Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)

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di 'Per quel che mi riguarda'

sabato 31 ottobre 2009

PRESIDENTE, FACCIA I NOMI di Massimo Fini

Intervenendo a Ballarò l'onnipresente Berlusconi ha affermato che l'anomalia in Italia sono «i pubblici ministeri e i giudici comunisti di Milano». Ormai il cavaliere ci ha abituato a tali e tante violazioni di ogni regola istituzionale che quest'affermazione, gravissima, è stata accolta come normale, o quasi, solo Di Pietro l'ha definita per quello che è: eversiva. Infatti le cose sono due. O Berlusconi ha le prove di quel che afferma e allora il suo dovere di cittadino, prima ancora che di premier, è di fare i nomi dei pm e dei giudici felloni alla procura della Repubblica competente perché autori del più grave reato che un magistrato possa commettere: non aver applicato la legge o averla manipolata per fini che con la giustizia non hanno nulla a che fare (questo sottintendono i termini "comunisti", "complotto", "sentenza politica"). Oppure è un volgare calunniatore. Ma c'è di più. Perché Berlusconi non denuncia alla magistratura i pm e i giudici che ritiene corrotti? Perché, evidentemente, ritiene corrotta l'intera magistratura. Non la ritiene legittimata a giudicarlo. È come se ogni volta che viene colpito da un provvedimento giudiziario Berlusconi si dichiarasse "prigioniero politico", come facevano i brigatisti. Ecco perché le dichiarazioni di Berlusconi (quella dell'altro giorno e le infinite altre dello stesso tenore) sono eversive. Se il presidente del Consiglio è il primo a non credere alla Magistratura, alle leggi che è chiamata ad applicare, allo Stato che egli rappresenta in prima persona, perché mai dovremmo crederci noi cittadini? Perché dovremmo credere alla legittimità della Magistratura, delle leggi, dello Stato che le emana e dello stesso premier che da questo sistema corrotto è stato espresso? È il motivo per cui né Andreotti né Forlani hanno mai parlato di "complotto". Perché Andreotti e Forlani saranno stati quello che saranno stati, ma avevano il senso di essere classe dirigente e una classe dirigente non delegittima le Istituzioni perché così delegittimerebbe anche se stessa. Berlusconi invece è solo un avventuriero. Après moi le deluge. Ed è grottesco che un simile personaggio, che disprezza la Magistratura in toto («i magistrati sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana») che, come minimo, non ne capisce il ruolo fondamentale, si appresti ora a varare la riforma della Giustizia. E infatti già da adesso si sa che questa riforma non affronterà la vera, gravissima, anomalia della giustizia italiana, l'abnorme durata dei processi penali, che mortifica gli innocenti, premia i colpevoli e ha catastrofiche conseguenze sulla certezza della pena, su un'equa durata della carcerazione preventiva, sulla possibilità di tutelare il segreto istruttorio, ma inzepperà i Codici di norme ad hoc (ulteriore abbreviamento dei tempi di prescrizione, trasferimento a Roma dei processi "alle più alte cariche dello Stato") per salvare Berlusconi da quelli che, pudicamente, vengono chiamati i suoi "guai giudiziari".

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LA SENTENZA DEL MINISTRO di Patrizio Gonnella

«Di una cosa sono certo:del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in quest’occasione». Le parole del ministro della Difesa sono parole simili ad altre già ascoltate in circostanze analoghe. Una difesa aprioristica del corpo dei carabinieri funzionale a salvarne lo spirito. Lo spirito di corpo appunto.
Il vero nemico della verità nei casi di violenza nei confronti di persone in custodia dello Stato è lo spirito di corpo. Una forma esplicita di autodifesa che si accompagna alla ingloriosa teoria delle mele marce la quale così recita: «se proprio i carabinieri-poliziotti hanno deviato, sbagliato, commesso un reato al massimo sono delle mele marce, ma il corpo è comunque salvo». Il corpo di Stefano Cucchi è stato invece devastato. Non sappiamo come siano andate le cose. Speriamo però che la magistratura faccia presto a scoprirlo. D’altronde l’arco temporale dell’indagine e i pochi attori coinvolti favoriscono una veloce ricostruzione dei fatti. Il passare del tempo – così è accaduto in altri processi per violenze subite da fermati, arrestati, detenuti – è un ostacolo al raggiungimento della verità. Il rischio prescrizione è sempre incombente per processi di questo tipo. Processi nei quali non si può procedere per tortura perché in Italia la tortura non è un crimine.
Questa storia va seguita, monitorata, osservata così come si faceva un tempo per i processi per delitti di opinione. Le responsabilità eventuali di operatori delle forze dell’ordine, giudici o medici vanno individuate. Al pregiudizio innocentista del ministro La Russa non vogliamo contrapporre un pregiudizio colpevolista. Per questo vorremmo un segnale, un risarcimento politico ai familiari di Stefano Cucchi. Ci sono molti modi per onorare una persona morta nelle mani dello Stato: 1) evitare che altri episodi di violenza simili accadano. Per farlo bisogna spazzare via lo spirito di corpo. Un segnale in tal senso sarebbe l’introduzione con decreto legge del delitto di tortura nel codice penale che abbia tempi lunghi di prescrizione e procedibilità di ufficio; 2) evitare che altri ragazzi finiscano in galera soltanto per fatti di lieve entità; 3) infine dire la verità, null’altro che la verità. Basterebbe che uno di quelli che ha visto Stefano Cucchi nei sei giorni del suo martirio rompesse il muro del silenzio gridando ad alta voce: «Non è caduto dalle scale». Purtroppo le affermazioni del ministro La Russa pare non vadano in questa direzione. Siamo di fronte alla classica autodifesa, come a Sassari nel 2000, a Napoli e a Genova nel 2001, a Livorno nel 2003, a Ferrara nel 2005, a Perugia nel 2007. Un’autodifesa che appare grottesca di fronte alle foto del volto e del corpo di Stefano Cucchi.
Noi confidiamo ci sia un giudice in Italia che assicurerà giustizia. Per sicurezza però preannunciamo che ci rivolgeremo agli ispettori europei. (Presidente di Antigone)

