una ragazza che canta in Vaticano, molto brava”. Non bastasse la benedizione delle tette minette col crocifisso presidenziale, ecco la corista che balla la lapdance cantando il bungabunga in gregoriano. Si sa che in Vaticano a queste cose ci tengono.
4) Terry De Nicolò e Olindo Sallusti a L’ultima parola, ex aequo. Trarco Mavaglio su youtube evidenzia le loro strabilianti somiglianze: non fisiche, filosofiche. Terry, escort: “Se sei bella e vuoi venderti devi poterlo fare. La bellezza ha un valore e dev’essere pagata. Se sei racchia e fai schifo, stai a casa. Da che mondo è mondo è così, Tarantini non ha scoperto l’acqua calda. Il sistema esiste da tantissimi anni. A sinistra sono loffi e non pagano, lui invece alla grande”. Sallusti, giornalista a sua insaputa: “Stasera abbiamo scoperto che esiste la prostituzione. Ma le escort ci sono dall’antica Roma! Poi le più fortunate e depravate riescono ad arrivare ad Arcore. Ma la porta di Arcore la varcano anche altre persone: B. ogni anno paga 30 milioni a tante persone, anche missionari”. Ciò che conta è la posizione del missionario, sempre in omaggio alla Santa Sede.
5) Ghedini svela che Lavitola voleva un posto da deputato, però “io, visto che la stampa di cui godeva non era straordinaria, avevo sconsigliato, e il dr. Letta in maniera ancor più vivace di me. La reazione di Lavitola non fu particolarmente piacevole: voleva bastonarmi fisicamente”. A parte l'immagine di Letta “vivace”, anzi “ancor più vivace” di Ghedini, che appartiene al regno del fantasy visto che i due hanno meno vivacità di un termosifone spento, è bello sapere che vegliano sull’illibatezza delle liste per escluderne chi gode di “stampa non straordinaria”. Se ne son fatti sfuggire qualche migliaio, ma pazienza. Almeno si spiega perché B. disse a Lavitola, già armato di bastone, “rimani all’estero”: temeva di dover cambiare un’altra volta avvocato.
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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mercoledì 13 luglio 2011
I ladri della Patria di Marco Travaglio
(vignetta Natangelo-Il Fatto Quotidiano)
In questi giorni di angoscia per i bollettini di guerra di Piazza Affari, non c’è nulla di meglio, per tirarsi un po’ su di morale, che la lettura dei giornali. I bollettini di Mediaset, Il Giornale e Libero, hanno le idee chiare sul vero motivo delle turbolenze di Borsa: non la crescita zero del Paese e la credibilità zero del governo, ma la sentenza Mondadori e, dietro, la solita terribile sinistra che riesce addirittura a pilotare “gli speculatori per mandare a casa il premier”. Le vecchie volpi rosse hanno colpito ancora: una ne fanno e cento ne pensano. Non per nulla, grazie a loro, ci siamo ciucciati 50 anni di Democrazia cristiana e 17 di Berlusconi. Il meglio, però, sono le soluzioni miracolose che dovrebbero prodigiosamente salvarci dal default (ma la maggioranza non era “solida e coesa”? ma i conti pubblici non erano “in ordine”? ma la manovra non era “severa ma equa”?): l’immancabile “dialogo” tra governo e opposizione auspicato dall’ermo Colle e lubrificato dal solito Letta. Il quale – scrive il sempre urticante Verderami sul Corriere – “rientra in gioco” come “ufficiale di collegamento per Palazzo Chigi nelle relazioni con il Colle e con le forze di opposizione”, insomma “si riappropria della cabina di regia politica di Palazzo Chigi”, mentre Tremonti è out per le “vicende giudiziarie”. Invece, com’è noto, Letta con le vicende giudiziarie non c’entra: i fondi neri Iri li incassava Pulcinella, le tangenti Fininvest ai politici le portava la cicogna, Bertolaso e la cricca riferivano alla befana, Bisignani sussurrava all’orecchio di mia zia. L’idea che nelle alte sfere si conti di scongiurare la tempesta finanziaria aumentando le dosi di saliva e vaselina di Letta-Letta, la dice lunga su come siamo ridotti. Lo sanno anche i bambini che il crollo dei titoli di Stato, anche se frutto di diaboliche manovre speculative, non dipende tanto dai fatti e da numeri, quanto da fattori psicologici come l’affidabilità e la reputazione di chi dovrebbe risanare i conti. Un Paese derubato per 70 miliardi l’anno dalla corruzione, per 130 dall’evasione e per 150 dalle mafie, ma governato da un imputato per evasione e per corruzione per giunta amico di noti mafiosi. Il problema dunque non è l’opposizione, che fra l’altro non è mai esistita. È il governo. Il premier è il politico più sputtanato dell’universo, detto anche “utilizzatore finale” di prostitute (Ghedini), “culo flaccido” (Minetti), “malato” (Veronica e Briatore”), “corruttore attivo” (sentenza Mondadori). Letta è Letta. Tremonti aveva affidato tutte le chiavi – delle nomine, delle Ferrari e dell’appartamento – a tal Milanese, ora a un passo dalla galera. Alla Giustizia c’è un fumetto di nome Alfano, che in tre anni non ha combinato una beneamata mazza, lasciando alla deriva tribunali, procure e carceri e ora si crede il segretario del Pdl. A proposito di giustizia, alcuni ministri sono inseguiti dalla gendarmeria: Fitto, imputato per associazione a delinquere, corruzione e altre cosette; Matteoli, imputato impunito per favoreggiamento; Romano, primo caso di ministro imputato per mafia; Maroni, ministro dell’Interno, che prima mena i poliziotti poi li manda a menare i manifestanti; Bossi, quello delle Riforme, pregiudicato per mazzette e istigazione a delinquere, che ormai parla solo col dito medio (il famoso digitale terrestre); e alcuni “ex” da tempo irreperibili, come Brancher, Scajola, Bertolaso, Cosentino. Poi c’è l’angolo del cabaret: il ministro Frattini Dry, noto come “il fattorino” nei cablo dell’ambasciata Usa; il mini-stro Brunetta, apostrofato “cretino” dal collega Tremonti mentre il collega Sacconi assicura “io manco lo sto a sentire”; la Prestigiacomo – “la matta”, per il collega Romani – che come la Carfagna e la Gelmini era in perenne pellegrinaggio al santuario di San Bisi; e la Brambilla, simpaticamente considerata “la più mignotta di tutte” dal buongustaio piduista. Più che un governo, una comunità di recupero. E il problema sarebbe la mancanza di “dialogo”? Ma andè a ciapà i ratt.
