Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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sabato 12 marzo 2011
La Costituzione va in piazza di Gaetano Azzariti
(vignetta tratta da 'Il Fatto Quotidiano')
«A difesa della Costituzione» non è uno slogan qualsiasi. La manifestazione di oggi può rappresentare una svolta se riuscirà a chiarire - finalmente - qual è il terreno sul quale si sta svolgendo, in Italia, il più impegnativo scontro politico, ma anche la più profonda battaglia culturale. E non da oggi. L’intero ultimo ventennio s’è caratterizzato per la volontà di modificare il «patto costituente». È in particolare la nascita del berlusconismo che dà origine e impulso a un ciclo politico post-costituzionale. La «discesa in campo» dell’imprenditore Berlusconi è esplicitamente motivata dalla fine del sistema costituzionale classico.
Il partito-azienda che egli promuove non ha alcun legame con la Costituzione. Anzi la costituzione è per esso un corpo estraneo, un intralcio alla realizzazione immediata degli scopi politici da conseguire. La divisione dei poteri, le garanzie dei diritti, le misure di bilanciamento tra gli organi politici, il rispetto per i ruoli distinti e le prerogative di ciascun soggetto istituzionale (dal Parlamento alla magistratura, dalla Corte costituzionale al Presidente della repubblica), che rappresentano l’essenza del costituzionalismo democratico, diventano d’improvviso solo un impaccio. È la Costituzione che «impedisce di governare», che ostacola il governo del fare. Un governo che trae la sua legittimazione unicamente dal consenso di una minoranza di cittadini, fatta passare per una maggioranza di popolo (se non per tutto il popolo unitariamente inteso) grazie ad una distorsione elettorale accompagnata da una propaganda ingannevole. Come in tutti i regimi populisti ciò che unicamente conta è l’acclamazione, il poter ricondurre il potere a una fonte d’origine popolare, non al popolo reale, nelle sue divisioni e i suoi contrasti, bensì al suo volto mitico. Una volta investito del potere il "sovrano" non ha più limiti, è egli – egli solo – che opererà per il bene del popolo, con fare paterno. L’"eletto" del popolo (non invece eletto dal popolo) non potrà certo essere giudicato per le modalità con cui opera, la delega di potere politico a lui conferita è assoluta, non può esservi un contropotere, nessun diritto può farsi valere dinanzi a chi incarna senza sbavatura alcuna il popolo nella sua "identità totale". Quanto di più lontano dall’idea che il costituzionalismo ha imposto nella modernità giuridica, spezzando proprio la convinzione medioevale dell’assolutezza della sovranità. Il costituzionalismo ha imposto la supremazia delle regole su quella del potere: oggi non a caso si torna a parlare di "neomedioevalismo istituzionale".
Eppure in Italia questa storia di lungo regresso è apparsa ai più la forma politica nuova, in grado di dare risposta all’evidente crisi della democrazia rappresentativa. Una crisi, quella della rappresentanza politica, che non poteva – e non può - essere negata. Per un lungo trentennio la nostra vita democratica è stata organizzata dai partiti di massa, che assorbivano l’intera rappresentanza popolare. Legittimati in questo ruolo da una chiara disposizione costituzionale (l’articolo 49), i partiti storici che avevano dato vita alla repubblica e innervato - nel bene e certamente anche nel male – la democrazia costituzionale italiana, erano tutti ben consapevoli che il loro potere, e quello dei tanti leader che si sono avvicendati al governo, aveva una essenziale base di legittimazione nella Costituzione. Lo scontro politico poteva essere acceso e le divisioni inconciliabili, ma la tavola di valori costituzionali, il progetto emancipante che in essa era iscritto, non venivano esplicitamente contestati da nessuno.
Le ideologie del Novecento dividevano, ma la costituzione univa. Porsi sopra la legge non sarebbe stato concepibile, voleva dire attentare alla Costituzione. La fedeltà alla Costituzione non poteva essere discussa a pena dell’esclusione dal circuito della rappresentanza politica. Poi non è più stato così. Se ci si vuole interrogare sulle ragioni di fondo che hanno indotto le diverse forze politiche (chi più chi meno) ad abbandonare la strategia della legittimazione costituzionale, non ci si può fermare a constatare la crisi dei partiti politici di massa. Non v’è infatti un nesso necessario tra un certo tipo di partito e la costituzione. Quest’ultima va ben oltre le specifiche forme organizzative che assume la libera dialettica politica, nei singoli paesi e nei diversi contesti storici. Negli Stati Uniti – ad esempio – partiti di massa di stampo europeo non sono mai esistiti e la personalizzazione del potere è iscritta nella cultura democratica di quel popolo, ma il rispetto per i Padri fondatori e per l’higher law non ha mai cessato di porsi a fondamento indiscusso di ogni potere, anche di quello presidenziale. In Europa, non si vede nessun ordinamento politico, pur se in crisi, contestare la legittimazione della lex superior e anzi il "patriottismo costituzionale" è indicato come la via da perseguire per superare le difficoltà della politica e riequilibrare le divisioni sociali che la recessione economica rende laceranti. n Italia il regime populista sembra in una fase agonica, ma tenta l’ultimo assalto alla legge suprema, progettando un’epocale riforma costituzionale della giustizia. Alla piazza del 12 marzo è affidato l’immenso compito di raccogliere la bandiera caduta della costituzione per respingere nel passato, da dove è arrivato, il cavaliere medioevale che ci governa.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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«A difesa della Costituzione» non è uno slogan qualsiasi. La manifestazione di oggi può rappresentare una svolta se riuscirà a chiarire - finalmente - qual è il terreno sul quale si sta svolgendo, in Italia, il più impegnativo scontro politico, ma anche la più profonda battaglia culturale. E non da oggi. L’intero ultimo ventennio s’è caratterizzato per la volontà di modificare il «patto costituente». È in particolare la nascita del berlusconismo che dà origine e impulso a un ciclo politico post-costituzionale. La «discesa in campo» dell’imprenditore Berlusconi è esplicitamente motivata dalla fine del sistema costituzionale classico.
