Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)

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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 30 settembre 2011

Nun ce lassà di Marco Travaglio

(vignetta Marilena Nardi)
In occasione del suo 75° compleanno, oltre agli auguri più affettuosi e riconoscenti, il Cavalier Patonza ci consentirà di chiedergli una cortesia. Non è per noi, che fortunatamente viviamo del nostro. È per quelli che si spacciano per “giornalisti di destra”, mentre, molto più modestamente, sono suoi impiegati. Quattro di loro, sentendosi minacciati in ciò che hanno di più caro – lo stipendio – levano alto e forte su Panorama un accorato appello a una sola voce al padrone: resta con noi Signore la sera (o almeno tutto il resto della giornata). Comincia Giorgio Mulè, il direttore. Il tema dell’editoriale è di notevole originalità: i giudici di Napoli “vogliono eliminare B.”. Prima erano i pm che volevano eliminarlo perché lo ritenevano vittima di estorsione (ipotesi fantascientifica, secondo l’house organ, per la decisiva ragione che B. negava di aver subito l’estorsione). Ora è il Riesame che vuole eliminarlo perché lo ritiene colpevole di aver istigato a suon di bigliettoni Tarantini a mentire (ipotesi fantascientifica, secondo l’house organ, per la decisiva ragione che “mai Tarantini ha fatto balenare di essere stato spinto dal Cavaliere a raccontare frottole ai magistrati”). In pratica, per il Mulè, il reato sussiste solo se l’indagato lo confessa. Dal che si deduce che Riina e Provenzano sono innocenti, visto che mai hanno fatto balenare il sospetto di essere mafiosi. Ergo, siccome il premier si proclama innocente, è innocente. Dunque non si deve dimettere. Giriamo pagina, ed ecco Giuliano Ferrara, noto teologo, avventurarsi in una raffinata esegesi dell’anatema del cardinal Bagnasco. A suo avviso, Bagnasco ha scomunicato “le bisbocce” di B. che sono uno “scandalo privato”, ma purtroppo sono “emerse in pubblico”, su su fino alla Cei. Fossero rimaste segrete, si sarebbero potute risolvere fra le quattro mura di una sacrestia, dove “i preti esercitano le arti dell’educazione e della persuasione privata da secoli, attraverso la confessione, il pentimento e l’espiazione delle colpe: ascoltano, giudicano nel segreto, assolvono e impongono penitenze”. Quante patonze, figliolo? Ah, 36 alla volta? Perfetto, 36 pateravegloria al giorno, prima e dopo i pasti. Più che il segreto istruttorio, Giuliano l’Aprostata invoca il segreto confessionale. Non vuol darla vinta ai “divorzisti, preservativisti, abortisti ed eugenetisti sostenitori della fabbricazione dei figli e del libero amore” che infestano la sinistra e i suoi giornali. Dunque B. non si deve dimettere. Voltiamo pagina, ed ecco Vespa. Si definisce “un epurato” (seguirà, a breve, apposito plastico dimostrativo). Afferma che “quasi tutte le reti tv e i giornali parlano male di B.”. Dipinge B. come “la persona più intercettata e processata del Paese”. Poi, dopo aver ammesso lacrimante che “il suo ciclo sta avviandosi a conclusione”, il noto umorista lo esorta a lasciarci “un partito moderato moderno” e “preparare il piano di rilancio”, modellato sul geniale “disegno di Alfano” (che sarebbe pure d’accordo, se solo sapesse di che si tratta). Giriamo pagina, ed ecco Minzolingua, il più affranto fra gli impiegati. Ce l’ha coi “grandi giornali” che vogliono sacrificare il suo Faro come “capro espiatorio”, tipo Craxi. E per cosa, poi? Per le sue “scappatelle”, “frugando nella sua vita privata”, “bacchettoni moralisti” e “congiurati maramaldi” che non sono altro. Pensino piuttosto alle “tangenti”, dei “politici che rubano” e sono tutti di sinistra (B., com’è noto, non è mai stato sfiorato da sospetti di tangenti, se no Minzolingua l’avrebbe saputo). Ergo B. deve fare come Aldo Moro e dire “non ci faremo processare nelle piazze”. E neppure nei tribunali. Infatti “l’uscita di scena di B. determinerebbe la fine del centrodestra, del bipolarismo e la resa all’offensiva giudiziaria”, e forse anche la fine del mondo. Per tutti questi motivi, egregio Cavalier Patonza, Le chiediamo di non mollare. O almeno di rassicurare i suoi impiegati che anche dopo continueranno a prendere lo stipendio. Lo faccia per noi, ma soprattutto per loro.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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