Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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lunedì 21 febbraio 2011
Berlusconi: «Non disturbo Gheddafi», a rischio miliardi di petrodollari di Francesco Paternò
«No, non l’ho sentito, la situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno». Silvio Berlusconi lascia in pace Gheddafi, che poi è unmodo di dire perché in Libia è scontro frontale. Come in Tunisia, come in Egitto. Solo che in Libia l’intensità della rivolta non è ancora chiara, ma quella della repressione sì. Il presidente del consiglio non telefona e fa saltare sulla sedia le opposizioni, né dice una parola di condanna come invece ha fatto il governo inglese.
Gheddafi è per lui quel che in diplomazia si chiama una special relationship. Un po’ di più sia dell’«amicizia» che lo ha legato fino a ieri al leader egiziano defenestrato Hosni Mubarak, sia per gli interessi nazionali in ballo. E chissà se anche personali, come hanno sospettato gli americani (fonteWiki- Leaks) nei rapporti politico-affaristici fra Berlusconi e Putin.
Il «Trattato di amicizia» fra Italia e Libia è entrato in vigore due anni fa. Per comprenderne tutte le implicazioni, bisogna rifarsi alle parole del presidente del consiglio: «E’ un vantaggio per tutti, chi non capisce è prigioniero di schemi superati». Il «tutti» appartiene sicuramente ai grandi gruppi italiani pubblici e privati che, sulla scia dell’accordo politico tra i due governi, hanno trovato in Libia la loro America. Eni e Finmeccanica, per fermarsi solo ai numero uno, hanno oggi in discussione con gli uomini del Colonnello investimenti pari a 25 miliardi di dollari nel settore energia e altri 20 nel settore militare. «Avete una straordinaria industria della difesa», dice Gheddafi a Berlusconi nell’agosto scorso, quando viene a Roma con il suo circo di cavalli e tende e libretti verdi regalati a una convention di ragazze, reclutate almeno a cielo aperto e senza sms. E’ il là: la Lybian investments authority (Lia), il fondo sovrano del paese, entra con il 3% nella «straordinaria» Finmeccanica (facendo fischiare le orecchie agli americani), mentre la banca centrale libica sale fino a quasi al 5% di Unicredit, primo gruppo italiano e uno dei più grandi d’Europa.
Petrodollari, che a dire il vero fra i due paesi scorrono da circa dieci anni prima che Gheddafi prendesse il potere, quando nel 1959 l’Eni si installa lì. L’Italia è il primo importatore di petrolio libico e il terzo del loro gas metano tramite il Greenstream, il gasdotto più importante del Mediterraneo inaugurato nel 2004 sempre da Berlusconi. L’interscambio è un modo di dire: il 99% delle nostre importazioni dalla Libia sono idrocarburi.
Può Berlusconi «disturbare» Gheddafi? Il trattato di amicizia è fondato anche su altri 5 miliardi di dollari in infrastrutture che il governo di Roma ha concesso quale riparazione ai danni coloniali italiani, come da sempre Gheddafi reclamava. Un contratto in cui Berlusconi ha infilato un accordo per il respingimento degli immigrati provenienti dalla Libia, sperando di chiudere in qualche modo almeno questa frontiera del Nordafrica.
Ma l’accordo ha funzionato molto meno bene di quelli finanziar-industriali e ha fatto scattare la censura di un altro prelato del Vaticano, mons Agostino Marchetto, secondo cui l’intesa è una «violazione dei diritti umani».
Eni e Finmeccanica, sentiti ieri informalmente dalle agenzia di stampa, hanno fatto sapere che restano vigili, ma che il business va avanti tranquillo. Sperando che le braccia al collo di Berlusconi a Gheddafi non portino male quanto l’abbraccio mortale con Mubarak e prima ancora quello con il presidente tunisino Ben Alì.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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Gheddafi è per lui quel che in diplomazia si chiama una special relationship. Un po’ di più sia dell’«amicizia» che lo ha legato fino a ieri al leader egiziano defenestrato Hosni Mubarak, sia per gli interessi nazionali in ballo. E chissà se anche personali, come hanno sospettato gli americani (fonteWiki- Leaks) nei rapporti politico-affaristici fra Berlusconi e Putin.
Il «Trattato di amicizia» fra Italia e Libia è entrato in vigore due anni fa. Per comprenderne tutte le implicazioni, bisogna rifarsi alle parole del presidente del consiglio: «E’ un vantaggio per tutti, chi non capisce è prigioniero di schemi superati». Il «tutti» appartiene sicuramente ai grandi gruppi italiani pubblici e privati che, sulla scia dell’accordo politico tra i due governi, hanno trovato in Libia la loro America. Eni e Finmeccanica, per fermarsi solo ai numero uno, hanno oggi in discussione con gli uomini del Colonnello investimenti pari a 25 miliardi di dollari nel settore energia e altri 20 nel settore militare. «Avete una straordinaria industria della difesa», dice Gheddafi a Berlusconi nell’agosto scorso, quando viene a Roma con il suo circo di cavalli e tende e libretti verdi regalati a una convention di ragazze, reclutate almeno a cielo aperto e senza sms. E’ il là: la Lybian investments authority (Lia), il fondo sovrano del paese, entra con il 3% nella «straordinaria» Finmeccanica (facendo fischiare le orecchie agli americani), mentre la banca centrale libica sale fino a quasi al 5% di Unicredit, primo gruppo italiano e uno dei più grandi d’Europa.
Petrodollari, che a dire il vero fra i due paesi scorrono da circa dieci anni prima che Gheddafi prendesse il potere, quando nel 1959 l’Eni si installa lì. L’Italia è il primo importatore di petrolio libico e il terzo del loro gas metano tramite il Greenstream, il gasdotto più importante del Mediterraneo inaugurato nel 2004 sempre da Berlusconi. L’interscambio è un modo di dire: il 99% delle nostre importazioni dalla Libia sono idrocarburi.
Può Berlusconi «disturbare» Gheddafi? Il trattato di amicizia è fondato anche su altri 5 miliardi di dollari in infrastrutture che il governo di Roma ha concesso quale riparazione ai danni coloniali italiani, come da sempre Gheddafi reclamava. Un contratto in cui Berlusconi ha infilato un accordo per il respingimento degli immigrati provenienti dalla Libia, sperando di chiudere in qualche modo almeno questa frontiera del Nordafrica.
Ma l’accordo ha funzionato molto meno bene di quelli finanziar-industriali e ha fatto scattare la censura di un altro prelato del Vaticano, mons Agostino Marchetto, secondo cui l’intesa è una «violazione dei diritti umani».
Eni e Finmeccanica, sentiti ieri informalmente dalle agenzia di stampa, hanno fatto sapere che restano vigili, ma che il business va avanti tranquillo. Sperando che le braccia al collo di Berlusconi a Gheddafi non portino male quanto l’abbraccio mortale con Mubarak e prima ancora quello con il presidente tunisino Ben Alì.
fonte articolo 'Il Manifesto'
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eh sì lasciamoli in pace questi miei amici dittatori...se non che fine fanno tutti gli affari che faccio con loro!Mai stai attento silvietto che ,magari,vai a fondo con loro,oppure gli "ammmerigani"che adesso avranno bisogno di qualcuno con le palle al governo ,ti faranno saltare come un TAPPETTO di spumante,tanto non gli servi più.ed è la volta che il galera ci finisci davvero
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