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venerdì 30 ottobre 2009

DEMOCRAZIA: 'Una crisi dello stato, pericolosa' di Valentino Parlato

A ben vedere nella nostra Italia siamo a una crisi dello Stato, non dico dello stato democratico, ma dello stato in quanto tale. Provo a segnalarne i sintomi. Mai in Italia, a mia memoria, c’era stata una grande manifestazione di protesta della polizia. Cortei e slogan contro il governo e i suoi ministri. E ora si «sospende» il parlamento. Mai, almeno in queste forme, c’era stato un conflitto così esplicito e violento tra il governo e la magistratura, tra l’esecutivo e il potere giudiziario (il potere legislativo, allo stato attuale, è un non potere e questo aggrava la situazione).Una crisi dello stato è – è stato sempre–un'affare serio, dal quale di solito si esce o con una rivoluzione o,com’è probabile, dati i tempi, con una controrivoluzione, con una messa in frigorifero della democrazia.
Preoccupa così non poco che sia stata decisa la sospensione del parlamento per dieci giorni perché il governo deve aggiustare la riforma finanziaria per la
quale ha fatto solo promesse. Mai come in questi tempi è stato così evidente il rapporto tra crisi della politica, dei grandi obiettivi e ideali, e crisi della democrazia. Senza democrazia la politica si riduce ad affari privati di gruppi di potere, e questa caduta in basso della politica mortifica, porta sempre più in basso il valore della democrazia.
In questa situazione anche la caduta di Berlusconi (magari per la scarlattina) fa prevedere, temo, un ulteriore disordine con esiti deboli e autoritari e potenzialmente molto più autoritari nella debolezza crescente della politica e della democrazia.
Un potere legislativo debole e burocratizzato, con la polizia che scende in piazza per protestare e la magistratura sotto attacco di un esecutivo personalizzato – in una persona malata –non annunciano niente di buono. A meno che queste proteste democratiche dentro lo stato non si saldino con le nuove emergenze e istante sociali.

Ps. I magistrati accusati da Berlusconi di essere comunisti hanno replicato affermando che le loro toghe sono rosse sì ma del sangue versato nell’adempimento del loro dovere. Verità sacrosanta. Ma, vorrei aggiungere: comunisti non è un insulto. È una lunga storia che non è finita e noi del manifesto che continuiamo a definirci "quotidiano comunista" non pensiamo affatto di autoinsultarci.

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Emergenza Vespa di Marco Travaglio

Non bastassero i terremoti, le alluvioni, le frane e l'influenza suina, un'altra catastrofe naturale si abbatte sul Paese: le anticipazioni del nuovo libro di Vespa. Evento prevedibile, visto che si verifica ogni anno intorno al giorno dei defunti. Dunque Bertolaso, una volta tanto, non potrà parlare di tragica fatalità. Ma i danni restano incalcolabili. Anche perchè il libro, di cui agenzie e giornali anticipano servilmente gli scoop più succulenti in uno stillicidio quotidiano, ancora non esiste. E' in fase di scrittura. Altrimenti l'altroieri l'insetto non avrebbe potuto anticipare il racconto dell'amato Silvio sulla telefonata a Marrazzo, previa visione del videotape con gli amici. Funziona così: oggi succede la qualsiasi, Bruno chiama Silvio che straparla per tre ore; lo sproloquio è riversato ipso facto alle agenzie che lo sparano come fosse la terza guerra mondiale; dopodichè Silvio, complici la prostata e la scarlattina, si scorda di aver promesso l'esclusiva mondiale e spiattella tutto a Ballarò. Ma c'è un'altra complicazione. L'insetto intervista politici per tutta l'estate-autunno. Lui mette in freezer e poi, con l'approssimarsi di Halloween, anticipa. Ma intanto i voltagabbana han già cambiato idea, o partito. E negano recisamente di aver mai detto quelle cose. Il pover'uomo, che mai si permetterebbe di tradire i suoi editori di riferimento, balbetta mogio che quelle cose gliele han dette. E quelli: “Sì, ma un mese fa”. Che per loro equivale a due ère geologiche. Il mese scorso, il pie' veloce Rutelli confida a Vespa: “Vado con Casini ma non ora e non da solo”. L'insetto lo anticipa nel giorno delle primarie. Troppo presto, il portavoce di Er Cicoria smentisce piccato: “Le dichiarazioni diffuse da Vespa non sono state rilasciate ieri, ma alcune settimane fa. La loro divulgazione oggi potrebbe trarre in inganno. Rutelli si esprimerà sulle primarie e sui propri orientamenti in occasione della presentazione del suo libro domani a Milano”. Ecco, l'anticipazione del libro di Vespa ha bruciato l'anticipazione del best-seller di Rutelli, “La svolta” (anzi la giravolta). Poi però l'anticipazione smentita si autoavvera: Rutelli se ne va con Casini, ma solo in coincidenza con l'uscita del suo libro, altrimenti non se ne accorge nessuno (del fatto che se ne va, ma anche del libro). Vespa però si scusa tanto: “La conversazione è immediatamente successiva al congresso Pd. Mi dispiace che l'anticipazione abbia preceduto la presentazione del libro di Rutelli che risulterà, spero, più attesa e interessante”. Infatti, quel giorno, han dovuto transennare la sala per arginare le masse. Seguono altre fondamentali scoop con Veltroni (la “vocazione maggioritaria” e l'”autosufficienza” del Pd, che infatti sta al 26%) e con Bersani (“da segretario riprenderò la Canzone popolare di Fossati. Volevo riprenderla già da candidato, ma poi ho deciso di fermarmi a Vasco Rossi”). Roba forte. Ora qualcuno si domanderà che diavolo c'entrino queste menate con un libro che, salvo complicazioni, s'intitolerà “Donne di cuori - Duemila anni di amore e potere da Cleopatra a Carla Bruni, da Giulio Cesare a Berlusconi” (ma anche dalla Pompadour a Gasparri). Beata ingenuità: lì si cantano gli amori di Messer Brunetto per tutti i politici. Ancora un po' di pazienza e qualche migliaio di anticipazioni, poi il 6 novembre il capolavoro sarà finalmente in libreria e sapremo tutto. Dopodichè, altra calamità: il consueto pellegrinaggio dell'insetto da un programma tv all'altro per le immancabili presentazioni, compresi Linea Verde, Protestantesimo, le previsioni del tempo e il segnale orario. Già allertata la Protezione civile.

