Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 11 gennaio 2011
A Mirafiori in gioco la democrazia di Loris Campetti
(vignetta Romaniello)
C’è un signore con la borsetta che gira il mondo cercando di vendere la suamerce aprezzo fisso. Non è un mercante arabo, nessuna trattativa è prevista: se vi va è così, altrimenti tanti saluti. Il liberismo nella globalizzazione non è un suq, la crisi e la concorrenza non perdonano e il ’900 è morto e sepolto con i suoi lacci e diritti. Il nostro mercante si chiama Sergio Marchionne, parla americano e detesta i dialetti, che sia sabaudo o partenopeo. È più capace nel vendere promesse in cambio di cieca obbedienza che non automobili. Nessuno le vuole, è merce vecchiotta. Ma lui giura che rinnoverà e triplicherà la produzione, darà lavoro a tutti, tanto lavoro. 10 ore al dì anzi 11, pause ridotte, mensa solo se c’è tempo, sciopero nisba, neanche un’influenza. È scritto sul contratto: se voti sì ti riassumo, investo per il futuro tuo e della fabbrica, sennò riparto con la mia valigetta e qualche pezzente più pezzente di te in qualche stato più pezzente di quello italiano lo troverò di sicuro.
Ecco il referendum con cui il 13 e il 14 Marchionne chiederà a 5.300 operai delle Carrozzerie di Mirafiori di prendere o lasciare: il 51% di sì farà vivere la fabbrica, il no la chiuderà. Che c’è di nuovo rispetto a Pomigliano? Una raffinatezza: i sindacati che non hanno firmato l’accordo non avranno più accesso alle linee di montaggio. Nessun delegato, del resto, neanche quelli dei sindacati complici, potrà essere eletto dai lavoratori,sarannonominati d’ufficio dagli stati maggiore.
Ci sono tre reazioni al diktat. La prima, maggioritaria in politica, al governo, tra sindacati e gli imprenditori, batte le mani e minaccia gli operai: che aspettate a piegare quella schiena? Non vorrete perdere investimenti e lavoro per un principio ammuffito? Guai a voi se farete fuggire all’estero la Fiat. La seconda reazione è quella della Fiom, che si oppone ai ricatti e informa gli operai di quel che stanno per votare, indicendoa ssembleee distribuendo a tutti il testo dell’accordo. Così potranno decidere concognizione di causa se il gioco vale la loro dignità.
Ci sono diritti non vendibili scritti in leggi,contratti,nello Statuto nella Costituzione e gli accordi o sono frutto di contrattazione o non esistono. La Fiom non riconosce la validità del referendum-truffa.
Poi c’è una terza reazione, uguale alla seconda ma con un finale diverso: noi siamo contrari, ma se il ricatto vincesse la Fiom dovrà riconoscere il risultato, adeguarsi e apporre la propria firma per non essere espulsa dalla fabbrica. È il punto di vista della maggioranza del gruppo dirigente Cgil.
Non sempre il pragmatismo riduce i danni. La forza accumulata dalla Fiom si fonda sull’ascolto dei lavoratori, sulla condivisione, sulla rappresentanza democratica. È tutta da dimostrare la possibilità che la Fiat possa cancellare il sindacato più rappresentativo, mentre è prevedibile che una rinuncia della Fiom a difendere la dignità della sua gente spezzerebbe quel legame straordinario e un’aspettativa che va crescendo ben oltre le fabbriche.
In questa settimana, ancora una volta a Torino, si gioca unapartita che riguarda la democrazia italiana.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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C’è un signore con la borsetta che gira il mondo cercando di vendere la suamerce aprezzo fisso. Non è un mercante arabo, nessuna trattativa è prevista: se vi va è così, altrimenti tanti saluti. Il liberismo nella globalizzazione non è un suq, la crisi e la concorrenza non perdonano e il ’900 è morto e sepolto con i suoi lacci e diritti. Il nostro mercante si chiama Sergio Marchionne, parla americano e detesta i dialetti, che sia sabaudo o partenopeo. È più capace nel vendere promesse in cambio di cieca obbedienza che non automobili. Nessuno le vuole, è merce vecchiotta. Ma lui giura che rinnoverà e triplicherà la produzione, darà lavoro a tutti, tanto lavoro. 10 ore al dì anzi 11, pause ridotte, mensa solo se c’è tempo, sciopero nisba, neanche un’influenza. È scritto sul contratto: se voti sì ti riassumo, investo per il futuro tuo e della fabbrica, sennò riparto con la mia valigetta e qualche pezzente più pezzente di te in qualche stato più pezzente di quello italiano lo troverò di sicuro.
