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di 'Per quel che mi riguarda'

domenica 10 luglio 2011

Il Partito dei Domestici di Marco Travaglio

(illustrazione di Manuele Fucecchi-Il Fatto Quotidiano)
Chi, guardando i tg o ascoltando i commenti di uno a caso dei servi del Cainano, cerca di capire perché mai il gruppo B. debba pagare 560 milioni a De Benedetti, pensa all’ennesimo mistero d’Italia. Il perché se l’è scordato persino il Cainano, che l’altro giorno, fallita la legge che s’era fabbricato per non pagare, ha dichiarato: “Piuttosto che a De Benedetti, quei soldi li do in beneficienza”. Come se la condanna non si riferisse a nulla in particolare, ma prevedesse semplicemente che deve dar via mezzo miliardo a chi pare a lui. Nessuno fa il benché minimo riferimento all’antefatto che, da solo, spiega tutto: nel 1991 gli avvocati Previti, Acampora e Pacifico, con soldi di B. e della Fininvest, pagarono 470 milioni di lire in contanti al giudice Vittorio Metta in cambio della sentenza che annullava il lodo Mondadori, scippando all’Ingegnere il primo gruppo editoriale del Paese e girandolo al Cavaliere. Il quale da vent’anni possiede un’azienda non sua, rubata, ne incassa gli utili e la usa per manganellare i suoi nemici. All’origine di tutto c’è uno scippo, rimasto a lungo impunito finchè lo scippatore è stato individuato e condannato a restituire il maltolto. Ma, siccome siamo il Paese di Sottosopra, grazie anche all’uso che fa lo scippatore dei giornali del gruppo scippato, lo scippatore si traveste da scippato. Già ieri gli house organ dello scippatore, Giornale e Libero, titolavano preventivamente: “Oggi (forse) rapinano il Cav”, “Oggi i giudici spennano Silvio”. Nel suo editoriale improntato al più sfrenato surrealismo, zio Tibia Sallusti spiegava che il risarcimento è “una rapina” perché fu corrotto solo Metta, e non gli altri due giudici del collegio, ergo “quello eventualmente corrotto era ininfluente”. Dimentica che Metta era il relatore, cioè istruì e illustrò la causa agli altri due; e l’estensore: cioè scrisse la sentenza, o almeno la firmò, visto che depositò 167 pagine manoscritte all’indomani della camera di consiglio, dunque gliel’avevano scritta prima del processo. In ogni caso, per far scattare la corruzione giudiziaria, basta corromperne uno, di giudice. Olindo il giurista aggiunge che la condanna si basa sulle parole della Ariosto, che nel ‘95 “racconta ai Pm che uno dei tre giudici era stato a suo avviso corrotto”. Peccato che la Ariosto non abbia mai nominato Metta in vita sua: le prove sono i bonifici dai conti esteri Fininvest a quelli dei tre avvocati che poi prelevarono i contanti da portare a Metta. Tibia infine, ispirato nottetempo dall’arcangelo Gabriele, anticipa la formidabile replica di Marina B. E cioè che il risarcimento è indebito perché B., in sede di transazione, restituì a De Benedetti un pezzo di Mondadori (Repubblica, Espresso, quotidiani Finegil); e comunque è spropositato perché “la quota Fininvest in Mondadori oggi in borsa vale 300 milioni”. Doppia cazzata. Se mi rubano il motorino e poi mi restituiscono il manubrio, io che faccio: ritiro la denuncia per furto? Quanto all’importo, è ovvio che Fininvest debba restituire non soltanto il valore dell’azienda scippata, ma pure gl’interessi, le rivalutazioni e soprattutto gli introiti incamerati indebitamente per vent’anni. Si chiamano danno emergente e lucro cessante, facili da capire anche ai ripetenti. Più comprensibili gli alti lai della presidente di Fininvest e Mondadori, Marina B., che la butta in politica e starnazza: “Ennesima forsennata aggressione a mio padre”. Madama va capita: presiedendo sia l’azienda scippatrice sia il corpo del reato, teme di restare disoccupata. Ma non perde il buonumore, infatti dichiara che “Fininvest ha sempre operato nella più assoluta correttezza”: a parte le tangenti a politici, finanzieri, giudici, testimoni e i fondi neri su 64 società offshore, si capisce. Vedendola così affranta per la dipartita di quanto ha di più caro (560 milioni),si stringono al suo dolore le maestranze Fininvest tutte: Ghedini, Cicchitto, Gasparri, La Russa, Matteoli, Verdini, Sacconi, Capezzone, Stracquadanio e alcuni uscieri. Il partito degli onesti. Anzi, dei domestici.

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