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giovedì 29 ottobre 2009

SESSO E POTERE, UN ALTRO MONDO DOVE I CORPI NON SONO IN VENDITA di Mariuccia Ciotta

La doppia morale è qualcosa che piace al potere, piace ai benpensanti. Dio, patria e famiglia, predica Tremonti, buon ultimo, il quale sa bene che il rovescio della medaglia è l’allegra, e privatissima, pratica del bordello. La santa e la prostituta, l’amor sacro e l’amor profano. Ora, se un governante la pensa così, che il «piacere» va soddisfatto a pagamento, che un corpo umano è merce sul mercato, mentre la «famiglia» è la cellula della società, da salvaguardare a tutti i costi (lo sfogo prezzolato), pilastro dell’economia e dell’ordine pubblico, lo considero un avversario politico. Non c’entra il moralismo, c’entra l’idea che abbiamo dei rapporti tra le persone e quindi di un modello culturale diverso da quello ipocrita del dispensatore di «valori» (d’accordo con l’editoriale di Ida Dominijanni). L’idea di cos’è la felicità, estesa alla sfera intima, una felicità basata su piaceri ben più «perversi» del sesso a pagamento, cioè di rapporti erotici e sentimentali liberi, omo, etero e trans. E che c’entra invece il libertinaggio, che c’entrano le prodezze sessuali, una, cento, mille amanti? Berlusconi non ha amanti. Bill Clinton, sì ne aveva, ed è cosa ben diversa. Monica Levinsky non era un «vizio privato» del presidente, era una relazione privata, uno scambio tra individui e poco importa se lei era la sua segretaria. Non c’è soluzione di continuità tra il Berlusconi che maneggia corpi di donne e corpi di precari e di «clandestini», tutti sono a «sua disposizione», tutti hanno un prezzo. Il giudizio sul mondo di riferimento di un premier che paga intermediari per avere carne fresca da consegnare a domicilio ci riguarda, ma per ragioni opposte alla pulsione bacchettona che caratterizza il suo schieramento. Sono loro ad essere contro le unioni di fatto e i matrimoni gay, sono loro che demonizzano il ’68 come fonte di ogni disordine, sesso, droga e rock’n’roll. Ci riguarda perché va contro la nostra concezione della persona, che le escort e le veline siano complici o no, perché è la prova dell’«abuso di potere». E non solo, come giustamente è stato detto più volte, a causa della contropartita in termini elettorali e televisivi offerta da Berlusconi in cambio delle prestazioni sessuali, ma per l’ignobile visione del potere come esercizio di sopraffazione. Quale presente e futuro ci riserva chi intrattiene se stesso con l’altro «libero» solo di vendersi? E il quesito va al di là del sesso, si espande e tocca categorie di varia umanità. È anche per questo che, nonostante le evidenti differenze con il caso del presidente della regione Lazio (che non ha offerto posti di lavoro alle sue prostitute), penso che Marrazzo non possa più rappresentarci. Le interpretazioni per il suo abbandono definitivo dalla politica si sono arricchite nel corso del tempo, a proposito della «protezione » offerta dal capo della maggioranza che lo avrebbe reso vulnerabile. Il «bacio della morte» di Berlusconi. Ma, anche se è vero, è sempre un modo di eludere la questione principale, su cui molti si ritraggono per evitare l’accusa di «frugare tra le lenzuola» e di dare lezione di etica. La vita, sulla quale il biopotere ha messo le mani, e che costituisce la materia prima di ogni programma di cambiamento. Al «personale» intoccabile si finisce poi per assumere anche la storia giudiziaria dei politici, vista come ulteriore «distrazione» dal giudizio sull’attività di governo. Affari loro se hanno trasferito capitali all’estero, corrotto giudici, creato società off-shore, gonfiato diritti tv... Certo, se tutto si risolve in un tintinnar di manette si oscura l’intreccio indistricabile tra l’agire privato e quello politico. I giornali di riferimento del premier, sostengono che il Berlusconi dongiovanni non avendo commesso reato, mentre Marrazzo sì (avrebbe ceduto al ricatto), deve restare al suo posto e l’altro dimettersi. Sono stati accontentati, anche se l’ex governatore non risulta inquisito. Il «reato» però non è solo ascrivibile alle tavole della legge. Dicono anche che la «gnocca» (parole del portavoce del presidente del consiglio, Feltri) è un’attenuante mentre il trans è un aggravante. Questo vale solo a casa loro. Se Berlusconi avesse avuto un amante trans e Marrazzo pure, li avremmo difesi fino all’ultimo respiro, ci avremmo messo più gusto a difenderli. Non di questo però si tratta. La differenza tra il caso Berlusconi e quello Marrazzo è soprattutto nella reazione dei rispettivi schieramenti di governo ed elettorali. I primi considerano il comportamento di Berlusconi una prova di esuberanza maschile, un modo invidiabile di spendere il suo potere, gli altri si sono sentiti offesi e non certo per la "devianza" del leader regionale (che anzi semmai merita comprensione) ma perché ha tradito l’idea di un mondo migliore che esclude il traffico di esseri umani, che è fatto di progetti d’amore, di conquiste civili, di diritti e di comportamenti non più illeciti, ma praticabili alla luce del sole. Un mondo senza doppia morale.
I «puttanieri» della commedia all’italiana sono la fotografia di un’Italia che il famigerato ’68 ha spazzato via, frutto delle lotte di donne, e di uomini, che chiedono una gestione della cosa pubblica basata sul rispetto di ognuno e di tutti.

