Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)

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di 'Per quel che mi riguarda'

giovedì 6 ottobre 2011

Marina mercantile di Marco Travaglio

(vignetta portoscomic)
Siamo alle sentenze ad personam!”, tuona Marina Berlusconi in un’intervista-scendiletto (leggi l'intervista) gentilmente offerta dal Correre della Sera di cui, essendo consigliera di Mediobanca, è azionista. La nota giureconsulta di scuola arcoriana ignora che tutte le sentenze sono ad personam, nel senso che riguardano sempre una persona fisica o giuridica. Ma forse la signora pretende che, per condannare uno di Milano, i giudici condannino tutti i milanesi onde evitare sentenze ad personam. I suoi alti lai riguardano la sentenza della Corte d’appello di Milano che ha condannato la Fininvest (da lei presieduta) a risarcire la Cir con 564 milioni per averla scippata della Mondadori (da lei presieduta) con la celebre sentenza del giudice Metta, corrotto da Previti per conto di B. Anziché vergognarsi di presiedere un’azienda rubata grazie a un giudice corrotto coi soldi e nell’interesse del suo Papi, la Marina sostiene di avere “scoperto un tarlo, una falla clamorosa che mina dalle fondamenta un castello di ingiustizie”. Il tarlo, la falla – come spiega sul Fatto Antonella Mascali – sarebbe un taglio fatto dalla Corte d’appello nel citare il passo di sentenza della Cassazione del 2007: quella sulla richiesta dell’Imi di revocare la sentenza Imi-Sir (l’altro verdetto Metta comprato da Previti, quella volta per conto dei Rovelli) che condannava la banca a un mega-risarcimento non dovuto di 1.000 miliardi di lire. Secondo la Fininvest, i giudici di Milano, omettendo il riferimento alla revocatoria, avrebbero fatto dire alla Cassazione che non occorre revocatoria per liquidare i danni del caso Mondadori, mentre la Suprema Corte avrebbe detto il contrario. E qui la Berluschina infila uno sfondone dopo l’altro.

1) La sentenza Metta su Imi-Sir divenne definitiva, dunque aveva un senso chiederne la revoca. La sentenza Metta su Mondadori non passò mai in giudicato, perché dopo l’appello lo scippatore Berlusconi e lo scippato De Benedetti (ancora ignaro della corruzione), si accordarono per la restituzione di parte del maltolto. Dunque non c’era materia per chiedere la revoca.

2) Infatti la Cir non ha chiesto un altro processo per riavere la Mondadori: ha chiesto il danno da reato (la corruzione del giudice Metta che truccò la sentenza).

3) La Corte d’appello non cita la Cassazione del 2007 per affermare che non occorra la revocatoria, ma per dimostrare che basta un giudice corrotto su tre per rendere nulla una sentenza. Quando parla di tarlo e di falla, la signora Marina scambia le mele con le pere.

4) Per dimostrare che, per liquidare il danno, non occorre revocatoria, la Corte cita un’altra sentenza di Cassazione, la “18.5.1984 n. 3060”. Ma fa anche notare che l’eccezione della Fininvest è “tardiva”, dunque non può essere considerata: andava presentata in primo grado, dinanzi al giudice Mesiano, ma allora i giureconsulti arcoriani, capitanati dall’ex giudice costituzionale Vaccarella, se la scordarono.

Ora è tardi. Infatti il presunto tarlo nella sentenza d’appello viene segnalato non nel ricorso in Cassazione, ma al ministro della Giustizia e al Pg della Cassazione perché puniscano disciplinarmente i giudici cattivi che fanno sentenze ad personam. Primo caso al mondo di una parte che perde una causa e, anziché impugnare la sentenza, va a piangere dal ministro (che, fra l’altro, dipende da Papi). Del resto è dal 1990 che l’affare Mondadori si gioca su tavoli truccati. La corruzione del giudice Metta. Le leggi ad personam per mandare in fumo il processo. Il linciaggio del giudice Mesiano per porto abusivo di calzini turchesi. L’incredibile sospensiva concessa alla Fininvest dopo la prima condanna a rifondere 750 milioni alla Cir. I maneggi della P3 per influenzare la Corte d’appello. La legge vergogna per chiudere con 8,6 milioni il contenzioso da 173 della Mondadori col fisco. E ora le minacce ai giudici d’appello in base a tarli e falle inventati di sana pianta: cose che capitano alle ragazze che, da piccole, Papi faceva accompagnare a scuola da Vittorio Mangano perché non facessero brutti incontri.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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mercoledì 5 ottobre 2011

Il suicidio Meredith di Marco Travaglio

(foto LaPresse Ansa)
Da certi commenti sulla sentenza di Perugia, pare quasi che Meredith Kercher si sia suicidata. Della ragazza assassinata non parla quasi nessuno: “Il silenzio dei genitori non ha pagato, in tv si son visti solo i familiari di Amanda Knox”, osserva la giornalista di Newsweek che segue il caso fin dall’inizio. E, come tutti quelli che conoscono le carte, è colpevolista. Silenzio imbarazzato anche sull’ivoriano Rudy Guede, unico sicuro colpevole uscito dalla lotteria dei cinque verdetti: 4 condanne (3 con rito abbreviato per Rudy, condannato definitivamente a 16 anni, e 1 con rito ordinario per Amanda e Raffaele Sollecito in Corte d’assise), 1 sola assoluzione (quella della Corte d’assise d’appello). Con ciò, per carità, non vogliamo dire che Amanda e Raffaele siano colpevoli: per la Costituzione erano innocenti anche dopo la condanna di primo grado, e lo sarebbero rimasti anche se fosse stata confermata in appello. La loro però rimane un’innocenza provvisoria, visto che entrambi restano imputati di omicidio fino al giudizio di Cassazione. Dopodiché ciascuno potrà continuare a pensarla come vuole. L’unica cosa che ci dovrebbe essere risparmiata sono le lezioni degli americani, che hanno tanto da insegnarci, ma non il garantismo: negli Usa, dopo la prima condanna, si butta via la chiave, non essendo previsto appello. Noi invece processiamo la gente in nome del popolo italiano, con tanto di giuria popolare, e poi la facciamo riprocessare da un altro popolo italiano. Qualcuno sostiene addirittura che Amanda e Raffaele non avrebbero dovuto essere processati né arrestati. Ora, può darsi che la Corte d’assise d’appello non potesse non assolverli, dopo la perizia che neutralizzava le indagini della Scientifica sul coltello e sui ganci del reggiseno. Anche se si ha la sensazione che l’imputato sia colpevole, non si condanna che “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Le prove che bastano per indagare, arrestare, rinviare a giudizio spesso non bastano per condannare. Per questo tanti colpevoli sfuggono alla giustizia. Specie quando i processi sono indiziari: cioè privi di “pistola fumante”, sia essa la confessione dell’imputato o la parola di eventuali testimoni oculari. Un conto è sapere che l’imputato c’entra, un altro è provarlo. Di Amanda e Raffaele sappiamo che c’entrano. Altrimenti perché Amanda, nel primo interrogatorio senza difensore, quando nessuno ancora sa nulla dell’esistenza di Rudy, descrive la scena del delitto e accusa Patrick Lumumba, il “nero sbagliato” (“ricordo confusamente che Patrick ha ucciso Meredith”)? Se lei non era lì, che ne sapeva del delitto e dell’assassino? E, se lei non c’entra, perché calunniare un innocente? E perché Raffaele mente sull’alibi (“quella sera Amanda dormì a casa mia”), subito sbugiardato da vari testimoni? E chi sono i complici di Rudy, condannato per “concorso in omicidio commesso da altri”? Nella stanza di Meredith c’erano tracce solo di Rudy, Amanda e Raffaele. E la sentenza Rudy ha accertato che l’ingresso dell’ivoriano nell’alloggio fu “favorito da Amanda”. Gli indizi, anche scientifici, che hanno tenuto in carcere Amanda e Raffaele per 4 anni non li ha valutati solo la Procura: li hanno poi confermati 1 gup, 9 giudici di tre Riesami e 5 di Cassazione. Se solo la Procura avesse messo in cassaforte la confessione di Amanda, scovando un avvocato d’ufficio la notte in cui sapeva tutto e accusava Patrick, anziché continuare a sentirla senza difensore e rendere così inutilizzabile quel verbale, forse oggi racconteremmo un’altra storia. Poi ci sono le turbative esterne, che sarebbe il caso di rimuovere dai processi. Le indicibili pressioni americane, che ne han fatto un caso politico (a che titolo il Dipartimento di Stato esprime soddisfazione per la sentenza?). La presenza di avvocati-parlamentari (come l’ottima Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia). E il conseguente processo televisivo, dove solo i difensori possono parlare, mentre i pm no, dunque è tutto sbilanciato sulla difesa. Quella dei ricchi e dei famosi, s’intende. Rudy invece è un poveraccio, per giunta negro. Peggio per lui.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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martedì 4 ottobre 2011

