Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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domenica 9 gennaio 2011
Nano contro resto del mondo di Marco Travaglio
(vignetta steffanpaulus)
Mentre il nano bollito passa il suo tempo a guardarsi dai complotti di Fini e Casini, dei terribili “comunisti” del Pd, delle immancabili toghe rosse e dei terribili tupamaros della Corte costituzionale, e ora persino di Tremonti e di Feltri, gli sfugge qualcosa di terribilmente più grande e pericoloso che congiura contro di lui: il resto del mondo. Non passa giorno senza che le cronache dall’estero raccontino come funzionano i paesi normali, col rischio che i giudici della Consulta ne siano influenzati in vista della sentenza sul legittimo impedimento. L’altro giorno la condanna per stupro e molestie sessuali dell’ex presidente israeliano Moshe Katzav: “Ex” perché si era dimesso tre anni fa alle prime notizie sull’indagine. Rischia fino a 16 anni, cioè finirà certamente in galera. Un paio di mesi fa, le dimissioni del deputato ed ex ministro laburista inglese Phil Woolas, raggiunto da una gravissima accusa: avere mentito in campagna elettorale, additando un avversario politico come simpatizzante dell’estremismo islamico (più o meno quel che ha detto Gasparri di Obama il giorno della sua elezione). Per quella bugia la sua elezione è stata invalidata: Woolas ha dovuto lasciare la Camera, è stato scaricato dal suo partito e rischia pure l’arresto. L’altroieri – i particolari a pag. 19 – un altro ex deputato laburista inglese, David Chaytor, è finito in carcere dopo la condanna a 18 mesi in primo grado (ma lì le sentenze di tribunale sono immediatamente esecutive) per essersi fatto rimborsare dallo Stato la bellezza di 22 mila euro per l’affitto di un appartamento: il che sarebbe stato suo diritto, se non si fosse scoperto che la padrona di casa era sua figlia. “Ex” anche lui perché s’è dimesso dalla Camera, ha confessato tutto, è stato cacciato dai laburisti, si è ritirato dalla vita politica, ha restituito il maltolto con gli interessi e alla fine il giudice l’ha condannato senza sospensione condizionale della pena perché “lo scandalo dei rimborsi spese ha fatto vacillare la fiducia nel legislatore e, quando un pubblico ufficiale è colpevole di offese del genere, devono seguire sanzioni penali, così che le persone capiscano quant’è importante essere onesti per maneggiare fondi pubblici”. Ecco perché, all’estero, i processi ai politici non condizionano la politica e le istituzioni: perché i politici, appena raggiunti dal benché minimo sospetto, si dimettono o sono costretti a farlo dai loro stessi partiti; così poi i giudici processano degli “ex”, dei pensionati, lontani dalla politica e dalle istituzioni. Per preservare le quali non si aboliscono inchieste e processi: si cacciano inquisiti e imputati. Se poi questi vengono assolti, tornano a fare politica. Se vengono condannati, spariscono dalla circolazione. In ogni caso, i partiti e le istituzioni escono non screditati, ma rafforzati perché dimostrano di saper fare pulizia al proprio interno. Così nessuno si sogna di ipotizzare “scontri” fra giustizia e politica. O di caricare i giudici di responsabilità politiche, avvertendoli minacciosamente – come fanno gli onorevoli avvocati di B. ogni volta che un tribunale o la Consulta deve giudicare B. o una legge pro B. – che la loro decisione influenzerà la stabilità del governo e i destini del Paese. O di invocare l’esigenza di “mettere al riparo” o “in sicurezza” premier, ministri e parlamentari da inchieste e processi per “tutelarne l’attività” (così delirava ancora ieri il Corriere della Sera). Tornando in Italia, gli ultimi boatos dalla Corte, tra un rinvio e l’altro, scommettono su un pateracchio che salva di fatto l’impunità del premier fingendo di bocciarla: un inciucio all’italiana che, per giunta, impedirebbe ai cittadini di esprimersi nel referendum. Gli azzeccagarbugli la chiamano soavemente “sentenza additiva di illegittimità”. Facciano pure come credono. Ma non ci raccontino la favola delle “altre democrazie”, perché non attacca. Nelle democrazie l’unico impedimento è quello che impedisce agli inquisiti e agli imputati di sedere nelle istituzioni. Non in tribunale o in galera.