Ecco il referendum con cui il 13 e il 14 Marchionne chiederà a 5.300 operai delle Carrozzerie di Mirafiori di prendere o lasciare: il 51% di sì farà vivere la fabbrica, il no la chiuderà. Che c’è di nuovo rispetto a Pomigliano? Una raffinatezza: i sindacati che non hanno firmato l’accordo non avranno più accesso alle linee di montaggio. Nessun delegato, del resto, neanche quelli dei sindacati complici, potrà essere eletto dai lavoratori,sarannonominati d’ufficio dagli stati maggiore.
Ci sono tre reazioni al diktat. La prima, maggioritaria in politica, al governo, tra sindacati e gli imprenditori, batte le mani e minaccia gli operai: che aspettate a piegare quella schiena? Non vorrete perdere investimenti e lavoro per un principio ammuffito? Guai a voi se farete fuggire all’estero la Fiat. La seconda reazione è quella della Fiom, che si oppone ai ricatti e informa gli operai di quel che stanno per votare, indicendoa ssembleee distribuendo a tutti il testo dell’accordo. Così potranno decidere concognizione di causa se il gioco vale la loro dignità.
Ci sono diritti non vendibili scritti in leggi,contratti,nello Statuto nella Costituzione e gli accordi o sono frutto di contrattazione o non esistono. La Fiom non riconosce la validità del referendum-truffa.
Poi c’è una terza reazione, uguale alla seconda ma con un finale diverso: noi siamo contrari, ma se il ricatto vincesse la Fiom dovrà riconoscere il risultato, adeguarsi e apporre la propria firma per non essere espulsa dalla fabbrica. È il punto di vista della maggioranza del gruppo dirigente Cgil.
Non sempre il pragmatismo riduce i danni. La forza accumulata dalla Fiom si fonda sull’ascolto dei lavoratori, sulla condivisione, sulla rappresentanza democratica. È tutta da dimostrare la possibilità che la Fiat possa cancellare il sindacato più rappresentativo, mentre è prevedibile che una rinuncia della Fiom a difendere la dignità della sua gente spezzerebbe quel legame straordinario e un’aspettativa che va crescendo ben oltre le fabbriche.
In questa settimana, ancora una volta a Torino, si gioca unapartita che riguarda la democrazia italiana.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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martedì 26 ottobre 2010
Landini: 'Le bugie e i silenzi di Marchionne' intervista di Loris Campetti
(vignetta Mauro Biani)
Se Marchionne è un metalmeccanico tu cosa sei, un finanziere? Un rentier? Ride Maurizio Landini,travolto in un vortice di riunioni sindacali, trattative, assemblee, talk show: «È vero, è un metalmeccanico. Anzi è 435 metalmeccanici, visto che guadagna 435 volte più di ciascuno di loro».
Landini riesce a trasmettere messaggi positivi e credibili perché, per dirla con Gramsci, è «in connessione sentimentale con il suo popolo». Ma il suo dna lo mette in sicurezza: il segretario generale della Fiom è innanzi tutto un operaio.
Marchionne è andato in tv e ha detto a Fabio Fazio che lui è un metalmeccanico e l’idea di «scendere in politica» non gli passa per l'anticamera del cervello. E a Landini, così corteggiato dalla sinistra? Altra risata: «La mia esperienza è di sindacalista, altro non mi interessa. Sulla politica posso solo esprimere la speranza che i partiti ricomincino a occuparsi di lavoro, sempre che vogliano rappresentare chi lavora. Sta in questa lacuna che dura da troppo tempo la prima ragione della crisidella sinistra». Il segretario risponde punto per unto alle considerazioni di Marchionne: «Il suo non era un messaggio forte. È segno di debolezza dire bugie sulle condizioni di lavoro, sugli accordi e tacere sui contenuti, sul piano industriale, sugli investimenti che non partono e i nuovi modelli che slittano al 2012».
Landini, come valuti l'intervista di Marchionne a «Che tempo che fa?