Il partito-azienda che egli promuove non ha alcun legame con la Costituzione. Anzi la costituzione è per esso un corpo estraneo, un intralcio alla realizzazione immediata degli scopi politici da conseguire. La divisione dei poteri, le garanzie dei diritti, le misure di bilanciamento tra gli organi politici, il rispetto per i ruoli distinti e le prerogative di ciascun soggetto istituzionale (dal Parlamento alla magistratura, dalla Corte costituzionale al Presidente della repubblica), che rappresentano l’essenza del costituzionalismo democratico, diventano d’improvviso solo un impaccio. È la Costituzione che «impedisce di governare», che ostacola il governo del fare. Un governo che trae la sua legittimazione unicamente dal consenso di una minoranza di cittadini, fatta passare per una maggioranza di popolo (se non per tutto il popolo unitariamente inteso) grazie ad una distorsione elettorale accompagnata da una propaganda ingannevole. Come in tutti i regimi populisti ciò che unicamente conta è l’acclamazione, il poter ricondurre il potere a una fonte d’origine popolare, non al popolo reale, nelle sue divisioni e i suoi contrasti, bensì al suo volto mitico. Una volta investito del potere il "sovrano" non ha più limiti, è egli – egli solo – che opererà per il bene del popolo, con fare paterno. L’"eletto" del popolo (non invece eletto dal popolo) non potrà certo essere giudicato per le modalità con cui opera, la delega di potere politico a lui conferita è assoluta, non può esservi un contropotere, nessun diritto può farsi valere dinanzi a chi incarna senza sbavatura alcuna il popolo nella sua "identità totale". Quanto di più lontano dall’idea che il costituzionalismo ha imposto nella modernità giuridica, spezzando proprio la convinzione medioevale dell’assolutezza della sovranità. Il costituzionalismo ha imposto la supremazia delle regole su quella del potere: oggi non a caso si torna a parlare di "neomedioevalismo istituzionale".
Eppure in Italia questa storia di lungo regresso è apparsa ai più la forma politica nuova, in grado di dare risposta all’evidente crisi della democrazia rappresentativa. Una crisi, quella della rappresentanza politica, che non poteva – e non può - essere negata. Per un lungo trentennio la nostra vita democratica è stata organizzata dai partiti di massa, che assorbivano l’intera rappresentanza popolare. Legittimati in questo ruolo da una chiara disposizione costituzionale (l’articolo 49), i partiti storici che avevano dato vita alla repubblica e innervato - nel bene e certamente anche nel male – la democrazia costituzionale italiana, erano tutti ben consapevoli che il loro potere, e quello dei tanti leader che si sono avvicendati al governo, aveva una essenziale base di legittimazione nella Costituzione. Lo scontro politico poteva essere acceso e le divisioni inconciliabili, ma la tavola di valori costituzionali, il progetto emancipante che in essa era iscritto, non venivano esplicitamente contestati da nessuno.
Le ideologie del Novecento dividevano, ma la costituzione univa. Porsi sopra la legge non sarebbe stato concepibile, voleva dire attentare alla Costituzione. La fedeltà alla Costituzione non poteva essere discussa a pena dell’esclusione dal circuito della rappresentanza politica. Poi non è più stato così. Se ci si vuole interrogare sulle ragioni di fondo che hanno indotto le diverse forze politiche (chi più chi meno) ad abbandonare la strategia della legittimazione costituzionale, non ci si può fermare a constatare la crisi dei partiti politici di massa. Non v’è infatti un nesso necessario tra un certo tipo di partito e la costituzione. Quest’ultima va ben oltre le specifiche forme organizzative che assume la libera dialettica politica, nei singoli paesi e nei diversi contesti storici. Negli Stati Uniti – ad esempio – partiti di massa di stampo europeo non sono mai esistiti e la personalizzazione del potere è iscritta nella cultura democratica di quel popolo, ma il rispetto per i Padri fondatori e per l’higher law non ha mai cessato di porsi a fondamento indiscusso di ogni potere, anche di quello presidenziale. In Europa, non si vede nessun ordinamento politico, pur se in crisi, contestare la legittimazione della lex superior e anzi il "patriottismo costituzionale" è indicato come la via da perseguire per superare le difficoltà della politica e riequilibrare le divisioni sociali che la recessione economica rende laceranti. n Italia il regime populista sembra in una fase agonica, ma tenta l’ultimo assalto alla legge suprema, progettando un’epocale riforma costituzionale della giustizia. Alla piazza del 12 marzo è affidato l’immenso compito di raccogliere la bandiera caduta della costituzione per respingere nel passato, da dove è arrivato, il cavaliere medioevale che ci governa.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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