Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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sabato 2 aprile 2011
Giornalista a piè di lista di Marco Travaglio
(vignetta portoscomic)
Qualcuno si domanderà perché i berlusconidi sono tanto nervosi. La risposta, al netto delle sostanze psicotrope, è semplice: sentono prossima la fine. E ne hanno già vissuta una molto simile a questa. Trattandosi di vecchi arnesi dell’Ancien Regime, hanno impiegato vent’anni a elaborare il lutto per il crollo della Prima Repubblica e ad arraffare poltrone e prebende nella Seconda. Non avendo mai avuto idee, ma solo padroni, caduti quelli vecchi se ne son trovati di nuovi. Ora crolla di nuovo tutto e, come dice Corrado Guzzanti, “non c’è nulla di più difficile che leccare culi in movimento”. Vent’anni fa Ignazio La Rissa stava dalla parte di chi tirava monetine ai corrotti, esattamente come la Lega. Ora che le monetine le tirano a lui e alla Lega, visti come i nuovi simboli del magnamagna, dà fuori di matto. Poi c’è il battaglione degli ex socialisti: quando il muro di Bettino gli cascò addosso, temettero il peggio. Tipo dover fuggire all’estero o, peggio, andare a lavorare. Poi arrivò il Cainano, quello che lava più bianco, e li riciclò come nuovi. Ora tremano all’idea di doversi cercare, alla loro età, un nuovo padrino. Il più nervoso, comprensibilmente, è Giuliano Ferrara, quello del convegno con le mutande sulla testa, quello che ogni sera su Rai1 mette in fuga la gente che non è riuscito a mettere in fuga Minzolingua. L’altro giorno Alex Stille scrive sul suo blog che in nessun paese al mondo uno che ha fatto il ministro, il portavoce e il candidato di B. che gli paga tre stipendi per Il Foglio, Panorama e Il Giornale, potrebbe andare in tv a parlare di B. Apriti cielo. Ferrara, colto da un travaso di colesterolo, spara su Stille a palle di lardo incatenate. Ricostruisce la propria carriera di “giornalista” e soprattutto di voltagabbana pagato dal Pci, dal Psi, dalla Cia, da B. ma soprattutto dai contribuenti. Poi, obnubilato dai supplì, imbastisce il seguente sragionamento: siccome io ero amico di Ugo Stille, suo figlio Alex non deve criticarmi, altrimenti è un “parricida”. Concetto tipicamente mafioso della famiglia e dell’amicizia (per via ereditaria, fra l’altro). Il tutto condito con vari insulti a Stille e, già che c’è, a Enzo Biagi (“lobbista” e “giornalista re della serie B”). Biagi non c’entra nulla, per giunta è morto e non può rispondergli, ma soprattutto ha la grave colpa di aver avuto successo, mentre Ferrara non se l’è mai filato nessuno: nessuno compra i suoi libri, nessuno guarda i suoi programmi, nessuno legge i suoi giornali, nessuno lo vota quando si candida, nessuno ascolta i suoi consigli e, se fa gli auguri a qualcuno, quello si tocca. Poi il Platinette Barbuto si avventura sul terreno per lui impervio della libertà d’informazione, paragonandosi a due ex portavoce di presidenti americani – William Safire e George Stefanopolis – poi passati al giornalismo. In attesa che i due malcapitati lo querelino per l’accostamento, Stille fa notare una lieve differenza: Safire e Stefanopolis, prima di fare i giornalisti, “hanno dovuto tagliare qualsiasi rapporto professionale ed economico con la politica attiva”. Stiamo parlando degli Usa – che Ferrara cita a modello di continuo senza sapere neppure dove stanno – dove nei primi anni ‘80 il Wall Street Journal tolse all’analista Susan Garment, docente a Yale, la sua rubrica di prima pagina “La presidenza” perché si scoprì che quasi ogni giorno la signora e il marito frequentavano Ronald e Nancy Reagan. L’eccessiva intimità della Garment con l’oggetto della sua rubrica gettava un’ombra indelebile sulla sua imparzialità. Lo scorso anno l’anchorman dell’Nbc Keith Obermann fu sospeso dal video perché aveva dato un piccolo contributo finanziario, regolarmente registrato in ossequio alla legge, alla campagna elettorale di alcuni candidati democratici. Aveva finanziato dei politici, infatti l’hanno cacciato. Ferrara è finanziato da un politico, infatti è sempre lì.
