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giovedì 24 febbraio 2011
E mentre Gheddafi spara La Russa va alla fiera bellica. Armi al Colonnello, l’affare italiano di Cinzia Gubbini
(vignetta Mauro Biani)
Mentre gli elicotteri di fabbricazione italiana sono probabilmente in azione in Libia (rappresentano gran parte della flotta elicotteristica del Colonnello) e mentre il nord Africa è in subbuglio e non si sa il «domino» dove arriverà, cosa fa il ministro della Difesa italiana, Ignazio La Russa? Va alla fiera delle armi di Abu Dhabi, la fiera più importante del Medioriente e del Nord Africa, dove si fanno affari e si «spingono» gli armamenti in quell’area. «L’industria italiana è diventata da tempo tra i leader mondiali della tecnologia nel settore Difesa», ha rivendicato ieri con orgoglio La Russa. Francesco Vignarca, della Rete italiana per il Disarmo, è basito: «Da anni denunciamo questo improprio ruolo del ministero della Difesa italiano.
Ma che senso ha andare alle fiere degli armamenti? Quelle riguardano le industrie private, non è compito del governo "spingere" l’industria bellica italiana, semmai dovrebbe controllare che uso viene fatto delle armi. In questo momento, poi, la presenza di La Russa negli Emirati è ancora più fuori luogo». Come denuncia ancora la Rete , insieme a Pax Christi e alla Tavola della Pace «gli interessi italiani, e in particolare di Finmeccanica, hanno sicuramente bloccato in questi giorni l’azione del governo». Il sospetto diventa praticamente certezza osservando che, da quando è scoppiata la rivolta nel Maghreb, tanto Francia, Germania che Regno unito si sono espressi per la sospensione della fornitura di armi nella turbolenta area mediterranea. Ma l’Italia no. Non è un segreto che il Trattato di amicizia italo-libico sia nato sulla questione dell’«emergenza» immigrazione, ma abbia rappresentato un viatico per l’industria italiana in Libia. E che Finmeccanica abbia svolto un ruolo da leone. Qualche numero per capire la sostanza degli investimenti: nel 2009 le esportazioni belliche italiane in Libia hanno raggiunto la cifra record di 112 milioni di euro. Nel biennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti in Libia per oltre 205 milioni di euro, cioè un terzo di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’Ue. A confermare che alle politiche anti-immigrazione spesso e volentieri si «mescolano» affari guerrafondai c’è che tra i grandi esportatori di armi figura pure la piccola Malta - altra «frontiera calda» - per 80milioni di euro. D’altronde uno degli ultimi accordi con il governo libico di una delle controllate di Finmeccanica, la Selex - guidata da Marina Grossi, moglie di Guarguaglini, indagata per la vicenda degli «appalti facili» di Enav - riguarda la creazione di un non meglio «apparato di sicurezza» sul confine desertico della Libia per individuare gli immigrati che tentano di superare la frontiera (è stato chiamato ilmuro anti-immigrati) per un contratto del valore di 300 milioni di euro. Ma non solo. Nel 2008 abbiamo venduto otto elicotteri A109, nel 2009 due elicotteri AW139. Siamo stati protagonisti nell’ammodernamento della flotta degli aeromobili CH47 e comunque sin dal 2007 abbiamo venduto «bombe, siluri, razzi, missili e accessori» e «apparecchiature per la direzione del tiro», come scrive l’esperto di commercio di armi della Rete Disarmo Giorgio Beretta.
Ma le «mani in pasta» italiane in Libia vanno molto aldilà della semplice vendita di armi. La Libia è diventata secondo azionista di Finmeccanica con la Libyan Investment Authority, e secondo diverse voci avrebbe superato («spacchettando» le azioni tra Banca nazionale libica e Fondo sovrano) il 3%. Cioè il limite invalicabile per azionisti diversi dagli enti pubblici. Regola che vale anche per Eni e Enel. Stupefacente la risposta di Guarguaglini: «Non credo che lo abbiano superato». Ma l’amministratore delegato non dovrebbe esserne sicuro? Per quanto riguarda gli interessi italiani Frattini ha assicurato che nell'immediato l'Italia ha sufficienti scorte e fonti alternative
di gas, ma ha ammesso che le ricadute più pesanti colpiranno le aziende che operano in Libia: i danni potrebbero arrivare a 4 miliardi di euro. L'emergenza più grave invece riguarda i flussi migratori. Il ministro ha chiesto che l'Italia non venga lasciata sola dall'Europa. «Non è una richiesta di distribuzione di immigrati sul territorio europeo, ma di un meccanismo serio di ripartizione degli
oneri economici, sociali e anche umani del flusso migratorio che uno o più paesi membri, in particolare del Mediterraneo, potrebbero subire». Il rapporto con l’Ue
però continua a essere molto teso. Frattini ha assicurato che l'Italia appoggerà ogni iniziativa europea per fermare le violenze, ma allo stesso tempo ha denunciato l’indecisione di Bruxelles.
