Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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sabato 19 febbraio 2011
Se il Milan paga il bunga bunga del suo presidente di Roberto Ferrucci
Siamo lo zimbello d’Europa. E non soltanto d’Europa. Per colpa di un tizio impresentabile e dei suoi sgherri, pronti a difenderlo in tutti i modi per una manciata di denari, pronti a vendersi, a umiliarsi, a distruggersi. Il tizio ostenta la sua impresentabilità da anni, a dire il vero, ma negli ultimi tempi, in uno slancio di inaudita onnipotenza, ha acuito questa sua attitudine invisibile ancora oggi alla maggior parte degli italiani. Chiunque di voi abbia oltrepassato più o meno di recente qualunque confine, lo sa. Prima ridono, poi ti guardano con compatimento e, se gli stai simpatico, ti domandano come mai? Come potete voi italiani accettare questo schifo? E voi, italiani, non sapete che dire. Dentro monta solo una profonda vergogna. Sentimento ormai persistente in tanti di noi, oggi.
E allora di cosa stupirsi se un vecchio squalo come l’ex centravanti scozzese Joe Jordan ci ha calcato la mano, nel corso del match di Champions League fra Milan e Tottenham? Gennaro Gattuso non ci dirà mai quali siano state le frasi pronunciate da Jordan per provocarlo. Non sorprenderebbe affatto se quelle e altre paroline da lui utilizzate alludessero al «Bordello Italia», che altro non è che l’attuale immagine all’estero del nostro paese. Va detto che il Milan non poteva non aspettarselo, un agguato del genere. Sempre ammesso, come potrebbe, che il tema dell’agguato fosse questo. Di certo, non riscuotiamo simpatia.
Nessuno l’ha notato, ma nella recente amichevole fra Germania e Italia, i fischi al nostro inno erano quasi unanimi. Qualche fischio c’è sempre, certo, ma in così gran quantità e da un pubblicoda sempre fra i più corretti, fa pensare. Coincidenze? Mah. Resta che la reazione dei milanisti all’agguato non è stata altro che il ritratto di un nervosismo esasperato, nient’affatto latente. Del resto non si può pensare che le vicende dell’utilizzatore finale non riverberino il loro squallore negli immediati dintorni delle proprietà del capo del governo. Milan compreso.
E se l’Italia si porta dietro ovunque l’immagine sordida offerta dal suo capo, figuriamoci il Milan, che del suo capo è l’emblema, il punto di partenza, il biglietto da visita della sua discesa in campo.
Il Milan subirà tutto questo, vada sé. Il suo leader vacilla, è diventato ancor più di sempre la patetica macchietta di se stesso. C’è una domanda però. Si possono paragonare i giocatori del Milan ai pasdaran del Parlamento, pronti a tutto in nome del capo? Ammesso che le provocazioni di Jordan fossero legate alle tristi abitudini del premier, come leggere la reazione di Gattuso? Non ti permettere di toccare il nostro capo? Oppure: guarda che noi non siamo come lui. Se così fosse, pensate quanto sarebbe forte, simbolico, che l’abbandono, l’ammutinamento al capo, partisse e segnasse finalmente la fine lì dove tutto è incominciato: il Milan. Giocatori che fanno outing, stufi, tanto quanto noi, di essere indicati come anomalie dell’Europa, che si dissociano, che chiedono di essere ceduti per vergogna e sfinimento (quello che sta accadendo a Pirlo?).