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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In questi giorni di angoscia per i bollettini di guerra di Piazza Affari, non c’è nulla di meglio, per tirarsi un po’ su di morale, che la lettura dei giornali. I bollettini di Mediaset, Il Giornale e Libero, hanno le idee chiare sul vero motivo delle turbolenze di Borsa: non la crescita zero del Paese e la credibilità zero del governo, ma la sentenza Mondadori e, dietro, la solita terribile sinistra che riesce addirittura a pilotare “gli speculatori per mandare a casa il premier”. Le vecchie volpi rosse hanno colpito ancora: una ne fanno e cento ne pensano. Non per nulla, grazie a loro, ci siamo ciucciati 50 anni di Democrazia cristiana e 17 di Berlusconi. Il meglio, però, sono le soluzioni miracolose che dovrebbero prodigiosamente salvarci dal default (ma la maggioranza non era “solida e coesa”? ma i conti pubblici non erano “in ordine”? ma la manovra non era “severa ma equa”?): l’immancabile “dialogo” tra governo e opposizione auspicato dall’ermo Colle e lubrificato dal solito Letta. Il quale – scrive il sempre urticante Verderami sul Corriere – “rientra in gioco” come “ufficiale di collegamento per Palazzo Chigi nelle relazioni con il Colle e con le forze di opposizione”, insomma “si riappropria della cabina di regia politica di Palazzo Chigi”, mentre Tremonti è out per le “vicende giudiziarie”. Invece, com’è noto, Letta con le vicende giudiziarie non c’entra: i fondi neri Iri li incassava Pulcinella, le tangenti Fininvest ai politici le portava la cicogna, Bertolaso e la cricca riferivano alla befana, Bisignani sussurrava all’orecchio di mia zia. L’idea che nelle alte sfere si conti di scongiurare la tempesta finanziaria aumentando le dosi di saliva e vaselina di Letta-Letta, la dice lunga su come siamo ridotti. Lo sanno anche i bambini che il crollo dei titoli di Stato, anche se frutto di diaboliche manovre speculative, non dipende tanto dai fatti e da numeri, quanto da fattori psicologici come l’affidabilità e la reputazione di chi dovrebbe risanare i conti. Un Paese derubato per 70 miliardi l’anno dalla corruzione, per 130 dall’evasione e per 150 dalle mafie, ma governato da un imputato per evasione e per corruzione per giunta amico di noti mafiosi. Il problema dunque non è l’opposizione, che fra l’altro non è mai esistita. È il governo. Il premier è il politico più sputtanato dell’universo, detto anche “utilizzatore finale” di prostitute (Ghedini), “culo flaccido” (Minetti), “malato” (Veronica e Briatore”), “corruttore attivo” (sentenza Mondadori). Letta è Letta. Tremonti aveva affidato tutte le chiavi – delle nomine, delle Ferrari e dell’appartamento – a tal Milanese, ora a un passo dalla galera. Alla Giustizia c’è un fumetto di nome Alfano, che in tre anni non ha combinato una beneamata mazza, lasciando alla deriva tribunali, procure e carceri e ora si crede il segretario del Pdl. A proposito di giustizia, alcuni ministri sono inseguiti dalla gendarmeria: Fitto, imputato per associazione a delinquere, corruzione e altre cosette; Matteoli, imputato impunito per favoreggiamento; Romano, primo caso di ministro imputato per mafia; Maroni, ministro dell’Interno, che prima mena i poliziotti poi li manda a menare i manifestanti; Bossi, quello delle Riforme, pregiudicato per mazzette e istigazione a delinquere, che ormai parla solo col dito medio (il famoso digitale terrestre); e alcuni “ex” da tempo irreperibili, come Brancher, Scajola, Bertolaso, Cosentino. Poi c’è l’angolo del cabaret: il ministro Frattini Dry, noto come “il fattorino” nei cablo dell’ambasciata Usa; il mini-stro Brunetta, apostrofato “cretino” dal collega Tremonti mentre il collega Sacconi assicura “io manco lo sto a sentire”; la Prestigiacomo – “la matta”, per il collega Romani – che come la Carfagna e la Gelmini era in perenne pellegrinaggio al santuario di San Bisi; e la Brambilla, simpaticamente considerata “la più mignotta di tutte” dal buongustaio piduista. Più che un governo, una comunità di recupero. E il problema sarebbe la mancanza di “dialogo”? Ma andè a ciapà i ratt.