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano)
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Qualcuno si domanderà perché i berlusconidi sono tanto nervosi. La risposta, al netto delle sostanze psicotrope, è semplice: sentono prossima la fine. E ne hanno già vissuta una molto simile a questa. Trattandosi di vecchi arnesi dell’Ancien Regime, hanno impiegato vent’anni a elaborare il lutto per il crollo della Prima Repubblica e ad arraffare poltrone e prebende nella Seconda. Non avendo mai avuto idee, ma solo padroni, caduti quelli vecchi se ne son trovati di nuovi. Ora crolla di nuovo tutto e, come dice Corrado Guzzanti, “non c’è nulla di più difficile che leccare culi in movimento”. Vent’anni fa Ignazio La Rissa stava dalla parte di chi tirava monetine ai corrotti, esattamente come la Lega. Ora che le monetine le tirano a lui e alla Lega, visti come i nuovi simboli del magnamagna, dà fuori di matto. Poi c’è il battaglione degli ex socialisti: quando il muro di Bettino gli cascò addosso, temettero il peggio. Tipo dover fuggire all’estero o, peggio, andare a lavorare. Poi arrivò il Cainano, quello che lava più bianco, e li riciclò come nuovi. Ora tremano all’idea di doversi cercare, alla loro età, un nuovo padrino. Il più nervoso, comprensibilmente, è Giuliano Ferrara, quello del convegno con le mutande sulla testa, quello che ogni sera su Rai1 mette in fuga la gente che non è riuscito a mettere in fuga Minzolingua. L’altro giorno Alex Stille scrive sul suo blog che in nessun paese al mondo uno che ha fatto il ministro, il portavoce e il candidato di B. che gli paga tre stipendi per Il Foglio, Panorama e Il Giornale, potrebbe andare in tv a parlare di B. Apriti cielo. Ferrara, colto da un travaso di colesterolo, spara su Stille a palle di lardo incatenate. Ricostruisce la propria carriera di “giornalista” e soprattutto di voltagabbana pagato dal Pci, dal Psi, dalla Cia, da B. ma soprattutto dai contribuenti. Poi, obnubilato dai supplì, imbastisce il seguente sragionamento: siccome io ero amico di Ugo Stille, suo figlio Alex non deve criticarmi, altrimenti è un “parricida”. Concetto tipicamente mafioso della famiglia e dell’amicizia (per via ereditaria, fra l’altro). Il tutto condito con vari insulti a Stille e, già che c’è, a Enzo Biagi (“lobbista” e “giornalista re della serie B”). Biagi non c’entra nulla, per giunta è morto e non può rispondergli, ma soprattutto ha la grave colpa di aver avuto successo, mentre Ferrara non se l’è mai filato nessuno: nessuno compra i suoi libri, nessuno guarda i suoi programmi, nessuno legge i suoi giornali, nessuno lo vota quando si candida, nessuno ascolta i suoi consigli e, se fa gli auguri a qualcuno, quello si tocca. Poi il Platinette Barbuto si avventura sul terreno per lui impervio della libertà d’informazione, paragonandosi a due ex portavoce di presidenti americani – William Safire e George Stefanopolis – poi passati al giornalismo. In attesa che i due malcapitati lo querelino per l’accostamento, Stille fa notare una lieve differenza: Safire e Stefanopolis, prima di fare i giornalisti, “hanno dovuto tagliare qualsiasi rapporto professionale ed economico con la politica attiva”. Stiamo parlando degli Usa – che Ferrara cita a modello di continuo senza sapere neppure dove stanno – dove nei primi anni ‘80 il Wall Street Journal tolse all’analista Susan Garment, docente a Yale, la sua rubrica di prima pagina “La presidenza” perché si scoprì che quasi ogni giorno la signora e il marito frequentavano Ronald e Nancy Reagan. L’eccessiva intimità della Garment con l’oggetto della sua rubrica gettava un’ombra indelebile sulla sua imparzialità. Lo scorso anno l’anchorman dell’Nbc Keith Obermann fu sospeso dal video perché aveva dato un piccolo contributo finanziario, regolarmente registrato in ossequio alla legge, alla campagna elettorale di alcuni candidati democratici. Aveva finanziato dei politici, infatti l’hanno cacciato. Ferrara è finanziato da un politico, infatti è sempre lì.
fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano)
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