Opposizione a sua insaputa di Marco Travaglio

(vignetta tratta da depresso gioioso)
Nel tempo che resta loro fra una rissa sul referendum elettorale, una litigata sul nascente partito dei padroni, il monito quotidiano sul “passo indietro” di B. e sul “governo di emergenza”, i presunti leader della presunta opposizione potrebbero forse spiegare un piccolo dettaglio: le 5098 volte in cui la maggioranza più ampia della storia repubblicana sarebbe andata sotto in questi primi tre anni di legislatura, se non fosse stata salvata dalle assenze della cosiddetta opposizione. Il dato, pubblicato dal sito Openpolis e ripreso da Antonello Caporale su Repubblica, dimostra che ben il 35% delle leggi e dei provvedimenti targati centrodestra non sarebbero mai passati senza la decisiva collaborazione dei disertori del Pd, dell’Udc, dell’Idv e di Fli. Insomma è grazie a loro se il regime, che già traballa per essere andato in minoranza 92 volte tra Camera e Senato dal 2008 a oggi, non è colato a picco 55 volte tante e dunque non è ancora andato a casa. Tra i recordman dell’assenteismo, Repubblica segnala Bersani, D’Alema, Veltroni, Franceschini, Livia Turco, Emma Bonino, il fico Fioroni: tutta gente che, a norma di statuto del Pd, non dovrebbe più essere in Parlamento da un pezzo, visto che vi bivacca dalla notte dei tempi, ben oltre il tetto previsto di tre legislature. Eppure, non contenti di seguitare a cumulare mandati, costoro non si presentano quasi mai sul posto di lavoro. Ce n’è abbastanza per chiedere lumi al trust di cervelli che guida le sedicenti opposizioni. Che cosa vi impedisce di andare a lavorare ogni mattina (si fa per dire: le Camere tengono aperto due-tre giorni al massimo), come fanno quotidianamente milioni di italiani? Fate altri mestieri? E, se sì, quali? E perché non vi decidete a proibire, almeno al vostro interno, il doppio lavoro di onorevoli avvocati, imprenditori, medici e così via? Siete cagionevoli di salute? E, se sì, perché non lasciate spazio a qualcuno meno gracilino? Oppure non ve ne frega niente? O siete oppositori a vostra insaputa, come gli inquilini Scajola e Tremonti? O siete oppositori “a tempo perso”, come il Puttaniere del Consiglio? O magari avete paura che questa crolli, per non essere costretti a fare qualcosa che esula dalle vostre capacità, cioè governare? O per caso siete d’accordo con la maggioranza? Già, perché sorge anche questo sospetto: basta vedere su quali temi cruciali le sicure sconfitte del regime si sono trasformate in sonanti vittorie grazie alle vostre assenze. Senza le defezioni tra le opposizioni, sarebbero passati provvedimenti sacrosanti come le mozioni di sfiducia a Calderoli e a Cosentino (presentate e impallinate dalle opposizioni, Pd in testa, si capisce), il ddl che aboliva tutte le province, l’emendamento Turco-Lolli per infilare nel decreto Abruzzo una “tassa di scopo” per ricostruire le zone terremotate (la stessa Turco era assente), l’emendamento per gli ammortizzatori sociali ai lavoratori ex-Eutelia e Phonemedia, l’election day per accorpare le ultime amministrative e i referendum risparmiando 350 milioni (mancò un solo voto, grazie anche al solito radicale Beltrandi, che pensò bene di regalare il suo al centrodestra, come già aveva fatto l’anno scorso, risultando determinante per far chiudere i talk show di informazione in campagna elettorale). E non sarebbero passate leggi vergogna come il decreto Alitalia (costo 4 miliardi), la Finanziaria 2008, svariati decreti Milleproroghe, lo scudo fiscale Tremonti, la legge porcata su Protezione civile e rifiuti in Campania e la maialata che sospende le demolizioni di case abusive nella stessa regione. Del resto le nostre finte opposizioni non sono nuove a simili aiutini: nelle passate legislature avevano dato una mano decisiva a far passare schifezze assolute come la legge Gasparri e l’ex-Cirielli. La domanda finale è semplice: ci siete o ci fate? In entrambi i casi, non potrà essere questo centrosinistra, con questi pseudoleader perennemente a zonzo, a subentrare credibilmente al regime berlusconiano in caduta libera. Onde evitare il rischio che, dopo, non si noti la differenza.


fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'

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lunedì 3 ottobre 2011

La Padania esiste e ho le prove di Alessandro Robecchi

(vignetta Claudio Ruiu)















Titolo su La Padania: «Io esisto e sono padano». Ecco, se uno comincia a ripetersi, «Io esisto, io esisto, io esisto…», è il momento di chiamare lo psichiatra. Ma dire che il popolo padano non esiste è un’esagerazione. Esiste Maga Magò? Certo che sì. E lo yeti? Forse. Ecco qui di seguito alcune prove inconfutabili di esistenza in vita della Padania, del suo popolo e dei suoi illuminati dirigenti.

Le ronde. Le famose ronde non esistono. Pigrizia padana. Eppure in Italia (che esiste) si è parlato di ronde tutti i giorni su tutte le prime pagine, permesi e mesi, anche con densi e dotti interventi di pensatori (?) della sinistra (?) che dicevano «perché no…».

Malpensa. L’aeroporto di Malpensa esiste. È un lungo campo di bocce vicino a Varese che paga alcuni milioni di euro ai suoi incapaci dirigenti padani. Per essere una cosa che non esiste, la Padania ci costa parecchio.

Il pacchetto sicurezza. Affossato dalla Corte Costituzionale, il grottesco insieme di leggine e regolamenti e ordinanze per sindacimitomani non esiste più. Eppure, con gran strepito del padano Maroni, l’Italia intera ne parlò per mesi e mesi come se fosse una cosa reale.

Il porcellum. Pur avendo le ore contate, la legge elettorale più schifosa del mondo l’ha scritta Calderoli. Per essere una cosa che non esiste, la Padania produce cazzate notevoli.

Il reato di clandestinità. Esiste, riempie le galere di innocenti ed è il più clamoroso esempio di esistenza della barbarie padana.

Sono solo alcuni casi, ma forse bastano per dire che il popolo padano, i suoi politici, i suoi ministri, esistono. Purtroppo. Per fortuna, invece, si stanno estinguendo da soli e speriamo facciano in fretta. Solo, una volta estinti i padani, dovremmo affrettarci a cancellare anche i segni che hanno lasciato tra noi. Andiamo, chi vivrebbe in un posto dove i dinosauri sono spariti ma restano a terra enormi, gigantesche, cacche di dinosauro?

fonte articolo 'Il Manifesto'
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domenica 2 ottobre 2011

Io firmo. Io fermo di Marco Travaglio

(vignetta Marilena Nardi-il Fatto-02.10.11)
























