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martedì 11 gennaio 2011
Il federalismo fiscale è una boiata pazzesca di Marco Travaglio
Da anni i “terzisti” e i “riformisti”, cioè i berlusconiani camuffati da indipendenti che la sanno lunga, ci raccontano che in tutte le democrazie, le opposizioni collaborano amorevolmente con i governi, si guardano bene dall’auspicarne la caduta, non demonizzano i premier, men che meno tentano “spallate” né si sognerebbero mai di tirare la giacchetta al capo dello Stato. Questa barzelletta, che vale solo quando governa B., l’ha ripetuta ieri Sandro Bondi in un articolo sul Pompiere della Sera (l’unico giornale che ancora gli dà retta, a grande richiesta dei lettori che si leccano i baffi): “In Italia, dopo il voto del 14 dicembre, si è aperta una fase politica nuova. Non a caso l’on. Casini per primo ha fatto riferimento al confronto e alla collaborazione avviata negli Usa fra Repubblicani e Democratici dopo le elezioni di medio termine... Possibile che anche in Italia non si possa trovare in Parlamento un accordo su materie quali il federalismo?”. Gli piacerebbe: visto che il suo governo ha una maggioranza ridicola e nella commissione bicamerale sul federalismo è addirittura in minoranza, arrivano le opposizioni e votano il federalismo, così il governo si salva e magari lui conserva la poltrona lisciandosi Casini perché non voti la mozione di sfiducia contro di lui. Bella la vita, eh, James? Naturalmente negli Usa sta accadendo l’esatto contrario di quel che racconta Bondi: appena raggiunta la maggioranza al Congresso nelle elezioni di mid-term, i Repubblicani hanno cacciato la speaker democratica Nancy Pelosi, sostituendola con uno dei loro, e hanno annunciato che sarà loro cura radere al suolo la riforma sanitaria di Obama e poi, a seguire, tutte le altre. Pare che non leggano Il Pompiere e nemmeno Il Riformista, che da anni raccomandano alla sinistra di non cancellare, una volta al governo, le leggi vergogna della destra. Ora, per carità, è comprensibile che il nostro ministrucolo dei Beni culturali, peggiore financo della Bono Parrino, ci provi. Ma la tragedia è che c’è chi gli crede. Dall’Udc al Pd al Fli è tutto un offrire “dialogo” a Calderoli. Del resto, i finiani a suo tempo la legge-delega sul federalismo la votarono, così come l’Idv, mentre il Pd si astenne (al solito non aveva una linea sul tema, anzi ne aveva dodici) e solo l’Udc votò contro. Oggi però è chiaro a tutti che, dopo la fiducia ottenuta, anzi comprata da B. il 14 dicembre, c’è una sola, ultima speranza di farlo cadere: che il federalismo fiscale venga bocciato. Così la Lega si ritirerà nelle sue valli, portandoci a votare. Quindi, se davvero Udc, Fli, Pd e Idv vogliono rovesciare il governo, hanno un modo semplice e chiaro per dimostrarlo: il 21 gennaio, quando saranno chiamati a votare sulla boiata pazzesca chiamata federalismo fiscale, dicano tutti quanti No. L’Idv e i finiani ammettano di aver sbagliato a votare a suo tempo Sì. Il Pd sia coerente con lo studio del suo deputato Stradiotto, presentato a fine dicembre sui guasti devastanti della legge Calderoli. L’Udc confermi il suo No senza mercanteggiare il Sì in cambio del “quoziente familiare” o di altre pretese magari giuste, ma irrealizzabili. Gli elettori non solo non se ne avranno a male, ma li ringrazieranno: checché ci raccontino giornali e tg di regime, agli italiani del federalismo fiscale non frega assolutamente niente. In ottobre, il Pompiere pubblicò un illuminante sondaggio di Mannheimer sulle priorità degli italiani: al primo posto la riduzione delle tasse (39%), seguita da giustizia (20), aiuti al Sud (16), sicurezza (13) e, fanalino di coda, il federalismo fiscale (13). Eppure quella menata che interessa solo a un italiano su 10 (i leghisti, e nemmeno tutti) monopolizza da anni il dibattito politico. Il che spiega perché il governo perde consensi e l’opposizione pure. In vista del voto del 21, Bersani, Fini, Casini e Di Pietro potrebbero convocare un campione di elettori e porre loro la seguente domanda: preferite il federalismo fiscale o la caduta di B.? La risposta ci pare quasi di intuirla.
fonte articolo e vignetta 'Il Manifesto'
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