Marchionne ha detto cose inesatte sulle condizioni di lavoro, sugli accordi, sull'assentesismo e sulla produttività. Non è vero che a Mirafiori esista un accordo che riduce la pause da 40 a 30 minuti: le pause sono tre, rispettivamente da 15, 15 e 10 minuti per un totale di 40 minuti. Non è vero che dall'Italia non viene un euro – o un dollaro, se preferisce – di utili perché Ferrari fa utili, così come Iveco, Cnh, Sevel. Dal grosso dell'auto non vengono utili e neanche fatturato, perché a farla da padrona è la cassa integrazione. Non è vero che l'assenteismo è alto a Pomigliano, in pochi anni è sceso al 3,7%. Come fa a dire che Melfi non è produttiva, se fino a pochi mesi fa la si presentava al mondo e agli Usa come fiore all'occhiello della Fiat? Poi c'è quel che Marchionne non ha detto: nulla sui nuovi modelli, nulla sui tempi, nulla sui progetti e sugli investimenti.
Tu la butti in politica, mentre Marchionne ha detto che la Fiom in Fiat non conta niente, non più del 12%.
Degli iscritti, non dei sindacalizzati. Se fossimo ininfluenti, che problema ci sarebbe? Marchionne potrebbe andare avanti tranquillo. Ma non è così: tra i lavoratori, a Pomigliano come in tutti gli altri stabilimenti, c'è una grande preoccupazione, un dissenso forte contro un modello produttivo basato sullo scambio tra lavoro – solo ipotetico – e diritti certi. Nessun investimento è partito, neanche un euro è stato speso in Italia e i nuovi prodotti sono in grave ritardo. La Fiat sta perdendo vendite più degli altri, riduce la sua quota in Italia e in Europa. Gli altri produttori investono su ricerca e nuovi modelli, ciò significa che quando anche ripartisse la domanda la Fiat si troverebbe ancora in difficoltà. Altro che triplicare la produzione in Italia. Se aspetti tempi migliori per investire sei bell'e finito. E la cosa di cui Marchionne si vanta, che non ci sia alcun intervento pubblico sull'auto, e penso soprattutto alla ricerca su prodotti socialmente ed ecologicamente compatibili,non è un pregio ma un problema. Tutti gli altri stati stanno investendo,Obama docet.
Cosa vuole la Fiat: abbandonare l'Italia, perché sotto sotto Marchionne si aspettava un rifiuto da parte di tutti i sindacati del piano impresentabile di Pomigliano? Oppure vuole solo la firma, la complicità, della Fiom?
Marchionne sa che senza consenso di tutti i sindacati e della maggioranza dei lavoratori non si governa. A Pomigliano ha tentato di imporre un sistema senza vincoli per competere al ribasso. Ora le cose non funzionano e sa che il problema principale non è la Fiom, ma la sua stessa politica. Marchionne è molto preso negli Usa con la Chrysle e fa lo spin-off separando l'auto dal resto della Fiat, dalla parte cioè cheha sostenuto i suoi bilanci. Temo un depotenziamento dell'auto in Italia con l'obiettivo di trasformare la Fiat-Chrysler in Chrysler-Fiat. Perciò
dà per fatta la chiusura di Termini Imerese e magari a seguire quella di altri stabilimenti italiani. Per noi la partita Termini è completamente aperta.
Ma insomma, la volete riaprire o no una trattativa con la Fiat?
Fosse dipeso da noi non l’avremmo mai chiusa. Vogliamo trattare,discutere le scelte di politica industriale, i modelli, gli stabilimenti, l’occupazione. Anche l’organizzazione del lavoro, ma non a prescindere. Non sotto ricatto «o stai alle mie regole o chiudo tutto e chi s’è visto s’è visto». Se faranno la Newco costringendo i lavoratori a firmare le sue clausole incostituzionali prima della riassunzione, saranno responsabili di una clamorosa violazione delle regole democratiche.
Fim e Uilm sono in imbarazzo di fronte all’ennesimo schiaffo di Marchionne a cui hanno firmato una cambiale in bianco. Cosa diresti loro?
Avete abbandonato una posizione unitaria invece di andare avanti insieme per raggiungere un accordo migliore, rispettoso dei lavoratori e delle leggi. Ora valutate quel che accade: Marchionne scarica anche su di voi responsabilità che sono sue. Ripartiamo dai lavoratori, restituiamo la parola e le decisioni agli interessati, facciamoci dare un mandato a trattare con la Fiat. La strada degli accordi separati e delle deroghe ai contratti non porta da nessuna parte.Né fa bene alla Fiat.
