Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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giovedì 30 dicembre 2010
Lo sbarco a Civitavecchia: Botte agli allevatori e alla Costituzione di Gaetano Azzariti
(vignetta Mauro Biani)
Nulla può giustificare quanto è avvenuto a Civitavecchia. Nessuna ragione d’ordine pubblico può aver legittimato l’intervento delle forze dell’ordine che hanno impedito a cittadini della nostra maltrattata Repubblica di esercitare i loro diritti costituzionali. La vicenda, riportata con rilievo solo da questo giornale, ha dell’incredibile: alcuni allevatori sardi sono stati «respinti» appena approdati sulla terraferma (scesi dal traghetto di linea e non da un canotto clandestino) per impedirgli di giungere a Roma ove avrebbero manifestato pacificamente, «dando vita a una conferenza stampa per spiegare le ragioni del malcontento».
In tal modo, in un colpo solo, si sono violati ben tre articoli della nostra costituzione, tre diritti fondamentali sono stati calpestati. Ogni cittadino può circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, scrive la nostra costituzione, ma ai pastori sardi ciò non è concesso. Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi, garantisce il più classico dei diritti di libertà collettiva, ma non se questo avviene nella capitale. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, sancisce la prima delle libertà borghesi, ma non se si vogliono spiegare le ragioni del proprio malcontento.
Sembra che l’intervento di polizia e carabinieri, che ha impedito l’esercizio delle tre libertà costituzionali di circolazione, di riunione e di manifestazione del pensiero, sia stato «giustificato» dal fatto che la manifestazione nella capitale non sarebbe stata autorizzata». Se la notizia fosse confermata si dimostrerebbe l’illegittimità dell’operazione delle forze dell’ordine. La nostra costituzione, infatti, esclude che si debbano «autorizzare» le riunioni che si svolgono in luoghi pubblici, stabilendo invece che di esse debba essere dato solo un preavviso (che la manifestazione degli allevatori fosse nota all’autorità è dimostrata dal fatto che si sia voluto impedirne lo svolgimento), mentre il divieto di manifestare può essere giustificato solo «per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». Ma in questo caso vi è di più. A Civitavecchia, infatti, non si è «solo» vietato a un gruppo di cittadini di manifestare democraticamente, si è addirittura impedito di giungere nel luogo prescelto per esercitare il proprio diritto costituzionale. Si è intervenuti preventivamente con un atto d’autorità utilizzando la forza pubblica. Ciò rende implausibile qualunque pretesa di ordine pubblico. Il divieto, in caso, avrebbe potuto riguardare la manifestazione romana, semmai fossero sopraggiunti «comprovati motivi di sicurezza» che nessuna autorità ha peraltro ipotizzato, giammai poteva impedire a dei privati cittadini di giungere a destinazione. Ancora di più: gli allevatori avrebbero voluto svolgere nella capitale una conferenza stampa, ed è la prima volta che si ritiene di poter ostacolare in modo tanto esplicito e violento la possibilità di esprimere il proprio pensiero critico e il dissenso nei confronti della politica.
A questo punto bisogna chiedere conto di quanto è avvenuto. Chi ha autorizzato le forze dell’ordine non ha giustificazione e deve rispondere di un atto che si pone in evidente conflitto con i diritti garantiti dalla nostra legge fondamentale. Quanto è avvenuto a Civitavecchia deve preoccupare tutti perché segnala un ulteriore passo in direzione di un progressivo e sempre più inquietante regresso nella concezione dei diritti civili. Dagli «arresti preventivi» di Gasparri al «respingimento in banchina» di Civitavecchia. C’è da tremare. È necessario contrastare una cultura di governo e di gestione dell’ordine pubblico lontana dalla cultura di libertà e giustizia su cui si fonda la nostra democrazia
costituzionale.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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Nulla può giustificare quanto è avvenuto a Civitavecchia. Nessuna ragione d’ordine pubblico può aver legittimato l’intervento delle forze dell’ordine che hanno impedito a cittadini della nostra maltrattata Repubblica di esercitare i loro diritti costituzionali. La vicenda, riportata con rilievo solo da questo giornale, ha dell’incredibile: alcuni allevatori sardi sono stati «respinti» appena approdati sulla terraferma (scesi dal traghetto di linea e non da un canotto clandestino) per impedirgli di giungere a Roma ove avrebbero manifestato pacificamente, «dando vita a una conferenza stampa per spiegare le ragioni del malcontento».
In tal modo, in un colpo solo, si sono violati ben tre articoli della nostra costituzione, tre diritti fondamentali sono stati calpestati. Ogni cittadino può circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, scrive la nostra costituzione, ma ai pastori sardi ciò non è concesso. Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi, garantisce il più classico dei diritti di libertà collettiva, ma non se questo avviene nella capitale. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, sancisce la prima delle libertà borghesi, ma non se si vogliono spiegare le ragioni del proprio malcontento.
Sembra che l’intervento di polizia e carabinieri, che ha impedito l’esercizio delle tre libertà costituzionali di circolazione, di riunione e di manifestazione del pensiero, sia stato «giustificato» dal fatto che la manifestazione nella capitale non sarebbe stata autorizzata». Se la notizia fosse confermata si dimostrerebbe l’illegittimità dell’operazione delle forze dell’ordine. La nostra costituzione, infatti, esclude che si debbano «autorizzare» le riunioni che si svolgono in luoghi pubblici, stabilendo invece che di esse debba essere dato solo un preavviso (che la manifestazione degli allevatori fosse nota all’autorità è dimostrata dal fatto che si sia voluto impedirne lo svolgimento), mentre il divieto di manifestare può essere giustificato solo «per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». Ma in questo caso vi è di più. A Civitavecchia, infatti, non si è «solo» vietato a un gruppo di cittadini di manifestare democraticamente, si è addirittura impedito di giungere nel luogo prescelto per esercitare il proprio diritto costituzionale. Si è intervenuti preventivamente con un atto d’autorità utilizzando la forza pubblica. Ciò rende implausibile qualunque pretesa di ordine pubblico. Il divieto, in caso, avrebbe potuto riguardare la manifestazione romana, semmai fossero sopraggiunti «comprovati motivi di sicurezza» che nessuna autorità ha peraltro ipotizzato, giammai poteva impedire a dei privati cittadini di giungere a destinazione. Ancora di più: gli allevatori avrebbero voluto svolgere nella capitale una conferenza stampa, ed è la prima volta che si ritiene di poter ostacolare in modo tanto esplicito e violento la possibilità di esprimere il proprio pensiero critico e il dissenso nei confronti della politica.
A questo punto bisogna chiedere conto di quanto è avvenuto. Chi ha autorizzato le forze dell’ordine non ha giustificazione e deve rispondere di un atto che si pone in evidente conflitto con i diritti garantiti dalla nostra legge fondamentale. Quanto è avvenuto a Civitavecchia deve preoccupare tutti perché segnala un ulteriore passo in direzione di un progressivo e sempre più inquietante regresso nella concezione dei diritti civili. Dagli «arresti preventivi» di Gasparri al «respingimento in banchina» di Civitavecchia. C’è da tremare. È necessario contrastare una cultura di governo e di gestione dell’ordine pubblico lontana dalla cultura di libertà e giustizia su cui si fonda la nostra democrazia
costituzionale.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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