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mercoledì 29 giugno 2011
Socrate è un gatto di Marco Travaglio
(vignetta tratta da mivergognodiessereitaliana)
Proseguono gli scoop degli instancabili segugi di Libero e del Giornale. In stereofonia. Alessandro Sallusti, sul Giornale, attacca i magistrati milanesi che paragonano villa B. a un bordello e accettano come parti civili due miss reduci da un’elegantissima serata arcoriana. “Due ragazze – scrive zio Tibia – una delle quali con precedenti esperienze di sesso a pagamento, riescono a farsi invitare a una serata ad Arcore”. E chissà quanto devono aver penato, le poverette, visto che com’è noto villa San Martino è letteralmente sigillata per impedire l’infiltrazione di belle ragazze. Si saranno intrufolate dal condotto di aerazione. Ma ora Olindo ha la prova del nove che smentisce il “bordello”: una delle due ospiti di Arcore “si prostituiva” quand’era ancora minorenne. Noi, nonostante i nostri rapporti organici con la P4, non sappiamo se sia vero. Ma, se fosse vero, cosa salta in mente a Sallusti di sbattere la notizia in prima pagina? Se non l’ha già fatto Ghedini, ci permettiamo di fargli osservare che la presenza di una prostituta in più ad Arcore non è un alibi, ma un’aggravante per il padrone. Al quale suggeriamo di pregare Sallusti di astenersi dal difenderlo ancora: un altro paio di alibi così, e B. si becca l’ergastolo. Il guaio è che Olindo ha seri guai con la logica aristotelica: per attaccare la Procura di Milano, la chiama “magistratura etica” (forse non sa che etica vuol dire morale, corretta, perbene; o forse, dalle sue parti, questi sono insulti sanguinosi). Poi aggiunge: “Cosa ne sa un magistrato di bordelli? Quando la sera un Pm si ritira a casa sua con l’amica che magari cambia ogni settimana, la sua abitazione come la si definisce? Commette un reato o semplicemente esercita a suo modo le libertà fondamentali e individuali, comprese quelle di divertirsi e fornicare?”. Eppure è tutto molto semplice: il Codice penale punisce chi sfrutta e favoreggia la prostituzione, ma pure gli utilizzatori finali di prostitute minorenni, ai quali un “pacchetto sicurezza” di B. ha persino aumentato le pene. Non sappiamo a quale pm con “amica” alluda Sallusti, ma ce ne sfugge l’attinenza al tema trattato: se una maggiorenne va a letto con un pm senza esservi costretta o pagata, non c’è alcun reato né alcun bordello. Sono concetti elementari, accessibili anche a persone di media intelligenza: ci rifiutiamo di credere che nella redazione del Giornale non ci sia nemmeno un usciere in grado di spiegarli, magari con l’ausilio di qualche disegnino, al direttore. Ma ecco lo scoop di Libero, che non vuol essere da meno del Giornale. L’altroieri Olindo aveva scoperto che la madre di Woodcock e quella di Sandro e Guido Ruotolo erano amiche. Pronta la risposta di Filippo Facci che, tornato in prima pagina dopo la quarantena imposta da Feltri (“cestinare un pezzo di Facci non è censura, è un’opera buona”), sfodera l’argomento decisivo per la “separazione delle carriere dei magistrati”. Un fatto gravissimo: “Un gip di Milano sta per rientrare dalla maternità, e chi è il padre? Un pm di Milano, suo compagno”. Ergo – domanda quel diavolo d’un Facci – “come può un giudice essere indipendente dal padre di suo figlio?”. La stessa questione si pone quando un magistrato si fidanza con un avvocato. E di solito viene risolta evitando che il magistrato si occupi di processi seguiti dall’avvocato. Anche perché le carriere di avvocati e magistrati sono già separate. Invece, per l’aristotelico Facci, contro il fidanzamento fra un gip e un pm non c’è altro da fare che separare le carriere di tutti i giudici da quelle di tutti i pm. Il ragionamento ricorda il falso sillogismo di Ionesco: “Tutti i gatti sono mortali; Socrate è mortale; dunque Socrate è un gatto”. Ora qualcuno potrebbe domandare a Facci, magari sotto il casco del coiffeur: scusa, caro, ma se le carriere di giudici e pm fossero separate, sei proprio sicuro che quel pm non avrebbe messo incinta quella gip? Non è che, niente niente, confondi la separazione delle carriere con la contraccezione?
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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Proseguono gli scoop degli instancabili segugi di Libero e del Giornale. In stereofonia. Alessandro Sallusti, sul Giornale, attacca i magistrati milanesi che paragonano villa B. a un bordello e accettano come parti civili due miss reduci da un’elegantissima serata arcoriana. “Due ragazze – scrive zio Tibia – una delle quali con precedenti esperienze di sesso a pagamento, riescono a farsi invitare a una serata ad Arcore”. E chissà quanto devono aver penato, le poverette, visto che com’è noto villa San Martino è letteralmente sigillata per impedire l’infiltrazione di belle ragazze. Si saranno intrufolate dal condotto di aerazione. Ma ora Olindo ha la prova del nove che smentisce il “bordello”: una delle due ospiti di Arcore “si prostituiva” quand’era ancora minorenne. Noi, nonostante i nostri rapporti organici con la P4, non sappiamo se sia vero. Ma, se fosse vero, cosa salta in mente a Sallusti di sbattere la notizia in prima pagina? Se non l’ha già fatto Ghedini, ci permettiamo di fargli osservare che la presenza di una prostituta in più ad Arcore non è un alibi, ma un’aggravante per il padrone. Al quale suggeriamo di pregare Sallusti di astenersi dal difenderlo ancora: un altro paio di alibi così, e B. si becca l’ergastolo. Il guaio è che Olindo ha seri guai con la logica aristotelica: per attaccare la Procura di Milano, la chiama “magistratura etica” (forse non sa che etica vuol dire morale, corretta, perbene; o forse, dalle sue parti, questi sono insulti sanguinosi). Poi aggiunge: “Cosa ne sa un magistrato di bordelli? Quando la sera un Pm si ritira a casa sua con l’amica che magari cambia ogni settimana, la sua abitazione come la si definisce? Commette un reato o semplicemente esercita a suo modo le libertà fondamentali e individuali, comprese quelle di divertirsi e fornicare?”. Eppure è tutto molto semplice: il Codice penale punisce chi sfrutta e favoreggia la prostituzione, ma pure gli utilizzatori finali di prostitute minorenni, ai quali un “pacchetto sicurezza” di B. ha persino aumentato le pene. Non sappiamo a quale pm con “amica” alluda Sallusti, ma ce ne sfugge l’attinenza al tema trattato: se una maggiorenne va a letto con un pm senza esservi costretta o pagata, non c’è alcun reato né alcun bordello. Sono concetti elementari, accessibili anche a persone di media intelligenza: ci rifiutiamo di credere che nella redazione del Giornale non ci sia nemmeno un usciere in grado di spiegarli, magari con l’ausilio di qualche disegnino, al direttore. Ma ecco lo scoop di Libero, che non vuol essere da meno del Giornale. L’altroieri Olindo aveva scoperto che la madre di Woodcock e quella di Sandro e Guido Ruotolo erano amiche. Pronta la risposta di Filippo Facci che, tornato in prima pagina dopo la quarantena imposta da Feltri (“cestinare un pezzo di Facci non è censura, è un’opera buona”), sfodera l’argomento decisivo per la “separazione delle carriere dei magistrati”. Un fatto gravissimo: “Un gip di Milano sta per rientrare dalla maternità, e chi è il padre? Un pm di Milano, suo compagno”. Ergo – domanda quel diavolo d’un Facci – “come può un giudice essere indipendente dal padre di suo figlio?”. La stessa questione si pone quando un magistrato si fidanza con un avvocato. E di solito viene risolta evitando che il magistrato si occupi di processi seguiti dall’avvocato. Anche perché le carriere di avvocati e magistrati sono già separate. Invece, per l’aristotelico Facci, contro il fidanzamento fra un gip e un pm non c’è altro da fare che separare le carriere di tutti i giudici da quelle di tutti i pm. Il ragionamento ricorda il falso sillogismo di Ionesco: “Tutti i gatti sono mortali; Socrate è mortale; dunque Socrate è un gatto”. Ora qualcuno potrebbe domandare a Facci, magari sotto il casco del coiffeur: scusa, caro, ma se le carriere di giudici e pm fossero separate, sei proprio sicuro che quel pm non avrebbe messo incinta quella gip? Non è che, niente niente, confondi la separazione delle carriere con la contraccezione?