La Fiat sta perdendo tutte le cause.
In pochi giorni si è presa due condanne per anti sindacalità, a Melfi e Torino. È una buona notizia che l’impiegato licenziato a Mirafiori abbia ripreso il suo lavoro. Ma a Melfi i tre licenziati sono fuori. Se Marchionne cerca il confronto dovrebbe far prevalere il buonsenso sulla prepotenza.
Il 16 c’è stata una grandissima manifestazione promossa dalla Fiom con al centro i diritti che ha coagulato il consenso e la partecipazione di ampi strati di popolazione. È stata una meta o l'avvio di un cammino comune?
Il 16 c'è stata una grande novità, anzi due. Il lavoro ha riconquistato una giusta visibilità e ha avuto la capacità di unire studenti, precari, movimenti, soggetti sociali sofferenti, migranti su un'idea diversa di società. Da piazza San Giovanni si sono alzate molte domande a cui dobbiamo rispondere.
Come Fiom lo faremo in fabbrica, difendendo l'occupazione, la condizione e i diritti dei lavoratori. Più in generale penso che la Cgil debba assumere la domanda di cambiamento e costruire un percorso che, attraverso la manifestazione
del 25 novembre, arrivi alla proclamazione dello sciopero generale. Rimandando al mittente l'idea della Confindustria che in nome della produttività vorrebbe cancellare tutto, contrattazione e diritti. È una ricetta sbagliata,nessun confronto può ripartire senza riconosce pari dignità al lavoro e alle imprese.
La Cgil ha colto questo messaggio, della piazza e della Fiom?
Emerge la volontà di riflettere, ma serve più coraggio: lo sciopero generale va deciso ora e deve effettuarsi in tempi utili a produrre risultati.
Che vuol dire in tempi utili?
Vuol dire entro l'anno. La seconda cosa che mi aspetto dalla Cgil è che faccia propria fino in fondo la battaglia per la democrazia nei luoghi di lavoro: ogni piattaforma e ogni accordo, per avere valore devono essere discussi e votati dai lavoratori.
Guido Viale ha scritto sul manifesto una lettera aperta alla Fiom per proporre un'alternativa all'auto e al modello di basato sulla mobilità individuale a quattro ruote. Cosa rispondi?
Viale affronta un tema importante che richiede cautela. Sono convinto anch'io che la pura estensione del modello attuale, ammesso che sia praticabile, provocherebbe un disastro di proporzioni globali. Il prodotto su cui incentrare ricerche e battaglie non può più essere semplicenente l'automa la mobilità. Ciò premesso, sai quante persone lavorano alla costruzione di automobili nel mondo? 12 milioni. Allora parliamo di quali vetture costruire, di quali propulsori, di elettricità,
dunque di ricerca e innovazione. Insieme alla costruzione di un nuovo modello di mobilità dobbiamo creare alternative occupazionali certe per chi oggi assembla carrozzerie e motori. Solo da una discussione concreta può partire la costruzione di un nuovo modello di sviluppo.
Fonte intervista 'Il Manifesto'
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Se Marchionne è un metalmeccanico tu cosa sei, un finanziere? Un rentier? Ride Maurizio Landini,travolto in un vortice di riunioni sindacali, trattative, assemblee, talk show: «È vero, è un metalmeccanico. Anzi è 435 metalmeccanici, visto che guadagna 435 volte più di ciascuno di loro».
Landini riesce a trasmettere messaggi positivi e credibili perché, per dirla con Gramsci, è «in connessione sentimentale con il suo popolo». Ma il suo dna lo mette in sicurezza: il segretario generale della Fiom è innanzi tutto un operaio.
Marchionne è andato in tv e ha detto a Fabio Fazio che lui è un metalmeccanico e l’idea di «scendere in politica» non gli passa per l'anticamera del cervello. E a Landini, così corteggiato dalla sinistra? Altra risata: «La mia esperienza è di sindacalista, altro non mi interessa. Sulla politica posso solo esprimere la speranza che i partiti ricomincino a occuparsi di lavoro, sempre che vogliano rappresentare chi lavora. Sta in questa lacuna che dura da troppo tempo la prima ragione della crisidella sinistra». Il segretario risponde punto per unto alle considerazioni di Marchionne: «Il suo non era un messaggio forte. È segno di debolezza dire bugie sulle condizioni di lavoro, sugli accordi e tacere sui contenuti, sul piano industriale, sugli investimenti che non partono e i nuovi modelli che slittano al 2012».