Nel 2001 centinaia di migliaia di persone manifestano al G8 di Genova e prendono un sacco di botte, ma i vertici Ppi e Pds non ci sono, diversamente dai loro elettori. Nel 2002 i Girotondi circondano i tribunali per difendere l’indipendenza delle toghe dalle leggi vergogna, ma i vertici Ppi e Pds non ci sono, al contrario dei loro elettori. Per i 10 anni di Mani Pulite, 40 mila persone riempiono si riuniscono dentro e fuori dal Palavobis di Milano, ma i vertici del Ppi e Pds non ci sono, al contrario dei loro elettori, perché – spiega Violante – “non si festeggiano le manette”. Il 14 settembre un milione di persone occupano piazza San Giovanni e le vie limitrofe contro la Cirami, ma i vertici Ppi e Pds sul palco non ci sono perché gli organizzatori non li vogliono, memori della Bicamerale e degli altri inciuci su giustizia e conflitto d’interessi. Nel 2004 la Cgil di Cofferati riunisce 2 milioni di persone al Circo Massimo contro l’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma molti Ppi e Pds flirtano con gli abrogazionisti, diversamente dai loro elettori; quanto a Cofferati, viene imbalsamato a Bologna perché non rompa le palle a Roma. Intanto nasce il movimento contro le guerre in Afghanistan e in Irak, ma a differenza dei loro elettori i vertici Ppi e Pds non ci sono. Infatti, tornati al governo dal 2006 al 2008, confermano le missioni di guerra spacciandole per missioni di pace, così come tutte le leggi vergogna che avevano giurato di cancellare. Nel 2007-2008 Grillo organizza due V-Day per fare, con tre leggi popolari e tre referendum, ciò che il centrosinistra non ha voluto fare: via i condannati e i dinosauri dal Parlamento, via la legge elettorale-porcata, via la Gasparri, via i soldi pubblici ai giornali, via l’Ordine dei giornalisti, ma i vertici di Margherita e Ds, mentre molti loro elettori sfilano e firmano, strillano all’”antipolitica”. L’8 luglio 2008 Micromega e Di Pietro chiamano a raccolta in piazza Navona contro il lodo Alfano: i vertici di Margherita e Ds non ci sono, i loro elettori invece sì. Due anni fa Di Pietro, un pezzo della sinistra radicale e molti comitati civici, promuovono tre referendum: acqua pubblica, no al nucleare, no al lodo Alfano; ma, mentre i loro elettori firmano, i vertici Pd non ci sono perché sotto sotto l’acqua privata, il nucleare e l’impunità per le alte cariche piacciono anche a loro. “Noi – si illumina Bersani – non abbiamo una strategia referendaria perché in 15 anni si sono persi 24 referendum e perché manca l’aspetto propositivo”. Risultato: a giugno 29 milioni di italiani di destra e di sinistra corrono a votare i tre referendum, fottendosene dell’aspetto propositivo. I vertici Pd festeggiano come se avessero vinto loro, ma almeno si spera che abbiano imparato la lezione. In fondo non è difficile: basta sintonizzarsi con i propri elettori. Invece niente. Parisi, Di Pietro, Segni, Vendola e altri raccolgono le firme per cancellare la norma più odiata dagli italiani dalle leggi razziali: il Porcellum di Calderoli. Ma l’astuto Bersani non ci sta: gli elettori del Pd cercano invano i banchetti alle feste del partito (un tempo feste dell’Unità), ma li trovano soltanto in alcune, perlopiù seminascosti fuori dal recinto. Il sagace Bersani, per non dispiacere al compagno Piercasinando, al geniale D’Alema e al fico Fioroni, pontifica: “Meglio la via parlamentare”. Uòlter aderisce, poi si dissocia, poi firma. Risultato: 1.210.466 firme che ora garantiranno o una legge elettorale migliore o la fine del regime e le elezioni a primavera. Bersani, che non risulta aver firmato, fa la supercazzola: “Non ci abbiamo messo il cappello, ma abbiamo messo i banchetti” e chiede che qualcuno lo ringrazi. I suoi elettori saranno ben lieti di farlo quando annuncerà le sue dimissioni da segretario, da candidato premier, da tutto. Non solo per essersi circondato di gente come Penati. Ma soprattutto perché, come i suoi predecessori, non ne ha mai azzeccata una.


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sabato 1 ottobre 2011

REFERENDUM ELETTORALE-Un milione di firme Porcellum allo spiedo di Daniela Preziosi

(vignetta portoscomic)
Finirà che in questa legislatura le uniche leggi da non buttare le avranno scritte i cittadini. Un milione e rotti di firme su un referendum che cancella una legge elettorale-porcata è una gran notizia, comunque la si pensi sul sistema elettorale capace di descrivere la realtà senza distorsioni, di riavvicinare la politica ai cittadini, di fornire uno strumento per costruire l’alternativa e infine in grado di allontanare il senso di sconfitta e di impotenza di fronte a un palazzo tetragono al terremoto che lo scuote.
Ieri il comitato elettorale del referendum pro Mattarellum ha esultato, presentando la valanga di firme raccolte in pochi mesi, in prevalenza in piena estate, e senza una grande organizzazione. L’avventura «corsara», come l’hanno battezzata, è iniziata con un gruppo di dirigenti Pd che dissentivano dal referendum proporzionalista di Passigli (poi ritirato), ed è continuata con Bersani che chiedeva di non promuovere i quesiti (ignorato).
Poi l’Idv e Sel hanno abbracciato la battaglia. E comunque alle feste del Pd ai banchetti si faceva la fila. Non manca di notarlo Parisi: «Ora dice di averci dato i banchetti, piuttosto si renda conto che molti democratici la pensano diversamente da lui». Morale: è finita con un milione e duecentomila cittadini che hanno firmato, consapevoli che sarà per loro se questo parlamento cancellerà il porcellum. È finita anche con una benedizione da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, secondo il quale questa legge ha rotto il rapporto di fiducia fra eletti ed elettori. «Le nostre stesse parole», gongola Parisi. Insomma, fino a qui tutto bene.
A sinistra, bisogna dirselo chiaro, questo referendum apre un dibattito che forse andava affrontato almeno otto anni fa. Sel l’ha promosso, e ieri Vendola ha parlato del «valore civile prima ancora che politico» di queste firme: «I cittadini vogliono contare, non intendono lasciare una delega in bianco ad una classe politica chiusa in un Palazzo sempre più screditato». Ma in Sel non c’è l’unanimità sul ritorno del Mattarellum, come testimoniava il leader storico di quell’area, Fausto Bertinotti, firmando il quesito per il proporzionale. Come sempre, del resto, ha predicato la sinistra radicale e anche la Federazione della sinistra. Il sistema proporzionale però in questo momento renderebbe inutili le primarie, uno strumento con cui anche la sinistra ha imparato a scegliere candidati, programmi e compagni di strada.
La discussione resta. Ma resta anche lo straordinario risultato di queste firme. Ora si attende il vaglio della Cassazione e quello - molto a rischio - della Consulta entro gennaio 2012. Se il referendum non si farà, resterà il milione di persone che hanno detto a tutte le forze politiche, non solo a quelle di maggioranza, che il porcellum va cancellato.
Se si farà, questo parlamento tenterà una riforma elettorale, che per anni non ha voluto fare. Oppure, più verosimilmente, finalmente andrà a casa, come la Lega ha già fatto capire. E, gran cosa in una democrazia, sarebbe per mano armata (di biro) dei cittadini.

fonte articolo 'Il Manifetso'
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Ma l’ovetto no di Marco Travaglio

(vignetta Marilena Nardi-Il Fatto-01.10.11)
Sicilia. Bartolo è un giovane di 23 anni e fa il pescatore a Sant’Agata di Militello, provincia di Messina. L’altro giorno è stato arrestato dai carabinieri perché “colto in flagrante” mentre prelevava sette pietre dal lungomare e le caricava su un furgone per fissare le sue reti da pesca sul fondale marino. Tradotto in caserma, vi ha trascorso la notte, in attesa del processo per direttissima. Il giorno prima la Camera negava l’autorizzazione all’arresto dell’on. Marco Milanese per rivelazione di segreti, corruzione e associazione per delinquere. Qualche giorno dopo, a Taranto, si apriva il processo a Donato, un ragazzo di 20 anni, imputato per il furto di un ovetto Kinder in un chiosco di dolciumi e per le ingiurie rivolte al venditore. Prelevato dai carabinieri e interrogato alle 2 di notte, Donato è finito sotto processo perché il venditore pretendeva 1.600 euro per chiudere la faccenda. Il giorno prima, la Camera respingeva la mozione di sfiducia contro l’on. Saverio Romano, imputato per mafia, che dunque rimane ministro. Domenica abbiamo raccontato la storia del giovane etiope rinviato a giudizio per aver colto qualche fiore di oleandro in un parco di Roma. Ieri, sul Corriere, Luigi Ferrarella ricordava altri tragicomici precedenti. Il processo a Milano contro un tizio imputato di truffa per aver scroccato una telefonata da 0,28 euro. E quello contro due malviventi sorpresi a fare da palo a una terribile banda dedita al furto di alcuni sacchi della spazzatura in una bocciofila. Ma anche i 169 ricorsi presentati in Cassazione da altrettanti utenti Enel (avanguardie di un esercito di 60 mila persone) che chiedono un risarcimento di 1 euro a testa. Basta raffrontare l’entità dei reati con i costi del processo (indagini della polizia giudiziaria e del pm, un giudice per la convalida del fermo, un gup per l’udienza preliminare, uno o tre giudici più un pm per il primo grado, tre giudici più un pg per l’appello, cinque giudici più un pg più un cancelliere per la Cassazione, con l’aggiunta di cancellieri ed eventuali periti) per rabbrividire. O per sbertucciare la magistratura, che obbedisce semplicemente a leggi sempre più folli o infami. Gli unici colpevoli sono i politici che hanno governato l’Italia in questi 17 anni: cioè tutti. Questa giustizia impazzita l’han costruita loro con le loro manine sporche e/o incapaci. Anziché dare risposte serie alla domanda di giustizia in continuo aumento, che non trova sbocco se non in tribunale, depenalizzando i reati minori e creando un sistema serio di sanzioni amministrative, hanno seguitato a inventarsi una caterva di reati inesistenti (come l’immigrazione clandestina) per solleticare la pancia degli elettori più beceri e decerebrati e per allattare un termitaio di avvocati (230 mila contro i 20 mila del Giappone che ha il doppio della popolazione italiana: ha più avvocati la città di Roma dell’intera Francia). E intanto depenalizzavano, di diritto o di fatto, i reati dei potenti, cancellandoli o rendendoli impossibili da scoprire e processare. Eppure, sui giornali e in tv, si continua a dipingere una giustizia che trascura “i veri criminali” per colpire i reati dei politici (ovviamente inventati). Ora Napolitano ricorda che “in passato un leader separatista fu arrestato”. Non sappiamo se si riferisca anche ai leghisti a suo tempo imputati a Verona per le camicie verdi (e armate) della “Guardia nazionale padana”. Il processo s’è estinto perché l’anno scorso – come denunciò il Fatto nel silenzio generale, anche del Quirinale – il ministro Calderoli depenalizzò il reato di “associazione militare a scopo politico” con un codicillo nascosto in un decreto omnibus. Da allora, per mandare in fumo un processo che all’inizio vedeva imputati anche i ministri Bossi, Maroni e naturalmente Calderoli, chi fonda bande paramilitari fuorilegge non commette reato. Chi invece ruba un fiore, o una pietra, o un ovetto per te, è un delinquente. Ma solo perché nessun ministro ha ancora rubato fiori, pietre e ovetti. Non resta che aspettare, fiduciosi.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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venerdì 30 settembre 2011