Come era ovvio il ministro ha dovuto smenitre in aula le accuse lanciate da Gheddafi nel suo farneticante discorso che indicavano un appoggio italiano ai rivoltosi.
Poi ha chiarito che nella telefonata di martedì sera Berlusconi avrebbe chiesto al Colonnello di sospendere le violenze. Nessuna autocritica però sulla politica estera del governo che, per Frattini, avrebbe agito secondo una linea di continuità con i governi precedenti. Ma le opposizioni non ci stanno. In molti ricordano il baciamano di Berlusconi a Gheddafi, la convention romana con le modelle a lezione di Corano dal Colonnello e la carica a cavallo dei carabinieri in suo onore. Per Di Pietro e Bonelli (Verdi) Berlusconi
è «moralmente complice di Gheddafi». Anche Casini stigmatizza il rapporto personale tra il premier e il dittatore e rivendica di non aver votato a favore del trattato di amicizia fra Italia e Libia come invece fece il Pd. I Democratici
si dicono disponibili ad aprire una discussione bipartisan per reinventare i rapporti con la Libia. Ma giudicano «tardiva» la condanna del governo. «Non possiamo limitarci ad assistere alla strage – ha detto Bersani - Mi auguro che nonostante le debolezze del governo, si stia facendo qualcosa in contatto con gli organismi internazionali».
A questo punto però piangere sul latte versato e fare a gara a chi era meno amico del Colonnello serve a poco. Il problema è che nessuno, in Italia, in Europa e nel
mondo, sa che cosa fare. Certo non quello che vorrebbe Umberto Bossi il quale a chi gli chiede se non sia il caso di sospendere il trattato di amicizia con la Libia risponde laconico «Non esageriamo». Poi cinicamente fa capire che l'emergenza libica potrebbe persino essere utile al governo e allontanare ogni ipotesi di elezioni anticipate. Ma soprattutto fa gioco alla Lega, pronta ad usare
la paura dell'invasione islamica pro domo sua.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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Mentre gli elicotteri di fabbricazione italiana sono probabilmente in azione in Libia (rappresentano gran parte della flotta elicotteristica del Colonnello) e mentre il nord Africa è in subbuglio e non si sa il «domino» dove arriverà, cosa fa il ministro della Difesa italiana, Ignazio La Russa? Va alla fiera delle armi di Abu Dhabi, la fiera più importante del Medioriente e del Nord Africa, dove si fanno affari e si «spingono» gli armamenti in quell’area. «L’industria italiana è diventata da tempo tra i leader mondiali della tecnologia nel settore Difesa», ha rivendicato ieri con orgoglio La Russa. Francesco Vignarca, della Rete italiana per il Disarmo, è basito: «Da anni denunciamo questo improprio ruolo del ministero della Difesa italiano.
Ma che senso ha andare alle fiere degli armamenti? Quelle riguardano le industrie private, non è compito del governo "spingere" l’industria bellica italiana, semmai dovrebbe controllare che uso viene fatto delle armi. In questo momento, poi, la presenza di La Russa negli Emirati è ancora più fuori luogo». Come denuncia ancora la Rete , insieme a Pax Christi e alla Tavola della Pace «gli interessi italiani, e in particolare di Finmeccanica, hanno sicuramente bloccato in questi giorni l’azione del governo». Il sospetto diventa praticamente certezza osservando che, da quando è scoppiata la rivolta nel Maghreb, tanto Francia, Germania che Regno unito si sono espressi per la sospensione della fornitura di armi nella turbolenta area mediterranea. Ma l’Italia no. Non è un segreto che il Trattato di amicizia italo-libico sia nato sulla questione dell’«emergenza» immigrazione, ma abbia rappresentato un viatico per l’industria italiana in Libia. E che Finmeccanica abbia svolto un ruolo da leone. Qualche numero per capire la sostanza degli investimenti: nel 2009 le esportazioni belliche italiane in Libia hanno raggiunto la cifra record di 112 milioni di euro. Nel biennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti in Libia per oltre 205 milioni di euro, cioè un terzo di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’Ue. A confermare che alle politiche anti-immigrazione spesso e volentieri si «mescolano» affari guerrafondai c’è che tra i grandi esportatori di armi figura pure la piccola Malta - altra «frontiera calda» - per 80milioni di euro. D’altronde uno degli ultimi accordi con il governo libico di una delle controllate di Finmeccanica, la Selex - guidata da Marina Grossi, moglie di Guarguaglini, indagata per la vicenda degli «appalti facili» di Enav - riguarda la creazione di un non meglio «apparato di sicurezza» sul confine desertico della Libia per individuare gli immigrati che tentano di superare la frontiera (è stato chiamato ilmuro anti-immigrati) per un contratto del valore di 300 milioni di euro. Ma non solo. Nel 2008 abbiamo venduto otto elicotteri A109, nel 2009 due elicotteri AW139. Siamo stati protagonisti nell’ammodernamento della flotta degli aeromobili CH47 e comunque sin dal 2007 abbiamo venduto «bombe, siluri, razzi, missili e accessori» e «apparecchiature per la direzione del tiro», come scrive l’esperto di commercio di armi della Rete Disarmo Giorgio Beretta.