Landini, come valuti l'intervista di Marchionne a «Che tempo che fa?
Marchionne ha detto cose inesatte sulle condizioni di lavoro, sugli accordi, sull'assentesismo e sulla produttività. Non è vero che a Mirafiori esista un accordo che riduce la pause da 40 a 30 minuti: le pause sono tre, rispettivamente da 15, 15 e 10 minuti per un totale di 40 minuti. Non è vero che dall'Italia non viene un euro – o un dollaro, se preferisce – di utili perché Ferrari fa utili, così come Iveco, Cnh, Sevel. Dal grosso dell'auto non vengono utili e neanche fatturato, perché a farla da padrona è la cassa integrazione. Non è vero che l'assenteismo è alto a Pomigliano, in pochi anni è sceso al 3,7%. Come fa a dire che Melfi non è produttiva, se fino a pochi mesi fa la si presentava al mondo e agli Usa come fiore all'occhiello della Fiat? Poi c'è quel che Marchionne non ha detto: nulla sui nuovi modelli, nulla sui tempi, nulla sui progetti e sugli investimenti.
Tu la butti in politica, mentre Marchionne ha detto che la Fiom in Fiat non conta niente, non più del 12%.
Degli iscritti, non dei sindacalizzati. Se fossimo ininfluenti, che problema ci sarebbe? Marchionne potrebbe andare avanti tranquillo. Ma non è così: tra i lavoratori, a Pomigliano come in tutti gli altri stabilimenti, c'è una grande preoccupazione, un dissenso forte contro un modello produttivo basato sullo scambio tra lavoro – solo ipotetico – e diritti certi. Nessun investimento è partito, neanche un euro è stato speso in Italia e i nuovi prodotti sono in grave ritardo. La Fiat sta perdendo vendite più degli altri, riduce la sua quota in Italia e in Europa. Gli altri produttori investono su ricerca e nuovi modelli, ciò significa che quando anche ripartisse la domanda la Fiat si troverebbe ancora in difficoltà. Altro che triplicare la produzione in Italia. Se aspetti tempi migliori per investire sei bell'e finito. E la cosa di cui Marchionne si vanta, che non ci sia alcun intervento pubblico sull'auto, e penso soprattutto alla ricerca su prodotti socialmente ed ecologicamente compatibili,non è un pregio ma un problema. Tutti gli altri stati stanno investendo,Obama docet.
Cosa vuole la Fiat: abbandonare l'Italia, perché sotto sotto Marchionne si aspettava un rifiuto da parte di tutti i sindacati del piano impresentabile di Pomigliano? Oppure vuole solo la firma, la complicità, della Fiom?
Marchionne sa che senza consenso di tutti i sindacati e della maggioranza dei lavoratori non si governa. A Pomigliano ha tentato di imporre un sistema senza vincoli per competere al ribasso. Ora le cose non funzionano e sa che il problema principale non è la Fiom, ma la sua stessa politica. Marchionne è molto preso negli Usa con la Chrysle e fa lo spin-off separando l'auto dal resto della Fiat, dalla parte cioè cheha sostenuto i suoi bilanci. Temo un depotenziamento dell'auto in Italia con l'obiettivo di trasformare la Fiat-Chrysler in Chrysler-Fiat. Perciò
dà per fatta la chiusura di Termini Imerese e magari a seguire quella di altri stabilimenti italiani. Per noi la partita Termini è completamente aperta.
Ma insomma, la volete riaprire o no una trattativa con la Fiat?
Fosse dipeso da noi non l’avremmo mai chiusa. Vogliamo trattare,discutere le scelte di politica industriale, i modelli, gli stabilimenti, l’occupazione. Anche l’organizzazione del lavoro, ma non a prescindere. Non sotto ricatto «o stai alle mie regole o chiudo tutto e chi s’è visto s’è visto». Se faranno la Newco costringendo i lavoratori a firmare le sue clausole incostituzionali prima della riassunzione, saranno responsabili di una clamorosa violazione delle regole democratiche.