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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Mentre il nano bollito passa il suo tempo a guardarsi dai complotti di Fini e Casini, dei terribili “comunisti” del Pd, delle immancabili toghe rosse e dei terribili tupamaros della Corte costituzionale, e ora persino di Tremonti e di Feltri, gli sfugge qualcosa di terribilmente più grande e pericoloso che congiura contro di lui: il resto del mondo. Non passa giorno senza che le cronache dall’estero raccontino come funzionano i paesi normali, col rischio che i giudici della Consulta ne siano influenzati in vista della sentenza sul legittimo impedimento. L’altro giorno la condanna per stupro e molestie sessuali dell’ex presidente israeliano Moshe Katzav: “Ex” perché si era dimesso tre anni fa alle prime notizie sull’indagine. Rischia fino a 16 anni, cioè finirà certamente in galera. Un paio di mesi fa, le dimissioni del deputato ed ex ministro laburista inglese Phil Woolas, raggiunto da una gravissima accusa: avere mentito in campagna elettorale, additando un avversario politico come simpatizzante dell’estremismo islamico (più o meno quel che ha detto Gasparri di Obama il giorno della sua elezione). Per quella bugia la sua elezione è stata invalidata: Woolas ha dovuto lasciare la Camera, è stato scaricato dal suo partito e rischia pure l’arresto. L’altroieri – i particolari a pag. 19 – un altro ex deputato laburista inglese, David Chaytor, è finito in carcere dopo la condanna a 18 mesi in primo grado (ma lì le sentenze di tribunale sono immediatamente esecutive) per essersi fatto rimborsare dallo Stato la bellezza di 22 mila euro per l’affitto di un appartamento: il che sarebbe stato suo diritto, se non si fosse scoperto che la padrona di casa era sua figlia. “Ex” anche lui perché s’è dimesso dalla Camera, ha confessato tutto, è stato cacciato dai laburisti, si è ritirato dalla vita politica, ha restituito il maltolto con gli interessi e alla fine il giudice l’ha condannato senza sospensione condizionale della pena perché “lo scandalo dei rimborsi spese ha fatto vacillare la fiducia nel legislatore e, quando un pubblico ufficiale è colpevole di offese del genere, devono seguire sanzioni penali, così che le persone capiscano quant’è importante essere onesti per maneggiare fondi pubblici”. Ecco perché, all’estero, i processi ai politici non condizionano la politica e le istituzioni: perché i politici, appena raggiunti dal benché minimo sospetto, si dimettono o sono costretti a farlo dai loro stessi partiti; così poi i giudici processano degli “ex”, dei pensionati, lontani dalla politica e dalle istituzioni. Per preservare le quali non si aboliscono inchieste e processi: si cacciano inquisiti e imputati. Se poi questi vengono assolti, tornano a fare politica. Se vengono condannati, spariscono dalla circolazione. In ogni caso, i partiti e le istituzioni escono non screditati, ma rafforzati perché dimostrano di saper fare pulizia al proprio interno. Così nessuno si sogna di ipotizzare “scontri” fra giustizia e politica. O di caricare i giudici di responsabilità politiche, avvertendoli minacciosamente – come fanno gli onorevoli avvocati di B. ogni volta che un tribunale o la Consulta deve giudicare B. o una legge pro B. – che la loro decisione influenzerà la stabilità del governo e i destini del Paese. O di invocare l’esigenza di “mettere al riparo” o “in sicurezza” premier, ministri e parlamentari da inchieste e processi per “tutelarne l’attività” (così delirava ancora ieri il Corriere della Sera). Tornando in Italia, gli ultimi boatos dalla Corte, tra un rinvio e l’altro, scommettono su un pateracchio che salva di fatto l’impunità del premier fingendo di bocciarla: un inciucio all’italiana che, per giunta, impedirebbe ai cittadini di esprimersi nel referendum. Gli azzeccagarbugli la chiamano soavemente “sentenza additiva di illegittimità”. Facciano pure come credono. Ma non ci raccontino la favola delle “altre democrazie”, perché non attacca. Nelle democrazie l’unico impedimento è quello che impedisce agli inquisiti e agli imputati di sedere nelle istituzioni. Non in tribunale o in galera.
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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