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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martedì 28 giugno 2011
Ci hanno beccati di Marco Travaglio
L’altro giorno è scomparso un maestro di giornalismo, Lamberto Sechi: il suo motto era “i fatti separati dalle opinioni”. Il motto di Belpietro invece è “le balle separate dai fatti e dalle opinioni”, infatti pubblica solo le prime. Tipo i falsi attentati a Fini e a se medesimo. Leggendo Libero, uno scopre sempre particolari della propria vita ignoti persino a se stesso. Domenica, mentre i giornali veri “aprivano” sul capo di Stato maggiore della Finanza indagato, l’house organ degli Angelucci amicucci di Bisignanucci dedicava alla cosuccia 20 righe a pagina 3. La prima e la terza pagina erano occupate dal mio ritrattone in uniforme massonica (collarino, grembiulino e compassi vari) e da due titoloni per illustrare ben altro scoop: “C’è Travaglio dietro la P4”, “È Travaglio la fonte dei segreti della P4”. Se non sapessi che Libero è l’inserto umoristico di Libero, rischierei di montarmi la testa: non ho mai visto né conosciuto né sentito Bisignani, eppure sono la sua fonte, anzi il suo capo occulto. Talmente occulto da non possedere nemmeno il suo numero di cellulare, peraltro noto a cani e porci, ma soprattutto porche. Lo pilotavo con la sola forza del pensiero. Il segugio belpietresco Martino Cervo copia ciò che abbiamo scritto noi e altri giornali veri: Bisi dice di aver appreso dal Fatto l’indagine di Potenza su Letta (poi trasferita a Roma e a Lagonegro). È possibile: il Fatto pubblicò la notizia nel primo numero, il 23 settembre 2009. Ma solo perché gli altri giornali, tutti al corrente di quelle carte da mesi, non avevano osato scrivere una riga. Ma nessuno accusa Bisi di aver spifferato la notizia a Letta, che peraltro la sapeva ben prima che uscisse sul Fatto (i suoi legali erano informati della proroga delle indagini). Semmai i pm accusano Papa di essersi attivato per conto di Bisi per saperne di più alla Procura di Roma. Una persona sana di mente, a questo punto, si domanderà: che c’entra tutto ciò col titolo “C’è Travaglio dietro la P4”? Un po’ di pazienza, perché Libero ha un altro scoop: il 24 settembre 2010 la segretaria di Bisi, Rita, informa il capo che “l’ha cercato quello del Fatto, Barbacetto”. E, annota malizioso il Cervo, “non è neppure detto che il giornalista abbia poi parlato col ‘lobbista’ come chiedeva”. Ma tanto basta per dire che “C’è Travaglio dietro la P4”. Inutile spiegare a questi poveretti che, casomai, ci sarebbe Barbacetto: sempreché avesse spifferato a Bisi “i segreti della P4”. Come si fa a sapere se ci ha parlato? Basta leggere la riga seguente del rapporto investigativo, dove Bisi dice che di parlargli “non me ne frega niente”. E basta leggere le collezioni del Fatto per scoprire che Barbacetto (come Lillo) stava levando la pelle a Bisi in una serie di articoli: correttamente, chiamava la segreteria per avere la sua versione e offrirgli il diritto di replica, come fa ogni buon giornalista (quindi quelli di Libero non c’entrano). Voleva chiedere, non passare qualcosa. È questa la differenza fra un giornalista e un qualcos’altro, anche se è difficile farlo capire ai segugi berlusconidi. Prendete Gian Marco Chiocci del Giornale. L’abbiamo sfottuto per la disavventura al phonecenter per immigrati a Roma dove s’era rifugiato per chiamare Sallusti lontano da orecchi indiscreti, ignaro che il locale era intercettato in un’indagine di droga. Lui ha ricevuto la commossa solidarietà di Franco Viviano, cronista di Repubblica (lo stesso giornale che iscrive Chiocci alla “macchina del fango”). E ora minaccia di trascinarci in tribunale e all’Ordine (quello che ha appena sospeso il suo direttore) per l’accostamento con l’“apprendista spione” Farina, alias Betulla. Ma non è colpa nostra se Farina cercava notizie sul Sismi non per scriverle, ma per girarle al Sismi; e Chiocci cercava notizie sul temuto arresto di Rosa Santanchè non per scriverle, ma per girarle a Olindo Sallusti. Invece noi del Fatto siamo gente strana: le notizie le cerchiamo per pubblicarle. Non siamo proprio i capi della P4, ma ci piacerebbe tanto.
