Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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venerdì 18 febbraio 2011
UNITÀ D’ITALIA: Centocinquant’anni o ventiquattro? di Alessandro Robecchi
Questa mattina è in programma un atteso consiglio dei ministri. Non si farà a L’Aquila, perché nonostante il Tg1 si è diffusa la notizia che la città è distrutta. Né a Napoli, perché corre voce che la monnezza sia ancora in agguato a dispetto delle promesse di papi. Si farà a Roma alle nove e mezza, perché è un periodo che Berlusconi va a letto presto. Forse sarà il primo consiglio dei ministri aperto da una telefonata di Mauro Masi, ma questo ancora non si sa con certezza, perché gli scherzi telefonici del direttore generale della Rai funzionano solo se sono a sorpresa.È certo invece che La Russa non prenderà a calci nessuno, forzando così la sua natura. Il Consiglio deiministri di questa mattina si occuperà di alcune piccolezze, per esempio di come truffare gli italiani con «campagne informative» sulle centrali nucleari. Il clou della toccante cerimonia riguarderà però la festa del prossimo del 17 marzo. Si festeggia l’Unità d’Italia, che come tutti sanno ha centocinquant’anni, anche se aveva detto a Berlusconi di averne ventiquattro, e lui le ha dato una busta con ventimila euro.
Nonostante siano tutti favorevoli a fare festa il 17 marzo, le posizioni restano distanti: si farà festa facendo festa oppure si farà festa lavorando e fingendo che non sia festa? A lanciare il dibattito fu, qualche settimana fa, Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che, pur entusiasta della ricorrenza, pregò le istituzioni di non dire troppo in giro che è una festa, se no la gente non va a lavorare. Il sistema produttivo italiano perderebbe due miliardi, disse. È bastato questo per mandare il governo nella più terribile confusione: da una parte gli ex colonnelli di An risoluti a festeggiare come pazzi, dall’altra i colonnelli leghisti decisi a festeggiare senza muoversi dal tornio. Venuto a conoscenza delle due posizioni, il ministro del Lavoro Sacconi ha dichiarato: «Sarebbe meglio lavorare e festeggiare insieme» (giuro, l’ha detto veramente!). A sbilanciarsi è stata solo la ministra Maria Stella Gelmini, secondo la quale lavorare nel giorno di festa sarebbe «fare un atto d’amore verso il nostro paese», subito sbertucciata dai presidi e dagli studenti, oltreché dalla sua alleata Polverini che ha detto che nel Lazio le scuole saranno chiuse. Un chiaro caso di coesione nella maggioranza. La posizione della Lega, è più articolata: «Assurdo fermare il Paese per la festa del 150esimo», titolava la Padania settimana scorsa. Le faceva eco Bossi («Bisogna lavorare»), cui seguiva il sempre libero e autonomo pensiero di Calderoli («Bisogna lavorare»).
Quanto alle opposizioni, a partire dal Pd e dal sindaco di Torino Chiamparino, è chiaro che la festa dev’essere una festa, anche se a più d’uno lo spettacolo di Calderoli che lavora, almeno per un giorno, sarà parso affascinante. Alla fine, si deciderà questa mattina in un festante, seppur lavorativo, per dirla alla Sacconi, consiglio dei ministri. L’esito del dibattito sarà noto prima di mezzogiorno. Non si prevedono caroselli per le strade anche a causa dell’indifferenza di un giovane italiano su tre che, comunque vada, il 17 marzo non andrà a lavorare, essendo disoccupato.
fonte articolo'Il Manifesto'
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Nonostante siano tutti favorevoli a fare festa il 17 marzo, le posizioni restano distanti: si farà festa facendo festa oppure si farà festa lavorando e fingendo che non sia festa? A lanciare il dibattito fu, qualche settimana fa, Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che, pur entusiasta della ricorrenza, pregò le istituzioni di non dire troppo in giro che è una festa, se no la gente non va a lavorare. Il sistema produttivo italiano perderebbe due miliardi, disse. È bastato questo per mandare il governo nella più terribile confusione: da una parte gli ex colonnelli di An risoluti a festeggiare come pazzi, dall’altra i colonnelli leghisti decisi a festeggiare senza muoversi dal tornio. Venuto a conoscenza delle due posizioni, il ministro del Lavoro Sacconi ha dichiarato: «Sarebbe meglio lavorare e festeggiare insieme» (giuro, l’ha detto veramente!). A sbilanciarsi è stata solo la ministra Maria Stella Gelmini, secondo la quale lavorare nel giorno di festa sarebbe «fare un atto d’amore verso il nostro paese», subito sbertucciata dai presidi e dagli studenti, oltreché dalla sua alleata Polverini che ha detto che nel Lazio le scuole saranno chiuse. Un chiaro caso di coesione nella maggioranza. La posizione della Lega, è più articolata: «Assurdo fermare il Paese per la festa del 150esimo», titolava la Padania settimana scorsa. Le faceva eco Bossi («Bisogna lavorare»), cui seguiva il sempre libero e autonomo pensiero di Calderoli («Bisogna lavorare»).
Quanto alle opposizioni, a partire dal Pd e dal sindaco di Torino Chiamparino, è chiaro che la festa dev’essere una festa, anche se a più d’uno lo spettacolo di Calderoli che lavora, almeno per un giorno, sarà parso affascinante. Alla fine, si deciderà questa mattina in un festante, seppur lavorativo, per dirla alla Sacconi, consiglio dei ministri. L’esito del dibattito sarà noto prima di mezzogiorno. Non si prevedono caroselli per le strade anche a causa dell’indifferenza di un giovane italiano su tre che, comunque vada, il 17 marzo non andrà a lavorare, essendo disoccupato.
fonte articolo'Il Manifesto'
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