Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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lunedì 13 giugno 2011
THE ECONOMIST: 'Quanto ci vuole a disarcionare il Cavaliere?' di Guglielmo Ragozzino
«L’uomo che ha fottuto un’intera nazione» è il titolo che «The Economist» ha scelto per l’editoriale e come titolo di copertina, sopra la foto di uno che se la ride, apparentemente per averne detta una delle sue. La nazione siamo noi italiani, vecchi di 150 anni. Il tipo della foto è il nostro presidente del consiglio. Il tema proposto ai lettori è il ruolo di Silvio Berlusconi nell’attuale disastro italiano.
La gravità della situazione è descritta in un rapporto di 14 pagine «Oh for a new risorgimento» inserito in un tricolore, con le ultime due pagine, «The cavaliere and the cavallo», dedicate all’eredità politica ed economica che proprio il cavaliere finirà per lasciare ai suoi successori. Ma torniamo all’editoriale che fa il punto e muove dalla diatriba di lunga data tra «The Economist» e il cavaliere, o se si preferisce, tra quest’ultimo e la storia patria. «The Economist» è un settimanale ultracentenario. Questa volta si direbbe infastidito per avere un avversario altrettanto di lunga durata...Tutti ricordano che vi è stato un susseguirsi di critiche da Londra al governo di Roma e di destra. Berlusconi non ne aveva preso atto e quel che più conta, neppure gli italiani. Alle assai ragionevoli ragioni di allora se ne sono aggiunte altre e tutta la costruzione può essere riassunta – è sempre il settimanale a spiegare – in tre critiche.
Le prime due sono quelle abituali: vi è la saga del Bunga-Bunga nella quale Berlusconi è accusato in tribunale di «aver pagato per fare sesso con una minore». Così, «il processo Rubygate ha infangato non solo il signor Berlusconi, ma anche il suo paese». Poi ci sono le frequenti accuse di frode, falso in bilancio, corruzione. Non è vero – ricorda il settimanale –
che siano sempre cadute. A volte lo sono state per decorrenza dei termini - spostati in almeno due occasioni per il fatto «che Berlusconi stesso ha cambiato la legge». Per questo – dieci anni fa – «The Economist» aveva stabilito che Berlusconi era «unfit», come dire «non idoneo» a guidare l’Italia. Non c’è motivo di cambiare il verdetto. Ma non è per il sesso a rischio
e neppure per l’incerta storia della sua attività economica che gli italiani avrebbero dovuto temere Berlusconi, come responsabile di disastrosi fallimenti. La terza colpa, quella davvero imperdonabile, è la sua totale noncuranza per le condizioni gravi dell’economia italiana.
Sempre attento alle vicende personali, Berlusconi ha trascurato il resto, ha promesso molto senza mai fare niente. Come risultato «egli lascerà dietro di sé un paese in difficoltà estreme». Il seguito dell’«Economist» è prevedibile. Giulio Tremonti ha tenuto la rotta, Mario Draghi ha fatto la sua parte, insieme hanno evitato crisi bancarie e bolle immobiliari; ma quando gli altri paesi d’Europa andavano indietro, l’Italia andava più indietro di tutti e al momento di riprendere, la sua ripresa era la più timida. Abbiamo perduto terreno nell’innovazione e nella qualità della vita. Forse dovrebbe essere l’Italia – lascia intendere «The Economist» – e non la povera Irlanda la I di PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna), i paesi sottoposti all’attacco della finanza internazionale; quelli che forse l’Europa dell’Euro metterà al bando. Non vi siete preoccupati di questo, ci rimprovera il famoso settimanale,
depositario di tutta la scienza liberista del creato, lo avete tenuto alla testa del paese. Su questo punto, ha perfettamente ragione.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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La gravità della situazione è descritta in un rapporto di 14 pagine «Oh for a new risorgimento» inserito in un tricolore, con le ultime due pagine, «The cavaliere and the cavallo», dedicate all’eredità politica ed economica che proprio il cavaliere finirà per lasciare ai suoi successori. Ma torniamo all’editoriale che fa il punto e muove dalla diatriba di lunga data tra «The Economist» e il cavaliere, o se si preferisce, tra quest’ultimo e la storia patria. «The Economist» è un settimanale ultracentenario. Questa volta si direbbe infastidito per avere un avversario altrettanto di lunga durata...Tutti ricordano che vi è stato un susseguirsi di critiche da Londra al governo di Roma e di destra. Berlusconi non ne aveva preso atto e quel che più conta, neppure gli italiani. Alle assai ragionevoli ragioni di allora se ne sono aggiunte altre e tutta la costruzione può essere riassunta – è sempre il settimanale a spiegare – in tre critiche.
Le prime due sono quelle abituali: vi è la saga del Bunga-Bunga nella quale Berlusconi è accusato in tribunale di «aver pagato per fare sesso con una minore». Così, «il processo Rubygate ha infangato non solo il signor Berlusconi, ma anche il suo paese». Poi ci sono le frequenti accuse di frode, falso in bilancio, corruzione. Non è vero – ricorda il settimanale –
che siano sempre cadute. A volte lo sono state per decorrenza dei termini - spostati in almeno due occasioni per il fatto «che Berlusconi stesso ha cambiato la legge». Per questo – dieci anni fa – «The Economist» aveva stabilito che Berlusconi era «unfit», come dire «non idoneo» a guidare l’Italia. Non c’è motivo di cambiare il verdetto. Ma non è per il sesso a rischio
e neppure per l’incerta storia della sua attività economica che gli italiani avrebbero dovuto temere Berlusconi, come responsabile di disastrosi fallimenti. La terza colpa, quella davvero imperdonabile, è la sua totale noncuranza per le condizioni gravi dell’economia italiana.
Sempre attento alle vicende personali, Berlusconi ha trascurato il resto, ha promesso molto senza mai fare niente. Come risultato «egli lascerà dietro di sé un paese in difficoltà estreme». Il seguito dell’«Economist» è prevedibile. Giulio Tremonti ha tenuto la rotta, Mario Draghi ha fatto la sua parte, insieme hanno evitato crisi bancarie e bolle immobiliari; ma quando gli altri paesi d’Europa andavano indietro, l’Italia andava più indietro di tutti e al momento di riprendere, la sua ripresa era la più timida. Abbiamo perduto terreno nell’innovazione e nella qualità della vita. Forse dovrebbe essere l’Italia – lascia intendere «The Economist» – e non la povera Irlanda la I di PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna), i paesi sottoposti all’attacco della finanza internazionale; quelli che forse l’Europa dell’Euro metterà al bando. Non vi siete preoccupati di questo, ci rimprovera il famoso settimanale,
depositario di tutta la scienza liberista del creato, lo avete tenuto alla testa del paese. Su questo punto, ha perfettamente ragione.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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