Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 14 giugno 2011
MASSA CRITICA di Norma Rangeri
(vignetta Mauro Biani)
Se i risultati delle elezioni dei sindaci segnano una svolta, quelli dei referendum la definiscono: il 57 per cento di votanti polverizza la soglia del quorum e ci consegna una svolta storica.
Osteggiati dai partiti, irrisi dagli analisti, boicottati dal populismo berlusconiano, i referendum resuscitano e segnano, come già molte altre volte nella nostra storia, il tramonto di un’intera fase politica. Un messaggio chiaro (e devastante) per le destre, un avvertimento (preciso) per il centrosinistra.
Ha vinto un paese stufo ma non rassegnato, che fa da sé e si muove con strutture orizzontali, per piccoli gruppi, organizzando la propria agenda tra lo scetticismo generale, con l’appoggio di qualche giornale e l’oscuramento dei grandi mezzi di comunicazione. Dimostrando di essere capaci di rappresentare l’interesse generale: prima raccogliendo milioni di firme, poi portando al voto una larghissima maggioranza dei cittadini (dentro quel 57 per cento c’è il 93 per cento di sì). Trainato dall’apparente ossimoro di questioni insieme concrete e di grande valenza simbolica, si è mosso un altro modo di fare politica e la politica finalmente ha ripreso quota. Dall’acqua pubblica al nucleare (indicazioni programmatiche di un’agenda ecologista antiliberista)al legittimo impedimento (voto popolare contro Berlusconi), dalla partecipazione del mondo cattolico (fino al papa) al popolo della Rete e dei Comitati, il voto referendario mantiene saldamente la rotta alternativa tracciata dalle elezioni amministrative, la conferma, la rafforza, la spinge verso nuovi approdi.
La scandalosa affluenza fa scoppiare la vecchia coppia al potere: Bossi e Berlusconi, insieme sugli altari della lunga stagione dell’egoismo sociale, insieme nella crisi con la propria base elettorale. Bossi che si unisce a Berlusconi nell’ostentazione dell’astensione (mentre tutto il nord corre al voto) è solo l’ultimo segno del declino. Ma la campana suona anche a sinistra, parla al principale partito di opposizione che affigge i manifesti con i quattro Sì solo a pochi giorni dall’appuntamento elettorale.
Nessun recinto regge all’urto di un’onda che chiede di uscire dall’incubo del berlusconismo cambiando i connotati al linguaggio, capovolgendo le priorità della politica, come la passione dei movimenti di piazza ha testardamente testimoniato.
Pochi nelle vecchie élite hanno avuto la capacità di ascoltare e decifrare il tramonto di un sistema, e sui referendum solo Di Pietro ha lavorato e creduto nella vittoria. Se si considerano le potenti armate mobilitate per far fallire la partecipazione al voto (la tv silente, le manovre di leggi-truffa sul nucleare), se si aggiunge il freno del Pd (legittimo impedimento? un boomerang), quel 57 per cento raddoppia persino il suo potenziale alternativo. Consegnando al futuro prossimo il terzo round: vinte due battaglie ora ci aspetta la terza: le dimissioni di Berlusconi. Dopo, tutti al mare.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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Se i risultati delle elezioni dei sindaci segnano una svolta, quelli dei referendum la definiscono: il 57 per cento di votanti polverizza la soglia del quorum e ci consegna una svolta storica.
Osteggiati dai partiti, irrisi dagli analisti, boicottati dal populismo berlusconiano, i referendum resuscitano e segnano, come già molte altre volte nella nostra storia, il tramonto di un’intera fase politica. Un messaggio chiaro (e devastante) per le destre, un avvertimento (preciso) per il centrosinistra.
Ha vinto un paese stufo ma non rassegnato, che fa da sé e si muove con strutture orizzontali, per piccoli gruppi, organizzando la propria agenda tra lo scetticismo generale, con l’appoggio di qualche giornale e l’oscuramento dei grandi mezzi di comunicazione. Dimostrando di essere capaci di rappresentare l’interesse generale: prima raccogliendo milioni di firme, poi portando al voto una larghissima maggioranza dei cittadini (dentro quel 57 per cento c’è il 93 per cento di sì). Trainato dall’apparente ossimoro di questioni insieme concrete e di grande valenza simbolica, si è mosso un altro modo di fare politica e la politica finalmente ha ripreso quota. Dall’acqua pubblica al nucleare (indicazioni programmatiche di un’agenda ecologista antiliberista)al legittimo impedimento (voto popolare contro Berlusconi), dalla partecipazione del mondo cattolico (fino al papa) al popolo della Rete e dei Comitati, il voto referendario mantiene saldamente la rotta alternativa tracciata dalle elezioni amministrative, la conferma, la rafforza, la spinge verso nuovi approdi.
La scandalosa affluenza fa scoppiare la vecchia coppia al potere: Bossi e Berlusconi, insieme sugli altari della lunga stagione dell’egoismo sociale, insieme nella crisi con la propria base elettorale. Bossi che si unisce a Berlusconi nell’ostentazione dell’astensione (mentre tutto il nord corre al voto) è solo l’ultimo segno del declino. Ma la campana suona anche a sinistra, parla al principale partito di opposizione che affigge i manifesti con i quattro Sì solo a pochi giorni dall’appuntamento elettorale.
Nessun recinto regge all’urto di un’onda che chiede di uscire dall’incubo del berlusconismo cambiando i connotati al linguaggio, capovolgendo le priorità della politica, come la passione dei movimenti di piazza ha testardamente testimoniato.
Pochi nelle vecchie élite hanno avuto la capacità di ascoltare e decifrare il tramonto di un sistema, e sui referendum solo Di Pietro ha lavorato e creduto nella vittoria. Se si considerano le potenti armate mobilitate per far fallire la partecipazione al voto (la tv silente, le manovre di leggi-truffa sul nucleare), se si aggiunge il freno del Pd (legittimo impedimento? un boomerang), quel 57 per cento raddoppia persino il suo potenziale alternativo. Consegnando al futuro prossimo il terzo round: vinte due battaglie ora ci aspetta la terza: le dimissioni di Berlusconi. Dopo, tutti al mare.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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