Fim e Uilm sono in imbarazzo di fronte all’ennesimo schiaffo di Marchionne a cui hanno firmato una cambiale in bianco. Cosa diresti loro?
Avete abbandonato una posizione unitaria invece di andare avanti insieme per raggiungere un accordo migliore, rispettoso dei lavoratori e delle leggi. Ora valutate quel che accade: Marchionne scarica anche su di voi responsabilità che sono sue. Ripartiamo dai lavoratori, restituiamo la parola e le decisioni agli interessati, facciamoci dare un mandato a trattare con la Fiat. La strada degli accordi separati e delle deroghe ai contratti non porta da nessuna parte.Né fa bene alla Fiat.
La Fiat sta perdendo tutte le cause.
In pochi giorni si è presa due condanne per anti sindacalità, a Melfi e Torino. È una buona notizia che l’impiegato licenziato a Mirafiori abbia ripreso il suo lavoro. Ma a Melfi i tre licenziati sono fuori. Se Marchionne cerca il confronto dovrebbe far prevalere il buonsenso sulla prepotenza.
Il 16 c’è stata una grandissima manifestazione promossa dalla Fiom con al centro i diritti che ha coagulato il consenso e la partecipazione di ampi strati di popolazione. È stata una meta o l'avvio di un cammino comune?
Il 16 c'è stata una grande novità, anzi due. Il lavoro ha riconquistato una giusta visibilità e ha avuto la capacità di unire studenti, precari, movimenti, soggetti sociali sofferenti, migranti su un'idea diversa di società. Da piazza San Giovanni si sono alzate molte domande a cui dobbiamo rispondere.
Come Fiom lo faremo in fabbrica, difendendo l'occupazione, la condizione e i diritti dei lavoratori. Più in generale penso che la Cgil debba assumere la domanda di cambiamento e costruire un percorso che, attraverso la manifestazione
del 25 novembre, arrivi alla proclamazione dello sciopero generale. Rimandando al mittente l'idea della Confindustria che in nome della produttività vorrebbe cancellare tutto, contrattazione e diritti. È una ricetta sbagliata,nessun confronto può ripartire senza riconosce pari dignità al lavoro e alle imprese.
La Cgil ha colto questo messaggio, della piazza e della Fiom?
Emerge la volontà di riflettere, ma serve più coraggio: lo sciopero generale va deciso ora e deve effettuarsi in tempi utili a produrre risultati.
Che vuol dire in tempi utili?
Vuol dire entro l'anno. La seconda cosa che mi aspetto dalla Cgil è che faccia propria fino in fondo la battaglia per la democrazia nei luoghi di lavoro: ogni piattaforma e ogni accordo, per avere valore devono essere discussi e votati dai lavoratori.
Guido Viale ha scritto sul manifesto una lettera aperta alla Fiom per proporre un'alternativa all'auto e al modello di basato sulla mobilità individuale a quattro ruote. Cosa rispondi?
Viale affronta un tema importante che richiede cautela. Sono convinto anch'io che la pura estensione del modello attuale, ammesso che sia praticabile, provocherebbe un disastro di proporzioni globali. Il prodotto su cui incentrare ricerche e battaglie non può più essere semplicenente l'automa la mobilità. Ciò premesso, sai quante persone lavorano alla costruzione di automobili nel mondo? 12 milioni. Allora parliamo di quali vetture costruire, di quali propulsori, di elettricità,
dunque di ricerca e innovazione. Insieme alla costruzione di un nuovo modello di mobilità dobbiamo creare alternative occupazionali certe per chi oggi assembla carrozzerie e motori. Solo da una discussione concreta può partire la costruzione di un nuovo modello di sviluppo.
