Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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mercoledì 1 dicembre 2010
Mario Monicelli, un comunista oltre le apparenze di Valentino Parlato
Mario Monicelli ci ha lasciato. Ci ha lasciato con il suo stile. Non lamenti e lacrime, addii addolorati, ma riaffermazione del suo sé.
Se ripensiamo ai suoi film (altri ne scrivono con più competenza), nonostante l’apparente giocosità sono tutti «scabri ed essenziali». Qualcuno si ricorda di Montale? Lo stile è l’uomo, dice un vecchio adagio, e Mario lo ha confermato anche nella sua fine. Alcuni dicevano che era cattivo. Certamente sì, ma perché guardava al di là delle apparenze.
Le rappresentava romanzesche e anche divertenti, ma sempre faceva intuire (a chi voleva) la verità di fondo. In questo senso è stato anche un protagonista della politica che, purtroppo, sta alle nostre spalle. Proviamo a rivedere e rileggere i suoi film. Ma di Mario Monicelli grande regista di un’epoca di grandi speranze scrivono i nostri bravi cinematografari.
Io vorrei limitarmi ad alcuni ricordi personali. Con Mario abitavamo nello stesso quartiere, Monti, non a caso l’antica Suburra, dove anche Nerone andava a puttane. Lui abitava a via dei Serpenti, io a via del Boschetto. Ci incontravamo anche senza volerlo. Spesso nel locale «Al vino, al vino», dell’amico Giacomo, o per strada, o al ristorante le Tavernelle (dove andavano anche «i ragazzi di via Panisperna» in ricordo di Fermi e degli altri fisici). E con lui avevo un po’ collaborato a un suo corto sul quartiere nel quale avevano abitato amici importanti come Vittorio Foa, Carlo Aymonino e altri ancora. In queste strade molti ricordano ancora il bravo Farid. È un quartiere che fece un grande omaggio a un simpatico e bizzarro mendicante, che ebbe anche la protezione di Clio Napolitano.
La vicinanza mi aveva indotto a impegnare Mario in una discussione sul parallelismo tra i suoi film e le vicende politiche del nostro paese. Tutto registrato in cassetta che purtroppo nella mia naturale confusione non riesco più a trovare, ma le troverò per obbligo verso Mario.
Il mio è un ricordo di quartiere, ma Mario resterà persona di rilievo internazionale. I suoi film, se li mettete insieme, sono un po’ la nostra storia e la critica alla nostra storia. E nelle conversazioni, al bar o per strada, mai nostalgie, ipocrite e impotenti, del passato, ma attenzione e impegno sul presente.
E proprio per questo, spesso, Mario mi dava soldi per il nostro/vostro manifesto (che tra un po’ farà quarant’anni, ma vorrebbe farne 95 come Mario). Non che ne fosse entusiasta (non era nel suo carattere) ma, con i tempi che corrono, lo riteneva utile.
Mario Monicelli ci ha lasciato oltre che i suoi soldi anche un insegnamento, a resistere sempre attenti alla realtà del nostro paese e anche del mondo. Una lezione di realismo. Vi ricordate La grande guerra. Non è stato il maestro della commedia all’italiana, come titolavano ieri molti giornali, ma qualcosa di più. Un comunista.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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Se ripensiamo ai suoi film (altri ne scrivono con più competenza), nonostante l’apparente giocosità sono tutti «scabri ed essenziali». Qualcuno si ricorda di Montale? Lo stile è l’uomo, dice un vecchio adagio, e Mario lo ha confermato anche nella sua fine. Alcuni dicevano che era cattivo. Certamente sì, ma perché guardava al di là delle apparenze.
Le rappresentava romanzesche e anche divertenti, ma sempre faceva intuire (a chi voleva) la verità di fondo. In questo senso è stato anche un protagonista della politica che, purtroppo, sta alle nostre spalle. Proviamo a rivedere e rileggere i suoi film. Ma di Mario Monicelli grande regista di un’epoca di grandi speranze scrivono i nostri bravi cinematografari.
Io vorrei limitarmi ad alcuni ricordi personali. Con Mario abitavamo nello stesso quartiere, Monti, non a caso l’antica Suburra, dove anche Nerone andava a puttane. Lui abitava a via dei Serpenti, io a via del Boschetto. Ci incontravamo anche senza volerlo. Spesso nel locale «Al vino, al vino», dell’amico Giacomo, o per strada, o al ristorante le Tavernelle (dove andavano anche «i ragazzi di via Panisperna» in ricordo di Fermi e degli altri fisici). E con lui avevo un po’ collaborato a un suo corto sul quartiere nel quale avevano abitato amici importanti come Vittorio Foa, Carlo Aymonino e altri ancora. In queste strade molti ricordano ancora il bravo Farid. È un quartiere che fece un grande omaggio a un simpatico e bizzarro mendicante, che ebbe anche la protezione di Clio Napolitano.
La vicinanza mi aveva indotto a impegnare Mario in una discussione sul parallelismo tra i suoi film e le vicende politiche del nostro paese. Tutto registrato in cassetta che purtroppo nella mia naturale confusione non riesco più a trovare, ma le troverò per obbligo verso Mario.
Il mio è un ricordo di quartiere, ma Mario resterà persona di rilievo internazionale. I suoi film, se li mettete insieme, sono un po’ la nostra storia e la critica alla nostra storia. E nelle conversazioni, al bar o per strada, mai nostalgie, ipocrite e impotenti, del passato, ma attenzione e impegno sul presente.
E proprio per questo, spesso, Mario mi dava soldi per il nostro/vostro manifesto (che tra un po’ farà quarant’anni, ma vorrebbe farne 95 come Mario). Non che ne fosse entusiasta (non era nel suo carattere) ma, con i tempi che corrono, lo riteneva utile.
Mario Monicelli ci ha lasciato oltre che i suoi soldi anche un insegnamento, a resistere sempre attenti alla realtà del nostro paese e anche del mondo. Una lezione di realismo. Vi ricordate La grande guerra. Non è stato il maestro della commedia all’italiana, come titolavano ieri molti giornali, ma qualcosa di più. Un comunista.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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