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Il procuratore aggiunto di Milano, Robledo: Toghe rosse? Sì, dal sangue versato da Falcone di Gianni Barbacetto

(vignetta Bandanas)
“Toghe rosse? Sì: per il sangue versato”. Alfredo Robledo, procuratore aggiunto a Milano, è abituato a parlar chiaro. Così, quando i cronisti delle agenzie gli hanno chiesto come aveva reagito alle parole di Silvio Berlusconi a “Ballarò” («La vera anomalia italiana sono i pm e i giudici comunisti»), ha risposto così: «Se le nostre toghe sono rosse, lo sono per il sangue versato dai magistrati che hanno pagato con la vita la difesa della legalità e dei valori costituzionali, a cominciare da Falcone e Borsellino», e di tutti gli altri che «hanno perso la vita in nome della difesa della legalità».
L’Associazione nazionale magistrati in una nota ha scritto: «Ogni occasione sembra buona per denigrare l’ordine giudiziario e descrivere i palazzi di giustizia come sezioni di partito. Nessun ufficio giudiziario merita queste infondate e ridicole definizioni, tanto meno quello di Milano. Rispondiamo solo alla legge e alla Costituzione: i magistrati non devono essere intimiditi». Ma sono state le parole di Robledo ad avviare una piccola valanga di messaggi di sostegno. Il più vibrante è quello di Giovanni Tamburino, oggi giudice di sorveglianza a Venezia: «Bravo Alfredo Robledo. Bravo perché bastano poche parole. Tre. Rossi per il sangue versato. ROSSI PER IL SANGUE VERSATO. È proprio così. Ricordiamolo. Stavolta davvero tutti. E diciamolo. Ripetiamolo. Scriviamolo a intestazione dei messaggi, delle lettere, delle mailing list. Da oggi. Fino a quando? Fino a quando non ve ne sarà più bisogno».
Tamburino è un magistrato che ha visto la nascita del termine «toghe rosse» e che ha memoria delle due stagioni degli attacchi ai magistrati. La seconda, quella in corso, è nata dopo “Mani pulite” come reazione alle indagini (e poi alle sentenze) sulla corruzione degli uomini della politica. Ha in Berlusconi il suo campione assoluto, ma ben anticipato da Bettino Craxi che attaccò duramente i magistrati di Milano che osarono mettere in carcere Roberto Calvi per la bancarotta dell’Ambrosiano. La prima stagione d’attacchi (oggi ormai dimenticata) nacque invece nel marzo 1972: quando uno sconosciuto giudice istruttore di Treviso, Giancarlo Stiz, con il pm Pietro Calogero, aprì la “pista nera” nelle indagini sulla strage di piazza Fontana: la stampa di destra si scatenò per la prima volta contro i “giudici comunisti”. Non importava che Stiz, uomo d’ordine, provenisse da una famiglia di tradizioni militari. Due anni dopo, fu la volta di un altro uomo d’ordine, Giovanni Tamburino appunto, allora giudice a Padova, a cui fu assegnata per caso un’indagine proveniente da La Spezia: quella sui tentativi golpisti della Rosa dei venti. Poi toccò, a Milano, a Gerardo D’Ambrosio ed Emilio Alessandrini, che ereditarono l’inchiesta su piazza Fontana proveniente da Treviso. A Bologna, a Libero Mancuso e Claudio Nunziata, che per dieci anni ha dovuto difendersi dalle accuse disciplinari e penali. Poi è stata la volta di Giuliano Turone e Gherardo Colombo a Milano, colpevoli di aver scoperto le liste della P2. Nella prima stagione, almeno, il comunismo esisteva ancora. Oggi di rosso resta proprio solo il sangue versato.

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martedì 27 ottobre 2009

MINCULPAPI di Marco Travaglio

Poteva mancare Silvio Berlusconi nello scandalo Marrazzo? No che non poteva: lui c’entra sempre. Infatti ha messo lo zampino anche lì. E dire che stavolta la sua personale intelligence di barbefinte, tarantini e piipompa aveva fatto cilecca: pare che sia piuttosto deboluccia sugli ambienti trans di Roma Nord, così sono sfuggite al suo controllo le varie Natalia, Michelle, Joycs e Brendona, nonché il portavoce di quest’ultima, Thaynna. Ma il prode Signorini ha subito colmato la lacuna, ricevendo il videotape da un’agenzia che l’aveva avuto dal celebre Scarfone, già noto per aver immortalato Sircana con un altro viado, dunque esperto del ramo “sinistra transgender”. Così il presidente del Consiglio, quello che non ha tempo per i processi, ha allestito un piccolo cineforum a Palazzo Grazioli per visionare la pellicola, autentico capolavoro del neorealismo, poi ha atteso il momento giusto e lunedì scorso ha chiamato Marrazzo con voce suadente, tipo il gatto e la volpe con Pinocchio: sapesse i filmati che girano su di lei, ma noi siamo uomini di mondo, certe cose non le pubblichiamo, non le dico però quanto ho faticato a frenare i miei scalpitanti reporter, comunque stia tranquillo, il video è nella nostra cassaforte, al sicuro. Da quel momento il governatore era nelle mani, oltreché di quattro carabinieri ricattatori, del premier. Parlare di conflitto d'interessi pare eccessivo: ormai i tentacoli della piovra sono talmente estesi da escludere la presenza del conflitto. Siccome è tutto suo, ci sono solo interessi. Il fatto poi che il Ros abbia arrestato i ricattatori (solo i quattro carabinieri, ovvio) tre giorni dopo la chiamata del premier e alla vigilia delle primarie del Pd è una semplice coincidenza, ci mancherebbe. Proviamo ora a immaginare se Marrazzo fosse un esponente del centrodestra. Intanto i quattro carabinieri che lo ricattavano sarebbero già parlamentari o eurodeputati o ministri. I trans coinvolti avrebbero esordito ieri al Grande Fratello, ribattezzato per l’occasione Grande Transgender, e non sarebbe uscito nulla. Se invece non si fosse fatto a tempo a tacitarli tutti, a quest’ora avremmo tv e giornali alluvionati da dichiarazioni sulla giustizia a orologeria, sui carabinieri rossi pilotati dall’onnipresente sinistra (quando arrestarono il pusher ministeriale che portava la coca a Miccichè, questi strillò al complotto dell’Arma, le cui inclinazioni progressiste sono note a tutti), sui comunisti che vogliono sovvertire il risultato delle elezioni eliminando per via giudiziaria un governatore eletto dal popolo. Il quale dunque resterebbe a pie’ fermo al suo posto, con la solidarietà delle più alte cariche dello Stato per l’infame intrusione nella sua privacy, con l’immediato intervento del Garante per vietare la diffusione del videotape e con gli autorevoli inviti del Pompiere della Sera a porre fine allo scontro fra politica e giustizia, separare le carriere, abolire intercettazioni e videotape, aprire un tavolo delle riforme allargato ai trans. Intanto Mattino5 starebbe pedinando il pm che ha smascherato lo scandalo per mostrarne urbi et orbi i calzini, le sedute dal barbiere, le fumatine e altre bizzarrie tipiche della toga politicizzata. Invece Marrazzo (che, lo ripetiamo a scanso di equivoci, è indifendibile e deve dimettersi) è di centrosinistra, non ha la fortuna di possedere tv per sputtanare i suoi avversari né giornali con cui manovrare le loro foto o video compromettenti. La prossima volta, se vuol fare carriera sugli scandali anziché stroncarsela, si faccia furbo: si iscriva al Popolo delle Libertà.

