
Alla fine il desiderio di Valter
Lavitola è stato esaudito: «Non sarà sul piano giudiziario,ma su quello mediatico che stasera potrò dimostrare di non essere l’uomo nero». Dopo aver visto il programma Bersaglio Mobile, inaugurato da Enrico Mentana su La7, effettivamente davanti a noi non ha parlato l’uomo nero, ma un faccendiere, un traffichino, uno della famiglia allargata del sottobosco berlusconiano. Sembrava quasi che avesse insistito lui per essere immortalato dalle telecamere. Aveva voglia di parlare, di spiegare, di fare battute, persino di ribaltare il senso delle intercettazioni più compromettenti («lo mettiamo in ginocchio, con le spalle al muro»). In parte c’è anche riuscito. Nemmeno Marco
Travaglio, il giornalista leader dei mastini della cronaca giudiziaria, ha saputo scalfire il buonumore del latitante. Quando gli ha chiesto di spiegare perché si è iscritto alla massoneria e se avesse un grado superiore a quello di
Berlusconi, lasciando intuire un rapporto gerarchico occulto,
Lavitola sorridendo gli ha risposto senza problemi: «Mi sono iscritto a diciotto anni, sono sempre rimasto al grado più basso di apprendista, e mi hanno messo in sonno dopo poco tempo, quando ho smesso di pagare le quote». Più o meno il copione si è ripetuto per tutta la durata dell’intervista multipla (insieme a
Travaglio c’erano Carlo
Boninidi Repubblica, Marco
Lillo del Fatto e Corrado
Formigli de La7). Il fatto è che in tv i processi, come sa bene Bruno
Vespa che ne ha fatto un genere, sono sempre molto utili passerelle degli imputati (da Cogne a Perugia, da Andreotti a Previti) che si trovano davanti non i pubblici ministeri che possono contestare, come succede nelle aule dei tribunali, le affermazioni dell’accusato servendosi delle carte dell’istruttoria, ma giornalisti che per quanto esperti e preparati non possono conoscere a memoria l’inchiesta. È consigliabile evitare di fare un uso improprio della tv, mezzo eccellente per confrontare opinioni, ma inadatto per accertare veritàche solo le sentenze possono offrire.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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