Ma le «mani in pasta» italiane in Libia vanno molto aldilà della semplice vendita di armi. La Libia è diventata secondo azionista di Finmeccanica con la Libyan Investment Authority, e secondo diverse voci avrebbe superato («spacchettando» le azioni tra Banca nazionale libica e Fondo sovrano) il 3%. Cioè il limite invalicabile per azionisti diversi dagli enti pubblici. Regola che vale anche per Eni e Enel. Stupefacente la risposta di Guarguaglini: «Non credo che lo abbiano superato». Ma l’amministratore delegato non dovrebbe esserne sicuro? Per quanto riguarda gli interessi italiani Frattini ha assicurato che nell'immediato l'Italia ha sufficienti scorte e fonti alternative
di gas, ma ha ammesso che le ricadute più pesanti colpiranno le aziende che operano in Libia: i danni potrebbero arrivare a 4 miliardi di euro. L'emergenza più grave invece riguarda i flussi migratori. Il ministro ha chiesto che l'Italia non venga lasciata sola dall'Europa. «Non è una richiesta di distribuzione di immigrati sul territorio europeo, ma di un meccanismo serio di ripartizione degli
oneri economici, sociali e anche umani del flusso migratorio che uno o più paesi membri, in particolare del Mediterraneo, potrebbero subire». Il rapporto con l’Ue
però continua a essere molto teso. Frattini ha assicurato che l'Italia appoggerà ogni iniziativa europea per fermare le violenze, ma allo stesso tempo ha denunciato l’indecisione di Bruxelles.
Come era ovvio il ministro ha dovuto smenitre in aula le accuse lanciate da Gheddafi nel suo farneticante discorso che indicavano un appoggio italiano ai rivoltosi.
Poi ha chiarito che nella telefonata di martedì sera Berlusconi avrebbe chiesto al Colonnello di sospendere le violenze. Nessuna autocritica però sulla politica estera del governo che, per Frattini, avrebbe agito secondo una linea di continuità con i governi precedenti. Ma le opposizioni non ci stanno. In molti ricordano il baciamano di Berlusconi a Gheddafi, la convention romana con le modelle a lezione di Corano dal Colonnello e la carica a cavallo dei carabinieri in suo onore. Per Di Pietro e Bonelli (Verdi) Berlusconi
è «moralmente complice di Gheddafi». Anche Casini stigmatizza il rapporto personale tra il premier e il dittatore e rivendica di non aver votato a favore del trattato di amicizia fra Italia e Libia come invece fece il Pd. I Democratici
si dicono disponibili ad aprire una discussione bipartisan per reinventare i rapporti con la Libia. Ma giudicano «tardiva» la condanna del governo. «Non possiamo limitarci ad assistere alla strage – ha detto Bersani - Mi auguro che nonostante le debolezze del governo, si stia facendo qualcosa in contatto con gli organismi internazionali».
A questo punto però piangere sul latte versato e fare a gara a chi era meno amico del Colonnello serve a poco. Il problema è che nessuno, in Italia, in Europa e nel
mondo, sa che cosa fare. Certo non quello che vorrebbe Umberto Bossi il quale a chi gli chiede se non sia il caso di sospendere il trattato di amicizia con la Libia risponde laconico «Non esageriamo». Poi cinicamente fa capire che l'emergenza libica potrebbe persino essere utile al governo e allontanare ogni ipotesi di elezioni anticipate. Ma soprattutto fa gioco alla Lega, pronta ad usare
la paura dell'invasione islamica pro domo sua.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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Davvero impressionante. C'è in corso un vero e proprio genocidio e noi andiamo alla fiera degli armamenti e forniamo addirittura armi per compierlo.
RispondiEliminaCiao Ros, che brutta aria!
Lara