domenica 25 ottobre 2009

Un brutto nodo Ida Dominijanni

Bene ha fatto Piero Marrazzo ad autosospendersi da governatore della Regione Lazio. Meglio avrebbe fatto a dimettersi: non ieri, dopo aver ammesso quello che l’altro ieri negava ostinatamente e incomprensibilmente, ma in quel di luglio, all’indomani degli ormai noti fatti, quando capì di essere sotto ricatto e, stando alle sue stesse dichiarazioni, pagò i ricattatori nel tentativo di mettere tutto a tacere. Tentativo vano, perché nell’epoca della riproducibilità tecnica di tutto vana è la speranza di mettere a tacere qualsivoglia cosa. Tentativo colpevole, perché un uomo di governo sotto ricatto ha l’obbligo di denunciare i ricattatori e, a meno che la causa del ricatto sia inesistente, non può fare l’uomo di governo. Non può fare nemmeno la vittima, o solo la vittima, come invece Marrazzo ha fatto nell’immediatezza dello scandalo. Il governatore del Lazio è vittima e colpevole, tutt’e due. E’ vittima di un’aggressione indecente dell’Arma dei carabinieri, un’aggressione su cui a noi tutti è dovuta piena luce dai vertici dell’Arma e dai ministeri competenti, i quali ci facciano il piacere di non provare a cavarsela con la solita tesi delle mele marce. E’ colpevole di aver taciuto, sottovalutato, occultato quanto gli stava accadendo, con la solita tesi che la vita privata è privata e non c’entra niente con la vita pubblica. Rieccoci al punto che tiene inchiodato il dibattito politico da seimesi: e quando un punto ritorna così insistentemente, sia pur sotto una differenziata casistica, significa che è un punto dolente. Sono patetici i vari Cicchitto, Cota, Lupi e relativi giornalisti organici alla Feltri che si lanciano sulla succulenta occasione per salvare Berlusconi col duplice argomento che a) tutti hanno i loro peccati, a destra e a sinistra, b)chi dimoralismo e violazione della privacy ferisce, di moralismo e violazione della privacy perisce. Non casualmente, solo da destra
si chiede che il governatore resti al suo posto, con l’unico scopo di far restare al suo anche il premier. Purtroppo però qui non si tratta di salvare tutti, bensì di non salvare nessuno. Pur cercando di esercitare la sempre più difficile arte delle distinzioni. Piero Marrazzo non è colpevole di frequentare trans, come Silvio Berlusconi non è colpevole di frequentare escort o di avere, o millantare, tutte le fidanzate che crede. Entrambi sono colpevoli però di non aver capito che la vita privata di un uomo politico riverbera sulla sua immagine (e sulla sua sostanza) politica. Nonché di scindere, nella miglior tradizione della doppia morale di un paese cattolico, i loro vizi privati dalle loro dichiarazioni pubbliche di fede nei sacri valori della famiglia. Dopodiché le analogie finiscono. Marrazzo si dimette e Berlusconi no. Marrazzo si chiude disperatamente a Villa Piccolomini e Berlusconi fa un proclama al giorno per rivendicare che lui, l’eletto dal popolo, fa quello che vuole. Marrazzo – stando alle testimonianze – ha avuto relazioni personali con alcuni trans, Berlusconi è al centro di un sistema diffuso di scambio fra sesso, danaro e potere, in cui «il divertimento dell’imperatore» viene retribuito in candidature e comparsate in tv (privata e pubblica). Fa qualche differenza, e nel senso opposto a quello che scrive Il Giornale, che già salva la candida «normalità» del premier che va a donne contro l’immonda ambiguità sessuale del governatore che va a trans.
Per tutte e tutti noi si spalancano ogni giorno di più tre questioni. La prima - il punto dolente di cui sopra - è che l’ostinazione a scindere il privato dal pubblico e la vita personale dalla vita politica, in tempi in cui i telefoni filmano e registrano, la Rete diffonde e le donne non stanno zitte, rasenta la stupidità: vale per la destra ma anche per quella sinistra che oggi ne è colpita ma fino a ieri è stata su questo reticente. La seconda è che è vero che sui comportamenti sessuali non si può sindacare moralisticamente, ma se quelli che la cronaca ci rimanda sono sempre più spesso comportamenti sessuali di uomini di potere mediati dai soldi è lecito quantomeno interrogarsi sullo stato della loro sessualità e del loro potere. La terza è che se la politica, ripetutamente, inciampa nel sesso, in un sesso siffatto, qualcosa s’è rotto nel segreto legame che unisce qualità delle relazioni interpersonali e qualità del legame sociale, passioni personali e passioni collettive, desiderio individuale e felicità pubblica. C’è un brutto nodo che stringe questione maschile, questione sessuale e crisi della politica. Se è vero che, come ci insegnavano a scuola, oportet ut scandala eveniant,che almeno ci servano a vedere questo nodo, e a scioglierlo.