LAVITOLA - Se la tv ospita il latitante di Norma Rangeri

Alla fine il desiderio di Valter Lavitola è stato esaudito: «Non sarà sul piano giudiziario,ma su quello mediatico che stasera potrò dimostrare di non essere l’uomo nero». Dopo aver visto il programma Bersaglio Mobile, inaugurato da Enrico Mentana su La7, effettivamente davanti a noi non ha parlato l’uomo nero, ma un faccendiere, un traffichino, uno della famiglia allargata del sottobosco berlusconiano. Sembrava quasi che avesse insistito lui per essere immortalato dalle telecamere. Aveva voglia di parlare, di spiegare, di fare battute, persino di ribaltare il senso delle intercettazioni più compromettenti («lo mettiamo in ginocchio, con le spalle al muro»). In parte c’è anche riuscito. Nemmeno MarcoTravaglio, il giornalista leader dei mastini della cronaca giudiziaria, ha saputo scalfire il buonumore del latitante. Quando gli ha chiesto di spiegare perché si è iscritto alla massoneria e se avesse un grado superiore a quello di Berlusconi, lasciando intuire un rapporto gerarchico occulto, Lavitola sorridendo gli ha risposto senza problemi: «Mi sono iscritto a diciotto anni, sono sempre rimasto al grado più basso di apprendista, e mi hanno messo in sonno dopo poco tempo, quando ho smesso di pagare le quote». Più o meno il copione si è ripetuto per tutta la durata dell’intervista multipla (insieme a Travaglio c’erano Carlo Boninidi Repubblica, Marco Lillo del Fatto e Corrado Formigli de La7). Il fatto è che in tv i processi, come sa bene Bruno Vespa che ne ha fatto un genere, sono sempre molto utili passerelle degli imputati (da Cogne a Perugia, da Andreotti a Previti) che si trovano davanti non i pubblici ministeri che possono contestare, come succede nelle aule dei tribunali, le affermazioni dell’accusato servendosi delle carte dell’istruttoria, ma giornalisti che per quanto esperti e preparati non possono conoscere a memoria l’inchiesta. È consigliabile evitare di fare un uso improprio della tv, mezzo eccellente per confrontare opinioni, ma inadatto per accertare veritàche solo le sentenze possono offrire.

fonte articolo 'Il Manifesto'
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Nun ce lassà di Marco Travaglio

(vignetta Marilena Nardi)
In occasione del suo 75° compleanno, oltre agli auguri più affettuosi e riconoscenti, il Cavalier Patonza ci consentirà di chiedergli una cortesia. Non è per noi, che fortunatamente viviamo del nostro. È per quelli che si spacciano per “giornalisti di destra”, mentre, molto più modestamente, sono suoi impiegati. Quattro di loro, sentendosi minacciati in ciò che hanno di più caro – lo stipendio – levano alto e forte su Panorama un accorato appello a una sola voce al padrone: resta con noi Signore la sera (o almeno tutto il resto della giornata). Comincia Giorgio Mulè, il direttore. Il tema dell’editoriale è di notevole originalità: i giudici di Napoli “vogliono eliminare B.”. Prima erano i pm che volevano eliminarlo perché lo ritenevano vittima di estorsione (ipotesi fantascientifica, secondo l’house organ, per la decisiva ragione che B. negava di aver subito l’estorsione). Ora è il Riesame che vuole eliminarlo perché lo ritiene colpevole di aver istigato a suon di bigliettoni Tarantini a mentire (ipotesi fantascientifica, secondo l’house organ, per la decisiva ragione che “mai Tarantini ha fatto balenare di essere stato spinto dal Cavaliere a raccontare frottole ai magistrati”). In pratica, per il Mulè, il reato sussiste solo se l’indagato lo confessa. Dal che si deduce che Riina e Provenzano sono innocenti, visto che mai hanno fatto balenare il sospetto di essere mafiosi. Ergo, siccome il premier si proclama innocente, è innocente. Dunque non si deve dimettere. Giriamo pagina, ed ecco Giuliano Ferrara, noto teologo, avventurarsi in una raffinata esegesi dell’anatema del cardinal Bagnasco. A suo avviso, Bagnasco ha scomunicato “le bisbocce” di B. che sono uno “scandalo privato”, ma purtroppo sono “emerse in pubblico”, su su fino alla Cei. Fossero rimaste segrete, si sarebbero potute risolvere fra le quattro mura di una sacrestia, dove “i preti esercitano le arti dell’educazione e della persuasione privata da secoli, attraverso la confessione, il pentimento e l’espiazione delle colpe: ascoltano, giudicano nel segreto, assolvono e impongono penitenze”. Quante patonze, figliolo? Ah, 36 alla volta? Perfetto, 36 pateravegloria al giorno, prima e dopo i pasti. Più che il segreto istruttorio, Giuliano l’Aprostata invoca il segreto confessionale. Non vuol darla vinta ai “divorzisti, preservativisti, abortisti ed eugenetisti sostenitori della fabbricazione dei figli e del libero amore” che infestano la sinistra e i suoi giornali. Dunque B. non si deve dimettere. Voltiamo pagina, ed ecco Vespa. Si definisce “un epurato” (seguirà, a breve, apposito plastico dimostrativo). Afferma che “quasi tutte le reti tv e i giornali parlano male di B.”. Dipinge B. come “la persona più intercettata e processata del Paese”. Poi, dopo aver ammesso lacrimante che “il suo ciclo sta avviandosi a conclusione”, il noto umorista lo esorta a lasciarci “un partito moderato moderno” e “preparare il piano di rilancio”, modellato sul geniale “disegno di Alfano” (che sarebbe pure d’accordo, se solo sapesse di che si tratta). Giriamo pagina, ed ecco Minzolingua, il più affranto fra gli impiegati. Ce l’ha coi “grandi giornali” che vogliono sacrificare il suo Faro come “capro espiatorio”, tipo Craxi. E per cosa, poi? Per le sue “scappatelle”, “frugando nella sua vita privata”, “bacchettoni moralisti” e “congiurati maramaldi” che non sono altro. Pensino piuttosto alle “tangenti”, dei “politici che rubano” e sono tutti di sinistra (B., com’è noto, non è mai stato sfiorato da sospetti di tangenti, se no Minzolingua l’avrebbe saputo). Ergo B. deve fare come Aldo Moro e dire “non ci faremo processare nelle piazze”. E neppure nei tribunali. Infatti “l’uscita di scena di B. determinerebbe la fine del centrodestra, del bipolarismo e la resa all’offensiva giudiziaria”, e forse anche la fine del mondo. Per tutti questi motivi, egregio Cavalier Patonza, Le chiediamo di non mollare. O almeno di rassicurare i suoi impiegati che anche dopo continueranno a prendere lo stipendio. Lo faccia per noi, ma soprattutto per loro.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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giovedì 29 settembre 2011