Fonte intervista 'Il Manifesto'
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sabato 16 ottobre 2010
L'importanza di partecipare alla manifestazione della FIOM di Guido Paniccia
La precedente nota serba chiara all'interno un discorso viscerale, sanguigno, molto di parte è piuttosto evidente. Tutto e forse troppo permeato di emotività, fazioso quasi, teso allo schierarsi, a ragione secondo me, perché si è nel giusto. Chi si oppone a ciò, afferma con una certa sicumera illuminante però, che è in gioco anche altro; gli effetti della globalizzazione costringe a pensare categorie più complesse, rivedere parametri sino ad ora universali. Si dovrebbe affrontare il discorso con consapevolezza ed un certo coraggio, mettere in discussione antiche certezze, ora quasi vetuste ed obsolete, in nome della competitività globale, sul modello delle economie emergenti viste come i nuovi baluardi dell'economia mondiale. Affermando questo poi, il messaggio che Confindustria e Federmeccanica {scavalcata insolentemente dalla FIAT giova ricordarlo nella vicenda Pomigliano} ci consegnano è quello un po' stantio degli ultimi tempi, secondo il quale è necessario lavorare di più, aumentare la produttività così risolvendo d'incanto tutte le problematiche industriali del bel paese. Che poi equivale a dire che gli operai italiani sono un tantino sfaticati, quando non fannulloni. Paolo Mieli, persona colta ed equilibrata alquanto, commentando gli avvenimenti ha affermato con un certo professionale distacco, che d'ora in avanti non si tornerà più indietro. Il professor Giuliano Amato, politico di lungo corso, ha ricordato come secondo lui, Marchionne e la FIAT vorrebbero portare gli operai italiani a lavorare come i tedeschi, e non come lavorano i cinesi, secondo le paure espresse dalle maestranze di Pomigliano e Termini Imerese. Il che magari sarà anche vero, ma non si può omettere dal ragionamento che in Germania ad esempio, un operaio guadagna molto di più rispetto ad un suo omologo italiano. Ma non solo, il potere d'acquisto qui da noi ha perduto molta capacità negli ultimi anni rispetto agli altri paesi d'Europa. Ammesso che le ragioni portate da questa corrente di pensiero fosse universalmente valide, ci si dimentica però di quella variabile del processo produttivo che risponde alla persona, a colui che in fabbrica ci vive, ed a volte ci muore pure. In questi giorni si fa un gran parlare di tutto, anche ad un livello altamente specialistico rispetto alla materia lavoro, con argomenti che possono anche far vacillare, tanto la loro analisi si rivela apparentemente conoscitiva e precisa, ma non in molti accennano a porre al centro del problema la vita, intesa come qualità dei lavoratori. Credo sia sconfortante. Così come sconfortante è la posizione assunta dalle altre confederazioni sindacali, la CISL innanzitutto che, per bocca del suo segretario Raffaele Bonanni, incita Corso Marconi ad non piegarsi al ricatto della FIOM {?!?}. Credo che dichiarazioni di questo tipo non predispongono animi già agitati, alla tranquilla analisi del momento difficile, e diventa quasi fisiologico la reazione dure ed incentrata sulla contestazione aperta. Nel caso specifico, attraverso lanci di uova e manifestazioni rumorose [e fumose], ma mai particolarmente violente, tali quelle che erano solite praticare le squadracce fasciste evocate da Bonanni, che evidentemente ha praticato lo sport preferito da certi italiani dell'ultima ora, di farla fuori del vaso. Non una parola sulla perdita di competitività da parte delle aziende italiane, che metta al centro altre cause scatenanti, come non aver investito risorse nel campo della ricerca., ad esempio. Ora senza dilungarci troppo in argomenti che bisognerebbe conoscere a fondo dal punto di vista economico, viene più di un sospetto sulle reali intenzioni della maggiore industria italiana, che pretende di far firmare un accordo al 95% della classe lavoratrice di Pomigliano, salvo poi non discutere con una parte dei soggetti in causa, del piano industriale. Prendere o lasciare e per di più, a scatola rigidamente chiusa. Penso non sia necessario essere un economista per capire che discorsi di questo tipo sono molto pericolosi ed infidi al contempo, ma non solo per chi lavora in FIAT, ma per tutti i lavoratori di questo paese, nonché per coloro, e sono pure tanti che il lavoro lo hanno perso. È passata un po' in sordina la notizia ad esempio che, nell'Ateneo di Bologna ai ricercatori che minacciavano di bloccare l'attività didattica per protestare contro la mannaia gelminiana, sia stata paventata l'assunzione del metodo Marchionne [si parla già di metodo!], rimpiazzando di sana pianta i rivoltosi con forza lavoro maggiormente disperata, e quindi facilmente plasmabile alla nuova tendenza dell'efficientismo di quest'Italia berlusconizzata nella testa ed ahimé ho paura, anche nel cuore!
Ribadisco pertanto l'importanza di dare un segnale forte, partecipando in massa alla manifestazione di sabato 16 Ottobre a Roma.
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