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sabato 24 ottobre 2009

VLADIMIR LUXURIA: “SPIEGATEMI PERCHÈ CON UN TRANS NO, MA CON UNA MINORENNE SÌ” di Alessandro Ferrucci

Appena viene a sapere che i giornali aprono sulla notizia del video che lo riguarda, e che ipotizzano un tentativo di ricatto (con pagamento di 50mila euro) da parte di quattro carabinieri, Piero Marrazzo chiama la moglie e le due figlie per rassicurarle: “È un’infamia contro di me”. Poi, nella mattinata, mentre tutte le ipotesi iniziano a turbinare nell’aria, si decide a vergare una prima dichiarazione ufficiale: “E' stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Sono amareggiato e sconcertato - dice - per come, a pochi mesi dalle elezioni, si tenti di infangare l’uomo Marrazzo per colpire il presidente Marrazzo».(Luca Telese-Il Fatto)


“Aspetti... aspetti. Mi faccia capire bene: ancora una volta sta passando la linea-Sircana?” Cioé? “Beh, la tesi secondo la quale se il soggetto protagonista è un trans c’è l’aggravante; al contrario se si parla di una minorenne scatta l’attenuante”. Neanche urla l’ex on. Vladimir Luxuria. Il tono non corrisponde alle parole: le pronuncia con una voce sottile, poche incline a sfumature, avvilita. Teme strumentalizzazioni su un mondo che da anni cerca di portare fuori dal cono d’ombra. Anche a rischio di partecipare alI’Isola de famosi...
Sì, ma qual è la sua idea della vicenda?
“Che dopo essere stata crocifissa per aver partecipato a un reality, adesso si cercano solo notizie di gossip per fare politica. Guarda caso mancano pochi mesi alle regionali e ora si stanno decidendo alleanze e candidature”.
Quindi a lei non interessa...
“Non amo la sindrome Monica Lewinsky; non mi appassionano le scrivanie presidenziali...”.
In questo caso, però, alcuni parlano di assegni pagati da Marrazzo ai quattro carabinieri per mettere a tacere la storia. Anche se lo stesso smentisce...
Silenzio. Ancora silenzio.
“Ah sì. Davvero?. Vabbè, comunque il problema è più generale è tocca la sfera morale del nostro sistema. La nostra è una società in forte crisi, comunque”.
Però anche curiosa. Soprattutto quando si parla di scappatelle con i trans. Perchè secondo lei?
“Per il giudizio morale intrinseco. Si ricorda la barzelletta sul contadino pizzicato durante un rapporto sessuale con un maiale? Chi scopre domanda al ‘pizzicato’: ‘Ma almeno, è un maiale maschio o femmina?’ ‘Femmina...’. ‘Ah, meno male’”.
Lei ha anche raccontato di aver ricevuto numerose proposte da colleghi parlamentari...
“Numerose mi pare eccessivo. Alcune sì”.
Esplicite e no?
“Sorrisi, ammiccamenti, qualche invito. Noi siamo ghettizzati solo in apparenza. Certo, nessuno si è fatto avanti per un appuntamento Però non mi chieda da chi ho ricevuto queste proposte, perché non lo rivelerò mai!”.
Comuqnue, negli ultimi anni, l’argomento trans è salito alle cronache. Sembra quasi ci sia un interesse maggiore; una maggiore curiosità da parte degli uomini...
“Ma no. È sempre stato così. Dai tempi dell’Antica Grecia in poi c’è una vasta letteratura che racconta di rapporti con i trans. È solo una coincidenza, anche politicamente strana. Ribadisco sono forme ricattatorie vergognose”.
È simile il suo giudizio su Berlusconi, Noemi, la D’Addario...
“Come le ho detto all’inizio: se uno esce con una minorenne sotto sotto viene assolto. Sono sicura: tra quelli del Pdl ci sarà qualcuno che prima o poi dirà: ‘Almeno Silvio va con le donne!’”.
Già fatto: è il secondo commento alla vicenda Marrazzo da parte dei lettori della pagina web del quotidiano Libero.

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MALCOSTUME MEZZO GAUDIO di Marco Travaglio