Pallebianco di Marco Travaglio

(foto agrpress)
Se Berlusconi lasciasse la guida del governo, si aprirebbe una possibilità: si potrebbe ricominciare a discutere del ruolo della magistratura in questo paese...”. Ecco finalmente spiegato, grazie al professor Angelo Panebianco, perché anche il Corriere della Sera ha deciso, con 17 anni di ritardo, di scaricare B: per poter finalmente parlare “di cose come l’uso politico delle intercettazioni e la fine che hanno fatto, grazie al famoso circo mediatico-giudiziario, la tutela della privacy, la presunzione di non colpevolezza, eccetera”. Insomma del “grande scontro fra politica e magistratura” che, a suo dire, cominciò il 3 ottobre 1985, quando Cossiga proibì, minacciando l’invio dei carabinieri, al Csm di difendere – come prevede la Costituzione e la legge istitutiva dell’organo di autogoverno delle toghe – i magistrati aggrediti e minacciati da Craxi per aver osato scoprire con le mani nel sacco vari socialisti ladri a Torino (scandalo Zampini), Milano (P2, Ambrosiano, Calvi, caso Icomec), a Savona (caso Teardo), a Trento (inchieste di Carlo Palermo) e così via. Panebianco la racconta così: “Cossiga inviò una lettera in cui vietava al Csm di mettere ai voti una censura nei confronti del presidente del Consiglio Craxi. Cossiga, Costituzione alla mano, negò che il Csm fosse dotato di tale potere di censura. Alcuni anni dopo Cossiga diventò oggetto di un attacco concentrico della magistratura militante” (tutte balle: la magistratura non prese alcuna iniziativa contro Cossiga dopo il 1985: ne aveva presa una la Procura di Torino nel 1980, quando Cossiga era premier e fu accusato di aver avvertito Carlo Donat Cattin che il figlio terrorista Marco era ricercato, dopodiché quest’ultimo si diede alla latitanza; ma Cossiga fu salvato dalla Camera dell’impunità, che negò l’autorizzazione a procedere). Dopodiché, ça va sans dire, lo “s c o n t ro ” proseguì “con Mani Pulite”. E qui l’acuto Panebianco rivela che, sì, “la corruzione c’era ed era tanta, ma era ‘di sistema’ e per questo avrebbe richiesto una soluzione politica, non penale”. Ecco: siccome rubavano in tanti, la soluzione era una bella amnistia. Lo “scontro ” proseguì nel ‘94 con “l’avviso di garanzia che raggiunse Berlusconi a Napoli durante una conferenza internazionale”: il fatto che la Fininvest corrompesse la Guardia di Finanza è, per Panebianco, un dettaglio irrilevante. Per evitare lo scontro, i pm avrebbero dovuto fingere di non accorgersene e, trovate le prove, mangiarsele. Ora, liquidato B., bisognerà bilanciare “il grave squilibrio fra democrazia rappresentativa e potere giudiziario”, dimostrato dalle “centomila intercettazioni ” dell’inchiesta di Bari, “cose da pazzi (e il Csm zitto)”. Forse Panebianco non sa che gli intercettati a Bari sono una quarantina (Tarantini più le mignotte reclutate per sollazzare B. e infilarsi negli appalti Finmeccanica e nella Protezione civile); che centomila sono le telefonate intercettate; e che il Csm non ha alcun potere di sindacare sul numero di telefoni intercettati da una Procura, visto che già ci pensano il Gip, il Riesame, la Corte d’appello e la Cassazione. Il tuttologo del Corr iere propone infine di “vietare di intercettare, anche in modo indiretto, chi occupa cariche istituzionali”, il tutto “per convincere gli investitori a fidarsi di nuovo di gente come noi”. Che si fidino di gente come lui, è improbabile. Ma è ancor più improbabile che si riesca a impedire che un governante sia indirettamente intercettato. A meno che Panebianco non pensi di vietare di intercettare 60 milioni di italiani, anche se coinvolti in giri di droga e prostituzione, perché potrebbero chiamare il presidente del Consiglio o venirne chiamati, magari da un cellulare peruviano. Così finalmente potremmo dire agli investitori: “Fidatevi dei nostri politici, sono tutti incensurati perché non possiamo più scoprire i loro delitti”. E vedere di nascostol’effetto che fa.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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mercoledì 28 settembre 2011

I VESCOVI E IL GOVERNO - Cattolici del Pdl paracult di Alessandro Robecchi

(vignetta Vauro-Il Manifesto-28.09.11)
Domanda. Ma se si mette un camaleonte su una tela scozzese, la povera bestia che fa, esplode? Chissà. E se si appoggiano i cattolici del Pdl di traverso sulla severa censura del cardinal Bagnasco e sulle porcate del loro padrone Silvio Berlusconi, che fanno, esplodono pure loro? Come coniugare spirito baciapile e difesa a oltranza del boss? La tecnica è nota: fingere di non capire parole che pure sono chiarissime. Strepitoso Formigoni sul monito di Bagnasco: «È un messaggio indirizzato a tutti gli italiani, non a una singola persona». Cult.Anzi,paracult.Poi chiosa, devotissimo: «Ognuno di noi deve chiedere perdono a Dio».
Ognuno chi? Ognuno che se ne sia “fatte” soltanto otto su undici? Ognuno accusato di aver pagato ragazzine minorenni? Precisare, prego. Si è spremuto le meningi anche Maurizio Sacconi (chissà che fatica!), prima di partorire pure lui e dire che le parole di Bagnasco «seppur legittime e comprensibili rischiano di venire strumentalizzate». Poi, non sembrandogli abbastanza chiaro il concetto, aggiunge: «Nessuno può usare il monito di Bagnasco come una clava». Premio speciale della giuria a Osvaldo Napoliche prima tira in ballo De Gasperi,chissà perché, e poi disvela il suogenio: «Ieri i vescovi non hannocriticato l’uomo Berlusconi e neppure il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Hanno richiamato il ceto politico a comportamentidi sobrietà e al senso della misura: richiamo che vale per tutti». Bingo. È una scemenza, ma pare funzioni. Dice Rotondi: «Quello del cardinale Angelo Bagnasco è un richiamo che riguarda tutti, il monito non va mai riferito ad una persona, è rivolto alla generalità dei cittadini». Alla persona, peraltro, ci pensa lui e definisce Berlusconi un «santo puttaniere». Incidente sul lavoro.
Dunque il coro dei cattolici del Pdl pare unanime: il monito dei vescovi e le porcate conclamate di Silvio coincidono solo per una clamorosa coincidenza, tipo un sei al Superenalotto. E poteva il ministro Fitto tacere di fronte a un simile allineamento di pianeti? Certo che no, eccolo: «Il messaggio del cardinale Bagnasco è rivolto a tutti, strattonarlo da una o dall’altra politica è sbagliato e lo svilisce». Appunto, lo svilisce. Per fortuna c’è Giuliano Ferrara, un altro politico della destra, pio, credente e tanto, tanto devoto, capace di spostare un po’ l’asse del discorso in una puntata di enorme spessore satirico di Radio Londra (lunedì sera) e in un pensoso fondo sul Foglio di ieri. La sostanza comica è nota: i vescovi bacchettano Berlusconi, ma non prendono lezioni dai furibondi «laicisti» che vogliono preservativi, divorzio, aborto, pillole varie eccetera eccetera. Insomma, la trave è ancora nostra, mentre il pisello di Silvio sarebbe una pagliuzza (e qui il capo, francamente, potrebbe offendersi). La trovata comica non è granché e ricorda vecchie battute da avanspettacolo («Razzista io? Parla lei che è negro!»). Per fortuna, come succede ai comici che hanno mestiere ma non testi adeguati, Ferrara si riscatta con una sapiente manipolazione del linguaggio. Ecco dunque, ad uso dei «laicisti», dei miscredenti e degli appassionati dell’uso creativo del vocabolario, alcune delle locuzioni usate su vari palcoscenici dal nostro contorsionista preferito. Eh, sì, il nome della cosa non è secondario. Come chiama dunque Ferrara i festini del Capo? Vediamo. «Bisbocce», ben trovata. «Festicciuole», garbatamente démodé. «Propensione alla galanteria», siamo al capolavoro. «Gioco non sempre troppo sottile e a sfondo sessuale tra uomo e donna», qui gli è scappata un po’ la mano. «Gioco mondano», giusto, ricomponiamoci. «Feste da ballo», bravo. E che ballo, gente!