Di quanto e come il berlusconismo si sia incistato dentro tutti noi è testimone la titubanza collettiva. In un momento in cui le piazze dovrebbero essere occupate a oltranza, fino allo sfinimento del potere ridicolo che ci governa, noi assistiamo invece rassegnati. Ma occupare le piazze è roba da eversori, e noi, che diamine, mica lo siamo. Ha ragione Nanni Moretti, gli italiani non sono un popolo da insurrezione. Il nostro massimo sono manifestazioni come le recenti, splendide, certo, cariche di sdegno e di civiltà, vero, che hanno ridato dignità a un paese, certo, ma fatte il sabato e la domenica, per non disturbare troppo. Abbiamo acquisito gesti e linguaggi del berlusconismo. Il livello della nostra indignazione non va oltre all’ormai noto e acquisito: «Mi consenta, vergogna». Se qualcuno osa dire che trattasi di un debosciato da quattro soldi, di un omuncolo che ha sedotto l’intestino degli italiani, con le sue tv e gli slogan speculari a quelli del suo alleato di fiducia, la Lega, non sei altro che uno squadrista, un sovversivo. E allora, non ci resta che il tribunale di Milano o, vedi mai, la rivolta dei giocatori rossoneri. Oppure, più che probabile, la Presidenza della Repubblica. Poffarbacco.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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E allora di cosa stupirsi se un vecchio squalo come l’ex centravanti scozzese Joe Jordan ci ha calcato la mano, nel corso del match di Champions League fra Milan e Tottenham? Gennaro Gattuso non ci dirà mai quali siano state le frasi pronunciate da Jordan per provocarlo. Non sorprenderebbe affatto se quelle e altre paroline da lui utilizzate alludessero al «Bordello Italia», che altro non è che l’attuale immagine all’estero del nostro paese. Va detto che il Milan non poteva non aspettarselo, un agguato del genere. Sempre ammesso, come potrebbe, che il tema dell’agguato fosse questo. Di certo, non riscuotiamo simpatia.
Nessuno l’ha notato, ma nella recente amichevole fra Germania e Italia, i fischi al nostro inno erano quasi unanimi. Qualche fischio c’è sempre, certo, ma in così gran quantità e da un pubblicoda sempre fra i più corretti, fa pensare. Coincidenze? Mah. Resta che la reazione dei milanisti all’agguato non è stata altro che il ritratto di un nervosismo esasperato, nient’affatto latente. Del resto non si può pensare che le vicende dell’utilizzatore finale non riverberino il loro squallore negli immediati dintorni delle proprietà del capo del governo. Milan compreso.
E se l’Italia si porta dietro ovunque l’immagine sordida offerta dal suo capo, figuriamoci il Milan, che del suo capo è l’emblema, il punto di partenza, il biglietto da visita della sua discesa in campo.
Il Milan subirà tutto questo, vada sé. Il suo leader vacilla, è diventato ancor più di sempre la patetica macchietta di se stesso. C’è una domanda però. Si possono paragonare i giocatori del Milan ai pasdaran del Parlamento, pronti a tutto in nome del capo? Ammesso che le provocazioni di Jordan fossero legate alle tristi abitudini del premier, come leggere la reazione di Gattuso? Non ti permettere di toccare il nostro capo? Oppure: guarda che noi non siamo come lui. Se così fosse, pensate quanto sarebbe forte, simbolico, che l’abbandono, l’ammutinamento al capo, partisse e segnasse finalmente la fine lì dove tutto è incominciato: il Milan. Giocatori che fanno outing, stufi, tanto quanto noi, di essere indicati come anomalie dell’Europa, che si dissociano, che chiedono di essere ceduti per vergogna e sfinimento (quello che sta accadendo a Pirlo?).
Di quanto e come il berlusconismo si sia incistato dentro tutti noi è testimone la titubanza collettiva. In un momento in cui le piazze dovrebbero essere occupate a oltranza, fino allo sfinimento del potere ridicolo che ci governa, noi assistiamo invece rassegnati. Ma occupare le piazze è roba da eversori, e noi, che diamine, mica lo siamo. Ha ragione Nanni Moretti, gli italiani non sono un popolo da insurrezione. Il nostro massimo sono manifestazioni come le recenti, splendide, certo, cariche di sdegno e di civiltà, vero, che hanno ridato dignità a un paese, certo, ma fatte il sabato e la domenica, per non disturbare troppo. Abbiamo acquisito gesti e linguaggi del berlusconismo. Il livello della nostra indignazione non va oltre all’ormai noto e acquisito: «Mi consenta, vergogna». Se qualcuno osa dire che trattasi di un debosciato da quattro soldi, di un omuncolo che ha sedotto l’intestino degli italiani, con le sue tv e gli slogan speculari a quelli del suo alleato di fiducia, la Lega, non sei altro che uno squadrista, un sovversivo. E allora, non ci resta che il tribunale di Milano o, vedi mai, la rivolta dei giocatori rossoneri. Oppure, più che probabile, la Presidenza della Repubblica. Poffarbacco.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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