Già è una fortuna, per certi politici italiani, vivere in Italia: in un altro paese sarebbero in galera. Quelli campani, poi, sono i più fortunati fra i fortunati: lì il livello di moralità medio, come diceva Woody Allen, “è un gradino sotto quelli che s’inchiappettano i bambini”. Uno può tranquillamente sparare a un avversario e poi affrontare orgoglioso le telecamere: “Ho le mani pulite, i cadaveri delle vittime li lascio intatti, mica come quel tale che li scioglie nell’acido”. Prendete Mastella (niente paura, è solo un modo di dire): con tutto quel che si sta scoprendo e si è già scoperto su di lui e la sua famiglia, anziché trovarsi un tombino, sprofondarci dentro e chiudere il coperchio, si dipinge come un galantuomo perchè “non sono mica il Padrino”. Bontà sua. Intanto nella lista dei 655 raccomandati per le assunzioni illegali all'Arpac, se ne contano 26 in quota Clemente, da non confondere con 16 in quota Sandra, con i 4 in quota Giuditta (cognato) e con alcuni in quota Camilleri (consuocero) e Pellegrino (figlio, che secondo i pm ha comprato il Porsche Cayenne da un camorrista). La famiglia è numerosa, ma pure pluralista, visto che il capostipite è laureato in filosofia: infatti ciascun membro rappresenta una corrente di pensiero originale, così come i rispettivi discepoli. Tutti di scuola ceppalonica, ma alcuni di ispirazione platonica, altri socratica, altri sofistica, altri peripatetica. Un giorno, a furia di raccomandare, lo statista sannita perse il conto e rischiò l’ernia al cervello: “Scusa, ma ‘sto Maccasese di Casoria chi cazz’è?”, domandò frastornato al direttore Arpac. E quello, sfogliando nervosamente l’Etica Nicomachea: “E’ un Ds che dobbiamo confermare, non è nostro, ho avuto indicazioni da Giggino”. Giggino è un giovane a promettente teorico della scuola pitagorica. Più prosaicamente, il braccio destro di don Clemente, tale Fantini, già beccato e poi prescritto nello scandalo delle ruberie sul terremoto dell'80, le lottizzazioni le rivendica: “Lo so che è un malcostume, ma lo facevano anche gli antichi greci”. Ora, gli antichi greci sterminavano anche i bambini dalla Rupe Tarpea, ma questo per fortuna Fantini non lo sa (ed è bene che nessuno l’avverta). Così l’on. Bocchino, con rispetto parlando, può commentare che sì, i Mastella non sono proprio gigli di campo, “ma nel Pd di Castellammare si sparano”, quindi non sottilizziamo. E poi diciamolo, che sarà mai un iscritto al Pd che spara a quell’altro: tutti denunciano la mancanza di ricambio delle classi dirigenti, poi quando si trova il modo di mandar via qualcuno, foss’anche al cimitero, fanno la faccia schizzinosa. Del resto l’altra sera il cosiddetto on. Lupi menava vanto del fatto che lo scudo fiscale non cancella i reati di mafia, ma “solo” frodi fiscali, false fatture, distruzioni dei libri contabili, falsi in bilancio e altre virtù cristiane. Roba da niente, se si guarda ai pedigree dei politici campani. Il governatore Bassolino ha un rinvio a giudizio per aver truffato la sua regione. Infatti, in omaggio al rinnovamento, il Pd lo vuole sostituire con Enzo De Luca, che invece ha due rinvii a giudizio per truffa. Al che Bassolino avrebbe commentato: ma non vi bastavo io? E s’è subito dato da fare per collezionare un altro rinvio a giudizio, così da eguagliare il rivale. Il Pdl replica da par suo con uno che rischia direttamente l’arresto per camorra, l’ottimo Cosentino. Ma allora perchè non De Gregorio, che il mandato di cattura l’ha già ricevuto? Intanto si scaldano a bordocampo anche Bocchino (soltanto indagato) e Alfredo Vito che, avendo già patteggiato 2 anni per mazzette, dovrebbe avere partita vinta a tavolino. L’altro giorno, raggiunto al telefono dal nostro Iurillo, Mastella s’è finto il proprio avvocato: temeva fossero i carabinieri. Che poi sono arrivati per davvero. Ma lui ha vibratamente protestato: “Ma come, i carabinieri in casa mia? Non si devono permettere”. Pazienza il camorrista che ha venduto il Suv al figlio. Ma se si sparge la voce che casa sua è frequentata da carabinieri, chiede i danni all'immagine.

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venerdì 23 ottobre 2009

IL CONIGLIO SUPERIORE di Marco Travaglio

Che gioia leggere l’intemerata di Mancino contro il linciaggio del giudice Mesiano e il “clima invivibile” dove “più il potere è forte e più può intimidire”. Che gaudio apprendere che il presidente Napolitano è vigile e “consapevole delle inquietanti connotazioni della vicenda”. Che tripudio le feroci motivazioni con cui il Csm ha approvato la “pratica a tutela” del giudice della causa Mondadori contro attacchi che “possono condizionare ciascun magistrato, in particolar modo allorquando si tratti di decidere su soggetti di rilevanza economica e istituzionale”. Gliele hanno cantate chiare, a Berlusconi e ai suoi killer. E questo giornale, dopo la campagna dei calzini turchesi, sottoscrive parola per parola. Con una postilla, però. Mentre il plenum del Csm apriva la sacrosanta pratica a tutela di Mesiano, la sezione disciplinare condannava i magistrati salernitani Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani alla perdita delle funzioni di pm e dell’anzianità (6 e 4 mesi) e al trasferimento d’ufficio. Trasloco già disposto in sede cautelare all’inizio dell’anno, quando i due reprobi furono cacciati su due piedi da Salerno (insieme al loro capo Luigi Apicella, poi dimessosi dalla magistratura) e scippati dell’inchiesta sulla fogna politico-affaristico-giudiziaria di Catanzaro. I due erano colpevoli di aver trovato le prove di quanto denunciava Luigi De Magistris sulla cupola calabro-lucana che l’aveva estromesso dalle sue indagini: per tre anni era stato attaccato da destra, dal centro e da sinistra, poi era stato isolato dai suoi capi e colleghi, infine il Csm unanime l’aveva espulso da Catanzaro e dalle funzioni di pm. Un anno fa la Procura di Salerno scoprì che aveva ragione lui, andò a sequestrare a Catanzaro le carte delle sue inchieste insabbiate, indagò i magistrati che le stavano insabbiando e si ritrovò tutti contro: capo dello Stato (che incredibilmente chiese gli atti dell’inchiesta in piena perquisizione), Mancino, partiti di destra, centro e sinistra, stampa e tv, Anm e Csm. Tutti a ripetere che l’ordinanza di Salerno era “abnorme” (troppe pagine, non si fa). Poi il Riesame e il Tribunale di Perugia la ritennero doverosa e disposta solo “a fini di giustizia”. Ma chissenefrega: i due pm vengono giustiziati lo stesso, senza nemmeno sentire i loro testimoni. Processo sommario, alle spicce. Anche Clementina Forleo, rea di aver intercettato lo sgovernatore Fazio e i trasversalissimi furbetti del quartierino, e per giunta di aver difeso De Magistris ad Annozero, fu prima aggredita da destra, dal centro, da sinistra, dal basso e dall’alto su su fino al Quirinale, poi isolata, infine fucilata come una mezza matta dal plotone di esecuzione del Csm e trasferita a Cremona (sentenza poi annullata dal Tar perchè illegale). Ce n’era abbastanza perché, anche nei casi Forleo, De Magistris, Nuzzi, Verasani e Apicella, il presidente Napolitano lacrimasse sulle “inquietanti connotazioni della vicenda”, il vicepresidente Mancino denunciasse “il clima invivibile e intimidatorio”, il Csm tuonasse contro “i condizionamenti per ciascun magistrato, in particolar modo allorquando si tratti di decidere su soggetti di rilevanza economica e istituzionale”. Invece, in quei casi, Napolitano, Mancino e il Csm stavano con i soggetti di rilevanza economica e istituzionale, dunque contro i magistrati. Il Csm avrebbe dovuto tutelarli dal Csm. Cioè aprire una pratica a loro tutela contro se stesso. Poi, per fortuna, Berlusconi è tornato ad attaccare un giudice. E il Csm è tornato a fare il Consiglio Superiore della Magistratura. Purtroppo, fino al giorno prima, era l’acronimo di Ciechi Sordi Muti.