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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La Vespa Regina di Marco Travaglio

L’altro giorno Palazzo Grazioli ha dovuto precipitosamente smentire la visita dell’Ape Regina, al secolo Sabina Began (che naturalmente ha confermato tutto). Nessuna smentita invece per la visita al premier di un altro insetto: Bruno Vespa, posatosi sul suo miele prediletto per raccoglierne il nettare in vista del suo prossimo libro-panettone natalizio, dal titolo Quale amore (ma che domande: quello!). Nell’attesa, bisogna accontentarsi di Porta a Porta, che lunedì è andato così bene da farsi scavalcare persino dal film horror di Italia1 Saw-L’enigmista. Orrore per orrore, la gente ha preferito qualcosa di nuovo. Infatti il salottino vespiano pareva un pezzo di modernariato portaportese, dedicato sorprendentemente a un tema inedito: le intercettazioni. Non allo scandalo del loro contenuto, si capisce, ma a quello dei pm che le fanno, dei giornali che le pubblicano e soprattutto dei cittadini che le vengono a sapere. Persino i vescovi le hanno lette e sono inorriditi. Ma Vespa, da buon insetto, ha sorvolato, dedicando all’anatema di Bagnasco tre nanosecondi sui titoli di coda, quando anche l’ultimo telespettatore era stramazzato al suolo. Per il resto, insulti al giudice Palamara (“Ma lei ci capisce o non ci capisce?”). Beatificazione di Vittorio Emanuele di Savoia (chiamato financo “principe”). Panzane a volontà sui “100 mila italiani intercettati ogni anno” (sono 6 mila). Alcune flatulenze di Gasparri il cui senso sfuggiva ai più. E molte congratulazioni alle leggi bavaglio Mastella & Alfano. Leggi, entrambe, a cura della signora Augusta Iannini, dal 2001 alto dirigente del ministero della Giustizia e incidentalmente moglie di Vespa. Il bello della puntata è che galleggiava in un assoluto vuoto spazio-temporale: pareva registrata 10-15 anni fa e forse lo era. Per dare un tocco vintage al tutto, c’era persino Mastella, pallido ed emaciato, dipinto come un perseguitato politico, illegalmente intercettato e perquisito con tutta la sua famiglia, poi sempre prosciolto: il fatto che l’intera sua famiglia sia stata imputata (Clemente, la signora Sandra, il consuocero Carlo) o indagata (i figli Elio e Pellegrino) non risultava a nessuno dei presenti. Il che aumentava la sensazione di un programma registrato nella notte dei tempi. Siccome ormai in tv è proibito discutere di giustizia, e dunque di B., senza la presenza di un suo impiegato, pontificava in studio Giorgio Mulè, direttore di Panorama. Anche lui, parlando dalla preistoria, ignorava i due processi in corso a Napoli contro Mastella per quattro concussioni, tre abusi, una truffa, una malversazione e un’appropriazione indebita. Infatti sosteneva che “le sue intercettazioni non hanno avuto riscontro giudiziario: è stato massacrato e assolto”. Evidentemente la puntata risaliva a quando Berta filava, Mastella non era ancora imputato e Mulè non dirigeva ancora Panorama. Già, perché nel 2007, con una fuga di notizie illecita, Panorama rivelò che Prodi era stato iscritto nel registro degli indagati a Catanzaro per Why Not; e nel 2008, con un’altra fuga di notizie illecita, Panorama pubblicò intercettazioni prive di rilevanza penale fra Prodi e alcuni imprenditori, racchiuse in un fascicolo senza indagati trasmesso dalla Procura di Trento a quella di Roma e poi archiviata. Un mese fa Panorama, diretto da Mulè, fece un’altra fuga di notizie illecita ai limiti del favoreggiamento, pubblicando la richiesta d’arresto per Tarantini e Lavitola (il quale, avvertito da Panorama e consultatosi col premier-editore-complice, scappò). Tutte notizie segrete, ma vere, che era giusto pubblicare. Ma è altamente improbabile che chi dirige un giornale specializzato nelle fughe di notizie illecite denunci le fughe di notizie illecite dei giornali, auspicando pene esemplari per chi le fa. Dunque è sicuro: Porta a Porta era roba di repertorio. A meno di pensare che il Mulè soffra di sdoppiamento della personalità. O di autolesionismo acuto: non vorrà mica essere arrestato con le fonti del suo giornale?

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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martedì 27 settembre 2011

La mafia deve girare di Marco Travaglio

(vignetta portoscomic)
Sul sito dell’Espresso due cronisti coraggiosi, Claudio Pappaianni e Andrea Postiglione, raccontano con tanto di video la Festa dei Gigli nel quartiere Barra di Napoli. Alcuni boss della camorra (uno dei quali reduce da 10 anni di galera, dunque molto popolare) sfilano su una Rolls Royce bianca supercabrio tra due ali di folla in delirio. Palloncini, musica, applausi.(guarda il video tratto da l'Espresso) Poi i padrini invitano tutti a “un minuto di silenzio per i morti nostri”. Chiude la gaia cerimonia la benedizione del parroco. Unica nota stonata, l’assenza delle autorità politiche, sempre meno radicate sul territorio (l’ennesima riprova della divaricazione tra Paese reale e Paese legale). O forse troppo impegnate a Roma. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Saverio Romano da Belmonte Mezzagno (Palermo), deputato dal 2001, prima nell’Udc e ora nei Responsabili, fedelissimo di Totò Cuffaro (attualmente detenuto per favoreggiamento mafioso), uno dei pochi parlamentari che nel 2002 non votarono la stabilizzazione del 41-bis, imputato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, si prepara all’ultima battaglia. Oggi infatti la Camera vota la mozione di sfiducia presentata contro di lui dalle opposizioni, anzi solo da Idv e dal Pd: l’Udc l’ha portato in Parlamento assieme a Cuffaro e pare brutto a Casini sentirselo ricordare. Dunque Piercasinando finge di non conoscerlo (“di Romano conosco solo Prodi”). Ma, per il primo ministro della storia d’Italia imputato per mafia, più che una battaglia sarà una passeggiata. I cosiddetti padani della Lega Nord annunciano che voteranno per lui, contro chi lo vuole cacciare, anche perché difendono alcune centinaia di allevatori fuorilegge per le quote latte e le relative multe, e lui con loro. Strepitosa la dichiarazione del ministro dell’Interno Bobo Maroni, che vanta un curriculum antimafia da paura e poi siede a ogni Consiglio dei ministri accanto al ministro imputato di mafia: “La mozione di sfiducia l’ha presentata l’opposizione, ne sono state presentate in passato e sono sempre state respinte. Non vedo francamente perché non si debba fare la stessa cosa”. In effetti era stata respinta anche la mozione di sfiducia contro il sottosegretario Nicola Cosentino, imputato di camorra. Ergo, se in futuro si scoprisse che un ministro ha ammazzato la moglie o ha stuprato una bambina, Maroni se lo terrebbe al governo perché si è sempre fatto così. Un fatto di tradizione. Il compianto Lunardi, a questo punto, fa la figura del minimalista. Si era limitato a dire che “con la mafia bisogna convivere”: una constatazione, viste le facce che popolavano e popolano il governo. Oggi, altro che convivere. La convivenza presupponeva una certa qual diversità, tra politica e mafia. Ora invece siamo all’identità, e non solo di linguaggio. Più che mai opportuno, da questo punto di vista, il contributo del ministro gondoliere Brunetta, che ieri, in attesa del piano per la crescita, ha proposto l’eliminazione del certificato antimafia per “snellire” le procedure nella Pubblica amministrazione, con tanti saluti alle “anime belle dell’antimafia”. Come dargli torto. Se il certificato antimafia non si chiede nemmeno alle massime cariche dello Stato, né tantomeno ai politici, perché mai dovrebbero esibirlo gli imprenditori? Renato Schifani, essendo indagato per mafia, non potrebbe concorrere a un appalto, ma può tranquillamente fare il presidente del Senato. Idem per il ministro Romano, per l’on. Cosentino e per il sen. Dell’Utri. Snellire, semplificare per tutti, compresa la mafia, unica azienda italiana che non conosce crisi. Infatti il cardinal Bagnasco s’è ben guardato dal farvi cenno, tra i “comportamenti licenziosi, tristi e vacui che ammorbano l’aria”. Pazienza la mafia, ma la gnocca no! Già allo studio un emendamento al primo articolo della riforma prostituzionale che potrebbe incontrare i favori dei teocon del Pdl e anche dell’Udc: invece di “la patonza deve girare”, “la mafia deve girare”.


fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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lunedì 26 settembre 2011