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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sabato 26 marzo 2011
Maglie larghe di Marco Travaglio
Per raccontare l'Italia dell'ultimo ventennio, gli storici del futuro non potranno evitare un capitolo sulla stampa berlusconiana. Cioè alla corrente dadaista del giornalismo italiano rappresentata da Giornale, Libero, Panorama e TgLingua che, pur avari di notizie vere, regalano da anni al Paese grandi momenti di ilarità, buonumore e spensieratezza. Ieri, per esempio, Sallusti titolava in prima pagina: “Benzina più cara? Colpa di Nanni Moretti & C”. Al primo assembrarsi di infermieri sotto la sede del Giornale, qualcuno nota che anche a Libero c'è bisogno urgente di cure. Infatti pure Belpietro titola: “Ci tassano la benzina per pagare i filmetti”. Anche lui ce l'ha col governo che ritocca lievemente le accise per finanziare la guerra di Libia e rinnovare il contratto alle forze dell'ordine; qualche spicciolo andrà anche a ridurre i tagli alla tutela dei beni archeologici, ai musei, ai teatri, agli enti lirici, al Fondo unico per lo spettacolo, alla Biennale e a Cinecittà-Luce. Naturalmente “i filmetti” non c'entrano nulla, tantomeno Moretti che non ha mai chiesto un euro al Ministero e di solito i finanziamenti se li trova all'estero. Ma –si chiederanno gli storici del futuro– i giornali di destra non erano tenuti a verificare le notizie prima di darle? C'era forse una legge che li esentava dal farlo? No, si sono semplicemente garantiti un'ampia franchigia che consente loro di sparare la prima cazzata che passa per la testa, nell'assoluta certezza che nessuno ci fa più caso. Non solo non sono tenuti a scrivere cose vere, ma nemmeno verosimili. Un po' come Aldo Biscardi che, querelato dall'associazione arbitri, si difese così: “Lo sanno tutti che le cose che diciamo al Processo del Lunedì sono poco credibili”. Alla fine fu assolto con la decisiva motivazione che era “troppo poco credibile per poter diffamare qualcuno”. Un'altra caposcuola del surrealismo giornalistico è Maria Giovanna Maglie. Lei gli articoli non li digita al computer: li crivella con raffiche di kalashnikov. L'altroieri, in un delicato editoriale dal titolo “Il fronte di Lampedusa. Ora rischiamo l'invasione dei poligami”, spiega su Libero che a Genova “un macellaio marocchino vuole che gli autorizziamo la terza moglie” e “non sarebbe una scandalosa novità: in Italia ospitiamo graziosamente già 15 mila poligami ufficiali con relative famiglie, conseguenti costi sociali, devastante degrado della nostra civiltà”. Volete mettere, per dire, quei bei monogami italianissimi che sgozzano la moglie (per fortuna unica) tra le quattro mura di casa o molestano le figlie al calduccio del focolare domestico? Ora però, avverte la leggiadra editorialista, “provate a immaginare la stessa prepotente pretesa moltiplicata per la folla che da Lampedusa ci sta occupando e invadendo”. Un poligamo oggi, un poligamo domani e “allora sì che saremo minoranza schiacciata e reietta”, a meno che non si faccia tosto una legge per negare “il permesso di soggiorno a chi non rinuncia alla poligamia”. Com'è noto, i disperati che sbarcano mezzi morti a Lampedusa sono sceicchi travestiti da straccioni che nascondono sotto i cenci un harem di almeno cinque mogli per ciascuno. L'altro giorno il Giornale titolava a tutta prima pagina: “Il golpe dei magistrati” e, oltre a pubblicare le loro mail private, attribuiva loro cose mai scritte né pensate. Ieri uno di quei magistrati, additato come “golpista” solo per aver invitato i colleghi che lavorano al ministero a dimettersi, ha inviato una rettifica che è uscita senza una parola di replica. Evabbè, abbiamo dato del golpista a un giudice che non c'entrava nulla, che sarà mai. Zio Tibia, senza volerlo si capisce, ha anticipato Vauro e Vincino riportando in edicola il Male. Il mitico foglio satirico, nel '78, diffuse false prime pagine di Stampa, Corriere, Giorno e Paese Sera: “Clamoroso arresto di Ugo Tognazzi”, “E' il capo delle Br”, “Anche Vianello nella direzione strategica”. Se lo facesse oggi col Giornale, nessuno noterebbe la differenza.
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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mercoledì 23 marzo 2011
Non avrai altro nano di Marco Travaglio
I pacifisti di destra sono uno spettacolo impagabile. Meglio della foca ammaestrata che palleggia col muso. Ce la mettono tutta, poveretti, per nobilitare la loro battaglia contro l’intervento in Libia per compiacere B., scavalcato da Sarkozy, da Cameron, dai danesi e dal primo che si sveglia la mattina. Ma, essendo nuovi del mestiere, i guerrafondai travestiti da Gandhi non trovano proprio le parole. Come tutti i neofiti, mancano dei fondamentali. Talvolta, sentendosi parlare, scappa da ridere anche a loro. Ferrara, Feltri, Belpietro, Sallusti, Allam, Ostellino e le due vedove inconsolabili di Craxi, Boniver&Maglie. In questi dieci anni si son bevuti di tutto senza un plissè: le palle sulle armi di distruzione di massa, sull’alleanza Saddam-Bin Laden, sulla “guerra al terrorismo” e l’“esportazione della democrazia” e sulla “missione di pace” a Baghdad e Kabul. Han digerito di tutto, senza neanche un ruttino: le torture di Abu Ghraib, gli arresti illegali a Guantanamo, le bombe al fosforo su Falluja, le stragi di centinaia di migliaia di civili. Ora, all’improvviso, in prodigiosa coincidenza con la bottega di B., fremono di sdegno per qualche raid sulla Libia. Ferrara rimpiange “il guerrafondaio Bush”, altro che il mollaccione di Obama. Gli sfugge che in Iraq gli anglo-americani se la son data a gambe e in Afghanistan i talebani sono più forti di prima. Poi definisce l’operazione Libia “politicamente dubbia e ambigua” dovuta all’“attivismo sconsiderato” di Sarkozy: ma lo stesso si può dire di dieci anni di inutili massacri in Iraq e Afghanistan per soddisfare l’invidia del pene di un minus habens come George W. La Maglie, esperta di esteri e note spese, osserva che “Gheddafi con l’islam civettava ma dei fondamentalismi era avversario”: già, esattamente come Saddam. Feltri è contro i raid perché “Gheddafi ce la farà pagare con azioni terroristiche”. Oh bella, è quel che è accaduto a Londra e Madrid proprio a causa della “guerra al terrorismo” di