Bravo, Umberto, ne hai fatta di strada di Alessandro Robecchi

In una vecchia barzelletta sovietica, Stalin mostra alla madre i segni del suo potere. La potente macchina nera, la guardia in alta uniforme, le meravigliose stanze del Cremlino. E lei, l’anziana madre,lo benedice con affetto: «Bravo, Josif, ne hai fatta di strada… Ma attento, che se arrivano i comunisti…». Chissà se il popolo leghista conosce quella vecchia storiella. Davanti a esso viene periodicamente mostrato un capo-caricatura che si esprime ormai solo a gesti, pugni tirati all’aria, pernacchie e parolacce. Di Bossi conosciamo ormai solo le patetiche ostensioni organizzate per mascherare la sorda lotta tra colonnelli che avviene alle sue spalle, poi la reliquia viene ripiegata e portata via dagli addetti del cosiddetto «cerchio magico». «Vergognosi attacchi alla mia famiglia», ha biascicato dal palco di Venezia. Eh, sì, la famiglia, croce e delizia. Un figlio piazzato alla regione Lombardia a incassare un grosso assegno, capo delle nazionali di calcio padane alla maniera dei pargoli Gheddafi. Una moglie, Manuela Marrone, baby pensionata dall’età di 39 anni - una cosa che al leghista medio fa salire il sangue agli occhi - e fondatrice di una scuola dove si insegnano ai bambini le tradizioni padane. Tradizioni padane, sì, ma soldi di tutti gli altri, visti gli 800.000 euro munificamente concessi alla struttura da una legge del 2010, opportunamente chiamata «legge mancia» (tenga il resto, buon uomo). E, di contorno, seggiole, cariche, poltrone, nomine, stipendi pubblici, consulenze, affari e affarucci, perlopiù andati male e malissimo, come quella famosa banca CrediEuroNord che costò bel po’ di soldi proprio ai più gonzi tra i padani. Ce ne sarebbe abbastanza per farsi cadere le braccia, o almeno le spesse fette di salame padanamente piazzate sugli occhi. Ora, il salvataggio in aula di un bel pezzo di Roma ladrona (Marco Milanese) e, prossimamente, anche un voto a protezione di interessi mafiosi (il ministro Saverio Romano). Che dire? Bravo Umberto, ne hai fatta di strada. Ma occhio, che se arrivano i leghisti…

fonte articolo 'Il Manifesto'
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domenica 25 settembre 2011

Gelmitola

Che l’Italia avesse un “premier a tempo perso” già lo sapevamo: l’ha detto lui a un’amica escort. E l’ha confermato martedì sera con due telefonate mute a Ballarò. Come Presidente del Consiglio ha chiamato Floris per intervenire in diretta, ma poi s’è accorto che il tempo riservato al governo era scaduto, allora ha indossato i panni del Presidente della Patonza e, per la gioia di una trentina di mignotte sedute sulle sue ginocchia, ha fatto il numero del molestatore che non parla, ma ansima. Ora le foto pubblicate qui a fianco dimostrano un altro fatto per noi notorio: anche Frattini Dry è un ministro degli Esteri a tempo perso, nel senso che perde inutilmente tempo a fare il ministro. Il vero capo della nostra diplomazia è Valter Lavitola, ingiustamente sminuito dalla stampa come “faccendiere”, “Valterino”, “direttore de l’Avanti!”. Scherziamo? Lavitola, momentaneamente latitante, è l’uomo chiave del governo, l’architrave del sistema. Ma guardatelo: con che piglio scende dall’aereo della Presidenza del Consiglio dietro al premier! E con quale autorevolezza siede al tavolo del presidente di Panama! Poi, certo, per tenerlo buono, ha lasciato un posto e un pasto caldo anche a Frattini, onde evitare che si accorga di non essere il ministro degli Esteri, ma un semplice “fattorino”, come lo chiamano i diplomatici Usa nei cablo svelati da Wikileaks. E chissà come chiamano Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica a sua insaputa, ieri autrice del seguente comunicato: “Alla costruzione del tunnel tra il Cern (Ginevra, ndr) e i laboratori del Gran Sasso (Abruzzo, ndr), l'Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro”. Wow! Mentre i soliti disfattisti denunciavano la paralisi delle grandi opere, pomposamente annunciate da B. nel Contratto con gli italiani alla scrivania di Vespa, il governo, zitto zitto, senza farsene accorgere, realizzava un supersonico tunnel di 732 km. scavando nella dura roccia del Gran Sasso. Un’opera ciclopica, faraonica, titanica. Al confronto, la piramide di Cheope e la Muraglia Cinese ci fanno una pippa. Nessuno aveva sospettato nulla, finché un neutrino malandrino ha rovinato l’effetto sorpresa: il premier contava di inaugurare la nona meraviglia del mondo nella prossima campagna elettorale, sottolineando l’enorme sforzo sostenuto a dispetto degli ambientalisti affetti da sindrome Nimby e della pesante eredità dei precedenti governi pagati da Einstein per perpetuare la sorpassata teoria della relatività, e annunciando il prossimo passo: uno speciale collegamento del supertunnel a Nord col Tav in Valsusa (un’altra piccola galleria da Ginevra a Torino) e a Sud col Ponte sullo Stretto (un piccolo scavo fra il Gran Sasso e Reggio Calabria). Ma nulla sfugge a Gelmini occhio di lince. Che fosse il ministro più acuto e perspicace del governo lo si sospettava da tempo, ma ieri ha superato se stessa, a riprova del fatto che il cervello umano, purché collocato nella testa giusta, viaggia più veloce della luce e persino dei neutrini. Permane anche un’altra scuola di pensiero, tipica dei disfattisti, che riferiamo per puro dovere di cronaca e che sostiene dell’inesistenza del tunnel e del relativo stanziamento di 45 milioni. La spiegazione, secondo i malpensanti, andrebbe cercata fra queste quattro.

1) La ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca ha voluto adeguarsi al livello medio dell’Istruzione, Università e Ricerca creato dalle sue riforme.

2) La ministra non sa cosa sia un neutrino e, avendo appreso che alcuni dei medesimi erano partiti da Ginevra raggiungendo rapidamente il Gran Sasso, ha dedotto che, data la distanza e in assenza di aeroporti abruzzesi, abbiano viaggiato in auto o in treno.

3) L’unico tunnel realizzato dal governo B. è quello scavato nella testa, peraltro molto spaziosa, della ministra.

4) Dopo il contributo dato alla fuga dei cervelli, la Gelmini ha visto fuggire anche il suo. Il corpo però rimane saldamente in Italia.


fonte articolo e foto 'Il Fatto Quotidiano'
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sabato 24 settembre 2011

Cicciolina, la casta non sei tu di Caterina Soffici

Meglio una spogliarellista di un ladro” commentò Leonardo Sciascia. “Meglio le luci rosse che i fondi neri” disse Giovanni Spadolini accogliendo l’arrivo di Cicciolina in Parlamento dal 1987 al 1992. Il 26 novembre l’ex onorevole pornostar compirà 60 anni e quindi inizierà a intascare i 3.108 euro di pensione. La notizia rimbalza da qualche giorno con grande scandalo. Cicciolina? Ma se non si è quasi mai vista in Parlamento. Cicciolina? Eppure non c’è bisogno di un novello Sciascia per affermare che è più onorevole dare una pensione a Cicciolina che a uno Scilipoti, a un Paniz o a uno qualsiasi dei deputati pidiellini che nel giorno in cui negano l’arresto per Milanese si mettono in fila per fare un pat pat solidale sulla spalla del collega indagato. Lo scandalo rimane un altro, ossia che la Casta continui a intascare un vitalizio dopo solo 5 anni di lavoro mentre agli altri comuni mortali è chiesto di posticipare l’età del riposo e alle donne di ritirarsi a 65 anni.
Così anche il Financial Times non perde l’occasione per sfottere l’ennesima volta il paese zimbello d’Europa e nota come “nell’anno in cui si suppone che l’Italia celebri il 150 compleanno da nazione moderna” fanno notizia anche altri compleanni. Si cita quello di un “imbonitore” che ne compirà 75 la settimana prossima (il quotidiano della City lo descrive così: “La chirurgia plastica, il make up e gli impianti di capelli lo fanno sembrare più giovane solo finché la macchina fotografica non si avvicina”). E poi si citano i 60 anni di Cicciolina (“Little Fleshy One”) e la relativa pensione che viene presentata come “simbolo del brutto andazzo della politica italiana”.
Queste ipocrite ondate di indignazione sembrano dettate più da ragioni di opportunismo bacchettone, bigottismo e moralismo perbenista che di indignazione anti Casta (ricordiamoci che sono 2.330 gli ex onorevoli pensionati). La guerra andrebbe fatta ai vitalizi tout court, a quelli che sommano il vitalizio parlamentare con altre pensioni, ai doppi e tripli assegni, ai baby pensionati e via elecando. Invece ci si scandalizza di Cicciolina. La quale, interpellata, ha risposto con dignità che lei rispetta una legge dello Stato e che dovessero tagliare i vitalizi ai parlamentari si adeguerebbe “ma sarà molto difficile che la votino, perché io prenderò tremila euro lordi al mese, ma ci sono deputati e senatori che ne prendono più di 15 mila” . Se poi si ricordano le circostanze della candidatura radicale di Cicciolina, non si può altro che solidarizzare con la ex starlette. Lei era la provocazione in carne e ossa. Lei era la porno denuncia di ben altri sconci parlamentari e in virtù di questo ventimila persone l’avevano scelta. Mica gente come la Nicole Minetti, eletta nel listino bloccato su volere di Papi.
Hanno chiesto a Cicciolina se sarebbe andata a una festa a Palazzo Grazioli invitata da B. Sapete cosa ha riposto? “Mi invitavano da destra e sinistra. Ho sempre declinato perché avevo la mia vita, i miei gatti, le mie serate. Dovevo lavorare, non perdere tempo per farmi promettere delle cose per una notte di amore. Non me ne fregava niente”.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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Mafiacitorio di Marco Travaglio

(vignetta Il Fatto-24.09.11)
Legalizzare la mafia sarà la regola del Duemila”, cantava De Gregori nel 1989. Finalmente ci siamo. I politici di governo parlano come i mafiosi. Altro che casta, questa è una cosca. L’altro giorno abbiamo segnalato il contributo del molto intelligente Ferrara alla mafiosizzazione del linguaggio politico, quando il tenutario di Radio Londra ha fatto un uso criminoso della tv pagata coi soldi di tutti per spiegare che B., versando centinaia di migliaia di euro a Tarantini e Lavitola, non ha pagato il pizzo al racket: si è solo garantito “la protezione”. Gli ha subito fatto eco il suo padrone con tutta la corte, fulminando il ministro Tremonti, reo di non aver votato per salvare dal carcere il fido Milanese, accusato solo di associazione a delinquere e altre robette. Ma come: la cosca si presenta compatta alla Camera per strappare un compare dalle grinfie degli sbirri, e uno dei boss se ne va all’estero? E dire che lo stesso Milanese, secondo il Corriere (mai smentito), l’aveva avvertito: “Se vado in galera, non ci andrò da solo”. Paniz era stato ancora più chiaro: “Se arrestano lui, domani potrebbe toccare a chiunque di noi”. È tutto un incrociarsi di ricatti, avvertimenti, minacce, messaggi trasversali. E non nelle intercettazioni, che al confronto sono roba da educande. Ma nelle dichiarazioni pubbliche. Del resto l’aveva detto il molto intelligente Ferrara a Micromega nel 2002: “Se non sei ricattabile, non puoi fare politica, perché non sei disposto a fare fronte comune”. Dunque il compito del ministro dell’Economia non è salvare il salvabile (ammesso che ci sia ancora qualcosa di salvabile) al Fmi, al G20 e in altri consessi internazionali: è fare il palo e tenere il sacco al compare di turno. “Meglio uno sbirro amico che un amico sbirro”, diceva Provenzano ai suoi picciotti secondo l’ultimo pentito di mafia. Infatti ora Tremonti è visto con sospetto, come il padrino che diserta i summit e qualcuno insinua che stia diventando “sbirro”, che stia trescando con la polizia. “Tremonti è immorale”, schiuma il boss del Consiglio: “Non essere venuto a votare per il suo amico, mentre noi ci mettevamo la faccia, è una cosa indegna”. Milanese: “Mi ha nauseato, io sono qui sulla graticola al posto suo e lui scappa”. La Santanchè: “Dobbiamo essere uniti nella buona e nella cattiva sorte”. Gli house organ della banda esultano nella migliore tradizione mafiosa perché un altro l’ha fatta franca. Libero: “Manettari scornati”. Il Giornale: “La maggioranza tiene, niente carcere per Milanese”. Poi mitragliano il traditore. “Tremonti scappa”, titola don Olindo. E Giordano, degno allievo: “Il coniglio dei ministri va in fuga. Mentre la maggioranza fa quadrato per salvare il suo collaboratore, lui taglia la corda”. Anche la scelta dei vocaboli è illuminante. Sono i manigoldi di tutte le risme che dicono “tagliare la corda”. Del resto sono 17 anni che il Parlamento condivide le stesse preoccupazioni delle bande criminali: come fuggire alle manette, alle intercettazioni, ai magistrati, ai processi, alle indagini, alle perquisizioni, agli interrogatori, ai pentiti, ai testimoni. E legifera di conseguenza. B. a Lavitola: “Te l’avevo detto che ci intercettavano”. B. al suo domestico Alfredo venuto a portagli tre telefonini peruviani appena omaggiati da Lavitola: “Ma guarda un po’, queste cose le fanno i mafiosi” (infatti cominciò subito a usarli). Lavitola a Tarantini: “Lo mettiamo in ginocchio... con le spalle al muro... alle corde... e lui ci dà tutti i soldi che vogliamo”. La D’Addario alla Montereale: “Mo’ voglio fare uscire fuori un po’ di cose”. E l’altra: “Sì, puoi fargli il culo come ha fatto Noemi, quella puttana”. A furia di frequentarle, il presidente del Consiglio ha rovinato anche le mignotte. Alla prossima festa della Polizia, i membri del governo si daranno alla fuga di massa. “Arriva la Madama”. “Ci hanno beccati”. “Oddio, la Pula”, “Metti in moto”. “Passami il piede di porco”. “Tagliamo la corda”.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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venerdì 23 settembre 2011

CRISI D’OPPOSIZIONE di Norma Rangeri

(vignetta Umberto Romaniello)
Scontato, ma non per questo meno indecoroso, il voto parlamentare che ieri ha salvato dall’arresto il deputato Marco Milanese e Berlusconi con lui. Qualche franco tiratore, la conferma di uno stallo, di un vuoto di governo nel momento di massima crisi economica, di imbarazzante decadenza morale, di vertiginosa inconsistenza politica. Si naviga a vista mentre i bollettini di guerra di borse e spread si accoppiano alla continua revisione, al ribasso, del Tesoro sulle previsioni di crescita dell’economia italiana. Persino il Fondo monetario internazionale ormai esterna i suoi dubbi con riferimenti espliciti alla capacità del presidente del consiglio di garantire stabilità degli equilibri politici e coesione sociale.Del resto si tratta di dubbi non solo legittimi ma ampiamente confermati da inequivocabili segnali provenienti dal cuore del potere berlusconiano.
In una giornata i titoli Mondadori e Mediaset hanno perso centosessanta milioni, un risultato direttamente legato alle fibrillazioni della vigilia del voto su Milanese. Un crollo sul mercato delle aziende presidenziali è utile pro-memoria del conflitto di interessi che opera come una sorta di governo-ombra, nitidamente rappresentato anche dall’ennesimo rinvio delle nomine Rai (direzioni di reti e di testate), da tempo sospese nel limbo di smottamenti imprevedibili.
Berlusconi resiste, non molla ma sa bene che salvare le proprie imprese e restare al governo è un unico programma. Per attuarlo dovrà sparare tutti i colpi di riserva, affrontando una campagna di comunicazione che non prevede prigionieri e ha bisogno di una televisione senza opposizioni credibili, ridotta a voce del padrone. Oggi più di sempre. Eppure la crisi e l’agonia del centrodestra non trovano una risposta delle opposizioni. Come prigioniere di un perverso effetto-contagio, proprio in questo momento chi dovrebbe rappresentare un’alternativa è invece al massimo della sua afasia politica.
Se in campo ci fosse una «manovra della sinistra», una moralità da spendere per la credibilità di una nuova classe di governo, potremmo rischiare il successo di una vera inversione di rotta e rompere il recinto della cittadella berlusconiana. Come hanno dimostrato le ultime prove elettorali (amministrative e referendarie) vinte su gambe robuste: un programma di radicale cambiamento, la credibilità delle leadership che se ne facevano garanti, la prefigurazione di una sinistra sociale e popolare.
Assistiamo invece alle passerelle dei soliti noti nei talk-show della sera, spese in una replica infinita dei vizi dell’avversario e delle proprie virtù. Scavalcati a sinistra non solo dalla piazza, come è naturale, ma dagli editoriali del giornalone della borghesia milanese che invoca il ritorno del vecchio Marx («Date a Marx unachance per salvare l’economia mondiale»). Ce lo vedete voi Bersani che cita il filosofo di Treviri quando ha difficoltà persino a farsi vedere in un comizio con Vendola e Di Pietro per non turbare l’umore di Casini?

fonte articolo 'Il Manifesto'
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