Bush-Blair-B.: ma chi diceva che era meglio starsene a casa era accusato di “subire il ricatto dei terroristi”, anzi di essere amico loro. Magdi Cristiano Allam scrive sul Giornale che “a vincere saranno gli integralisti islamici... l’opposto dei proclami ufficiali di Sarkozy e Obama”. Ma va? Non è quel che è accaduto dopo dieci anni di esportazione della democrazia tra gli applausi di Magdi, di Cristiano e di Allam? Belpietro e Sallusti han tentato, all’inizio, di parlar d’altro (mercoledì titolavano: “Bocchino inguaiato dalla moglie” e “La moglie sbugiarda Bocchino”). Poi han dovuto rassegnarsi a parlare della Libia, facendo lo slalom parallelo con B. Un’escalation impagabile. Il Giornale: “Via alle bombe su Gheddafi”, “Costretti alla guerra”, “Fate in fretta”, “L’Italia si blinda”, “L’Italia bombarda la Francia”. Libero: “Ci mancava solo la guerra al beduino”, “Bombe e affari loschi”, “A loro il petrolio, a noi i clandestini”. Ostellino, quello che minimizzava financo le torture di Abu Ghraib, domanda “che senso ha intervenire contro il ‘tiranno’ Gheddafi dopo averlo sostenuto a lungo?”, senza precisare chi l’ha sostenuto a lungo né spiegare che senso avesse intervenire contro Saddam dopo averlo sostenuto a lungo. E s’indigna perché “in Libia sì e in altre parti del mondo, dove si sono consumati autentici genocidi, no”, insomma è “un’iniziativa para-coloniale all’insegna d’interessi nazionali accuratamente celati all’opinione pubblica”: le stesse cose si potevano dire per l’Iraq, ma lui se ne guardava bene. Il più tenero è Sallusti che, anche nell’epocale crisi nordafricana, bada al sodo: il padrone. Quel nanerottolo di Sarkozy voleva oscurarlo, “prenderci per i fondelli”, “fare il furbo” e papparsi “petrolio, gas e affari”. Ma “non è facile mettere Berlusconi alla porta... quella vecchia volpe ha fiutato una brutta aria”, “fatto terra bruciata” e “circondato Sarkozy”. “Poche ore e l’Italia ha ripreso in mano la situazione” perché, avverte zio Tibia, “il futuro della Libia è soprattutto affare nostro”. Che si sappia: non avrai altro nano all’infuori di lui.
fonte articolo e vignetta 'Il Fatto Quotidiano'
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mercoledì 29 dicembre 2010
Su Belpietro iniziano a girare strane storie di Marco Travaglio
(vignetta vignette a satira)
Segnatevi questa data: 27 dicembre 2010. E questo scampolo di prosa: “Girano strane storie a proposito di Fini. Non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni oppure, peggio, di trappole per trarci in inganno. Se ho deciso di riferirle è perché alcune persone di cui ho accertato identità e professione si sono rivolte a me assicurandomi la veridicità di quanto raccontato… Toccherà quindi ad altri accertare i fatti… Vero? Falso? Non lo so. Chi mi ha spifferato il piano non pareva matto…in cambio dell’informazione non mi ha chiesto nulla… Mitomane? Ricattatrice? Altro? Boh! Perché mi sono deciso a scrivere delle due vicende? Perché se sono vere c’è di che preoccuparsi… Se invece è tutto falso, c’è da domandarsi perché le storie spuntano proprio ora”. L’autore Maurizio Belpietro, direttore di un giornale (si fa per dire: è “Libero”), inaugura una nuova frontiera: le notizie separate dai fatti, la cronaca medianica, l’informazione a cazzo, il giornalismo del “boh?”. Funziona alla grande: tre inchieste in altrettante procure, titoloni su tutti i tg e giornali (addirittura l’apertura su Repubblica: “Finto attentato a Fini, è scontro”), Belpietro tutto giulivo: “Ho fatto uno scoop, non potevo andare dal magistrato sennò mi leggevo la notizia su qualche altro giornale. Ma ho fatto un piacere a Fini, dovrebbe ringraziarmi”. Anche noi, nel nostro piccolo, vogliamo fare uno scoop e un piacere a Belpietro. Pertanto abbiamo deciso di pubblicare le strane storie che girano sul suo conto. Un’anziana medium reduce da una seduta spiritica ci ha raccontato che, consultando l’anima di un defunto di cui non ha ben capito il nome, ha appreso che Belpietro avrebbe da anni una relazione con un opossum, non si sa se maschio o femmina, ma più carino di lui. Vero? Falso? Boh. Riportiamo la notizia perché l’anonimo poltergeist non ha chiesto soldi in cambio delle sue rivelazioni e perché vogliamo fare un piacere a Belpietro. Un uomo incappucciato con un tanga, ma con impercettibile inflessione norvegese, ci ha consegnato un dossier fotografico che ritrae Belpietro travestito da talebano e intento a ricevere alcuni bazooka da Osama Bin Laden in una grotta del Pakistan. Mitomane? Ricattatore? Altro? Mah! Avremmo potuto verificare la notizia, ma non volevamo leggerla su qualche altro giornale. Meglio darla subito, poi Belpietro ci ringrazierà con comodo. Una signora di mezza età che indossava una pelle di giraffa e portava in testa un cotechino con lenticchie, ma non pareva affatto matta, ci ha riferito di avere le prove che i delitti di Cogne, Erba, Garlasco, Perugia, Avetrana e via Gradoli sarebbero opera del noto serial killer Belpietro, socio occulto di Bruno Vespa che poi fanno a mezzo con i fornitori di plastici. Se lo scriviamo è perché, se è vero, c’è di che preoccuparsi; se invece è falso, c’è da domandarsi perché questa storia spunta proprio ora. Un licantropo travestito da Ciccio di Nonna Papera che parla soltanto il babilonese antico ci ha svelato, se abbiamo capito bene, che Belpietro sarebbe solito spalancare l’impermeabile nei giardinetti degli asili nido e sgranocchiare alcuni bambini con tanto di grembiulino per vincere i morsi della fame. Lo scriviamo per il bene di Belpietro, nella speranza che ci ringrazi. Un sedicente caposcorta ci ha confidato che qualche mese fa si inventò di avere sventato un attentato a un giornalista e poi, per renderlo più credibile, esplose alcuni colpi di pistola riuscendo a centrare, in mancanza dell’attentatore, il soffitto, il mancorrente della scala e un battiscopa; dopodiché il giornalista andò in tournèe in tutte le tv ad accusare la sinistra “partito dell’odio”; poi, quando la patacca stava per essere smascherata, accusò Fini di essersi organizzato un falso attentato per dare la colpa a Berlusconi. La notizia, diversamente dalle altre, ci pare talmente incredibile che abbiamo esitato fino all’ultimo a pubblicarla. Se ne diamo conto, è solo perché pare che sia vera.
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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FELTRI-BELPIETRO, stile Libero di Alessandro Robecchi
Due direttori, tre padroni di Marco Travaglio
Segnatevi questa data: 27 dicembre 2010. E questo scampolo di prosa: “Girano strane storie a proposito di Fini. Non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni oppure, peggio, di trappole per trarci in inganno. Se ho deciso di riferirle è perché alcune persone di cui ho accertato identità e professione si sono rivolte a me assicurandomi la veridicità di quanto raccontato… Toccherà quindi ad altri accertare i fatti… Vero? Falso? Non lo so. Chi mi ha spifferato il piano non pareva matto…in cambio dell’informazione non mi ha chiesto nulla… Mitomane? Ricattatrice? Altro? Boh! Perché mi sono deciso a scrivere delle due vicende? Perché se sono vere c’è di che preoccuparsi… Se invece è tutto falso, c’è da domandarsi perché le storie spuntano proprio ora”. L’autore Maurizio Belpietro, direttore di un giornale (si fa per dire: è “Libero”), inaugura una nuova frontiera: le notizie separate dai fatti, la cronaca medianica, l’informazione a cazzo, il giornalismo del “boh?”. Funziona alla grande: tre inchieste in altrettante procure, titoloni su tutti i tg e giornali (addirittura l’apertura su Repubblica: “Finto attentato a Fini, è scontro”), Belpietro tutto giulivo: “Ho fatto uno scoop, non potevo andare dal magistrato sennò mi leggevo la notizia su qualche altro giornale. Ma ho fatto un piacere a Fini, dovrebbe ringraziarmi”. Anche noi, nel nostro piccolo, vogliamo fare uno scoop e un piacere a Belpietro. Pertanto abbiamo deciso di pubblicare le strane storie che girano sul suo conto. Un’anziana medium reduce da una seduta spiritica ci ha raccontato che, consultando l’anima di un defunto di cui non ha ben capito il nome, ha appreso che Belpietro avrebbe da anni una relazione con un opossum, non si sa se maschio o femmina, ma più carino di lui. Vero? Falso? Boh. Riportiamo la notizia perché l’anonimo poltergeist non ha chiesto soldi in cambio delle sue rivelazioni e perché vogliamo fare un piacere a Belpietro. Un uomo incappucciato con un tanga, ma con impercettibile inflessione norvegese, ci ha consegnato un dossier fotografico che ritrae Belpietro travestito da talebano e intento a ricevere alcuni bazooka da Osama Bin Laden in una grotta del Pakistan. Mitomane? Ricattatore? Altro? Mah! Avremmo potuto verificare la notizia, ma non volevamo leggerla su qualche altro giornale. Meglio darla subito, poi Belpietro ci ringrazierà con comodo. Una signora di mezza età che indossava una pelle di giraffa e portava in testa un cotechino con lenticchie, ma non pareva affatto matta, ci ha riferito di avere le prove che i delitti di Cogne, Erba, Garlasco, Perugia, Avetrana e via Gradoli sarebbero opera del noto serial killer Belpietro, socio occulto di Bruno Vespa che poi fanno a mezzo con i fornitori di plastici. Se lo scriviamo è perché, se è vero, c’è di che preoccuparsi; se invece è falso, c’è da domandarsi perché questa storia spunta proprio ora. Un licantropo travestito da Ciccio di Nonna Papera che parla soltanto il babilonese antico ci ha svelato, se abbiamo capito bene, che Belpietro sarebbe solito spalancare l’impermeabile nei giardinetti degli asili nido e sgranocchiare alcuni bambini con tanto di grembiulino per vincere i morsi della fame. Lo scriviamo per il bene di Belpietro, nella speranza che ci ringrazi. Un sedicente caposcorta ci ha confidato che qualche mese fa si inventò di avere sventato un attentato a un giornalista e poi, per renderlo più credibile, esplose alcuni colpi di pistola riuscendo a centrare, in mancanza dell’attentatore, il soffitto, il mancorrente della scala e un battiscopa; dopodiché il giornalista andò in tournèe in tutte le tv ad accusare la sinistra “partito dell’odio”; poi, quando la patacca stava per essere smascherata, accusò Fini di essersi organizzato un falso attentato per dare la colpa a Berlusconi. La notizia, diversamente dalle altre, ci pare talmente incredibile che abbiamo esitato fino all’ultimo a pubblicarla. Se ne diamo conto, è solo perché pare che sia vera.
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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FELTRI-BELPIETRO, stile Libero di Alessandro Robecchi
Due direttori, tre padroni di Marco Travaglio
martedì 28 dicembre 2010
FELTRI-BELPIETRO, stile Libero di Alessandro Robecchi
(vignetta nonleggerloblog)
Di solito al lunedì il quotidiano Libero non esce. Ieri, però, Libero è uscito. Il motivo non è difficile da indovinare: la ricomposta coppia Feltri-Belpietro ha il problemino di strappare copie al Giornale (che invece al lunedì esce) in una entusiasmante gara di servilismo a chi la spara più grossa.
E così ieri Libero ne sparava due al prezzo di una. La prima: qualcuno vorrebbe attentare per finta alla vita di Gianfranco Fini, ferendolo e facendo ricadere la colpa su ambienti berlusconiani. Niente male. La seconda: una signora di Modena, di professione prostituta, nipote di un vecchio camerata (e non di Mubarak… dilettanti!), avrebbe fornito i suoi servigi in cambio di mille euro a «un tizio uguale in tutto e per tutto a Gianfranco Fini». Insomma, una doppietta. Fini che paga qualcuno per farsi sparare e intanto va a puttane manco fosse un Silvio qualsiasi è la cosa più vicina al bingo che si possa pensare dalle parti della redazione di Libero. Lasciamo naturalmente alla magistratura, ai lettori di fondi di caffè (e di Belpietro, che è peggio) e alle predizioni di Nostradamus l’arduo compito di dipanare la matassa, di separare l’invenzione dalla verità. Ci limiteremo qui a dire che il «metodo Boffo», già con successo sperimentato, ha una sua evoluzione: due intimidazioni al prezzo di una.
Boffo per Boffo per tre e quattordici, ed ecco la formula del cerchio magico per infangare un avversario politico, tal Fini Gianfranco, povera stella. Poi la magistratura farà il suo lavoro, le cose si perderanno per strada, l’oblio coprirà tutto, i testimoni si dilegueranno, Belpietro farà il suo sorrisino televisivo e chi si è visto si è visto: al fango si chiede presa rapida. Il linguaggio, che già conosciamo, è quello del manganello mediatico, dell’indiscrezione, del dico-e-nondico, dell’olio di ricino su carta. Insomma della merda sparsa con finta noncuranza e persino del birignao noto del nascondere la mano: non sarà una trappola per «intaccare la credibilità di Libero?», si chiede Belpietro, fingendo che ci sia davvero una credibilità da intaccare (a pensarci è la cosa più divertente di tutto l’editoriale).
Ora, naturalmente, non si può far finta di niente. La trovata pubblicitaria di Libero è così azzeccata che ieri un giornale che di solito al lunedì non esce era su tutti i siti di informazione e oggi su tutti i giornali (anche qui, come vedete, polli che siamo). Ma a guardare bene, l’operazione pubblicità è un po’maldestra. Su 32 pagine dell’edizione di ieri, infatti, cinque erano di pubblicità, e altre dodici fatte con vecchie prime pagine di Libero. Insomma, non c’era abbastanza materiale per andare in edicola con un numero vero, ma non si poteva perdere l’occasione per strappare qualche copia al diretto concorrente Sallusti. Davvero una guerra tra gentiluomini. Su cotanta torta, poi, una deliziosa ciliegina. Tra le vecchie pagine d’archivio pubblicate per far volume, anche quella di sabato 2 ottobre 2010, dove Belpietro racconta il terribile attentato da lui subito. Attentato-fantasma, peraltro.
Niente video delle telecamere, niente colpevoli, niente indiziati, indagini ferme,
mistero fitto, colpevole volatilizzato, polizia in imbarazzo, dubbi fondati che sia esistito davvero e bufala quasi certa. Povero Belpietro, che spavento. Forse è stato quel trauma a mettergli la fissa dei finti attentati. E per una volta siamo con lui: anche noi siamo un po’ preoccupati per la credibilità di Libero. Non vorremmo che, con la nuova linea degli scoop del lunedì, superasse Tiramolla. Sarebbe un delitto.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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Due direttori, tre padroni di Marco Travaglio
Di solito al lunedì il quotidiano Libero non esce. Ieri, però, Libero è uscito. Il motivo non è difficile da indovinare: la ricomposta coppia Feltri-Belpietro ha il problemino di strappare copie al Giornale (che invece al lunedì esce) in una entusiasmante gara di servilismo a chi la spara più grossa.
E così ieri Libero ne sparava due al prezzo di una. La prima: qualcuno vorrebbe attentare per finta alla vita di Gianfranco Fini, ferendolo e facendo ricadere la colpa su ambienti berlusconiani. Niente male. La seconda: una signora di Modena, di professione prostituta, nipote di un vecchio camerata (e non di Mubarak… dilettanti!), avrebbe fornito i suoi servigi in cambio di mille euro a «un tizio uguale in tutto e per tutto a Gianfranco Fini». Insomma, una doppietta. Fini che paga qualcuno per farsi sparare e intanto va a puttane manco fosse un Silvio qualsiasi è la cosa più vicina al bingo che si possa pensare dalle parti della redazione di Libero. Lasciamo naturalmente alla magistratura, ai lettori di fondi di caffè (e di Belpietro, che è peggio) e alle predizioni di Nostradamus l’arduo compito di dipanare la matassa, di separare l’invenzione dalla verità. Ci limiteremo qui a dire che il «metodo Boffo», già con successo sperimentato, ha una sua evoluzione: due intimidazioni al prezzo di una.
Boffo per Boffo per tre e quattordici, ed ecco la formula del cerchio magico per infangare un avversario politico, tal Fini Gianfranco, povera stella. Poi la magistratura farà il suo lavoro, le cose si perderanno per strada, l’oblio coprirà tutto, i testimoni si dilegueranno, Belpietro farà il suo sorrisino televisivo e chi si è visto si è visto: al fango si chiede presa rapida. Il linguaggio, che già conosciamo, è quello del manganello mediatico, dell’indiscrezione, del dico-e-nondico, dell’olio di ricino su carta. Insomma della merda sparsa con finta noncuranza e persino del birignao noto del nascondere la mano: non sarà una trappola per «intaccare la credibilità di Libero?», si chiede Belpietro, fingendo che ci sia davvero una credibilità da intaccare (a pensarci è la cosa più divertente di tutto l’editoriale).
Ora, naturalmente, non si può far finta di niente. La trovata pubblicitaria di Libero è così azzeccata che ieri un giornale che di solito al lunedì non esce era su tutti i siti di informazione e oggi su tutti i giornali (anche qui, come vedete, polli che siamo). Ma a guardare bene, l’operazione pubblicità è un po’maldestra. Su 32 pagine dell’edizione di ieri, infatti, cinque erano di pubblicità, e altre dodici fatte con vecchie prime pagine di Libero. Insomma, non c’era abbastanza materiale per andare in edicola con un numero vero, ma non si poteva perdere l’occasione per strappare qualche copia al diretto concorrente Sallusti. Davvero una guerra tra gentiluomini. Su cotanta torta, poi, una deliziosa ciliegina. Tra le vecchie pagine d’archivio pubblicate per far volume, anche quella di sabato 2 ottobre 2010, dove Belpietro racconta il terribile attentato da lui subito. Attentato-fantasma, peraltro.
Niente video delle telecamere, niente colpevoli, niente indiziati, indagini ferme,
mistero fitto, colpevole volatilizzato, polizia in imbarazzo, dubbi fondati che sia esistito davvero e bufala quasi certa. Povero Belpietro, che spavento. Forse è stato quel trauma a mettergli la fissa dei finti attentati. E per una volta siamo con lui: anche noi siamo un po’ preoccupati per la credibilità di Libero. Non vorremmo che, con la nuova linea degli scoop del lunedì, superasse Tiramolla. Sarebbe un delitto.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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