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Raccomandati di Oliviero Beha

Dicono: di che vi stupite, ve lo deve dire il caso dei coniugi Mastella che è tutta una questione di raccomandazioni? Dicono ancora: ma guardatevi attorno, nella palude italiana, quanti casi vedete di giovani e meno giovani che trovano o difendono il posto di lavoro con merito, perché sanno fare qualcosa e non perché si raccomandano a qualcuno? E il fenomeno non si è esteso anche alle falangi del lavoro precario? E continuando così non ci sarà bisogno di essere raccomandati anche per essere disoccupati sì ma magari in modo meno drammatico e più arrangiaticcio ? È un Paese in ostaggio, ricattato da una realtà antica che però scivola su un piano inclinato e lo fa rotolare. No, non c’era bisogno della Mastella’family (naturalmente vale anche per loro la presunzione di innocenza benché professino l’innocenza dei presuntuosi) per ratificare lo stato (Stato?) delle cose. Ma loro lo evidenziano dall’alto, e in qualche modo danno un contributo pesantissimo alla “normalizzazione” della segnalazione, ultimo stadio del ricatto solitamente elettoralistico. Segnalazione che in sé, se fatta con i criteri del merito, sarebbe addirittura benefica per chi ne gode, chi la fa, chi la riceve. Ma non sembra essere il caso dei 655 eponimi delle truppe mastellate. Il merito è remoto, l’appartenza è indispensabile. La tremenda lettura è quella che “senza” non si può far nulla, al Sud certo ma sempre di più anche al Centro e al Nord. È il sistema, un sistema-Mastella sotto i riflettori della magistratura oggi, ma un sistema-Italia complessivo che ci rende un Paese in recessione integrale sotto gli occhi dell’Europa.Il tuo curriculum non conta niente, nessuno ti misura perché non esistono né si vogliono far esistere autentici metodi di valutazione, la meritocrazia è bandita come un pericoloso diversivo che creerebbe problemi a chi tiene il Paese in ostaggio sotto il suo tallone (i suoi tacchetti… almeno Craxi parlava di stivali…), temo con sempre minor distinzione di colore politico. L’altra faccia di tutto ciò è la crisi del lavoro, l’invidia sociale e il privilegio dei “figli di”, di quella progenie fortunata alla nascita e dei loro corollari per cooptazione che banchettano nel Residence del potere. Dove con gli altri erano (sono?) i Mastella. Almeno consentiteci la sopravvivenza nel disprezzo di tutto ciò, è un minimo antidoto contro la truffaldina normalizzazione del peggio.

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giovedì 22 ottobre 2009

E B. disse: RIFORMIAMO IL VANGELO di Maurizio Crozza

Buonasera onorevole”: le copertine di Ballarò diventano un libro, manuale di sopravvivenza per i cittadini di un Paese in via di sottosviluppo.
Un breviario di resistenza umana per sopravvivere ai politici e alle veline, ai terremoti e ai palinsesti: il primo libro di Maurizio Crozza esce in questi giorni e raccoglie le “copertine” di Ballarò. Eccone in anteprima alcuni brani scelti.


E’ il 2007. Per quanto possa sembrare incredibile, la Sinistra è al governo. Il governo viene battuto da un ordine del giorno dell’opposizione che approvava l’operato del governo, mentre il governo aveva invitato a votare contro se stesso. Questa bisogna leggerla almeno due volte. La logica e la retorica hanno molti concetti: il paradosso, l’ossimoro, l’antinomia, il sofisma... In questo caso il termine tecnico è «gran troiaio». Il governo Prodi è durato 281 giorni. 281 pagine di programma dell’Unione, 281 giorni di governo. Una pagina al giorno. Con questa media, Proust sarebbe stato al governo vent’anni di fila. Come fa ad andare avanti questo Paese? Come facciamo a essere l’ottava potenza nel mondo? Soffriamo di instabilità politica, la nostra compagnia aerea fa acqua da tutte le parti, i nostri cervelli vanno all’estero, l’evasione fiscale è mostruosa, il Vaticano rema contro e, come se non bastasse, produciamo la Multipla. Ma chi la redige questa classifica? David Copperfield?
Il papa ha guardato la situazione politica italiana e ha affermato: «L’inferno esiste». I Ds e la Margherita si fondono. Anche nel Polo adesso si fondono. Fra un po’ nella politica italiana ci sarà solo gente fusa: lo si poteva già immaginare prima, ma così diventa più chiaro per tutti. I partiti si fondono e si fondono anche i nomi. Forza Italia e Alleanza Nazionale faranno un nuovo partito. Si chiamerà «Forza Nazionale». Anche i Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista creeranno un nuovo partito. Si chiamerà «Comunisti Comunista». Siccome i militanti sono un po’ anziani, è giusto ripetere bene. Anche l’Udeur e Italia dei Valori si fonderanno. Mastella è già d’accordo con Di Pietro. Si chiamerà «Italia dell’Udeur»: spariscono i Valori, ma con Mastella qualcosa si perde sempre... Nel nostro Parlamento l’unificazione delle forze politiche è irreversibile, è un processo inevitabile. L’unico processo inevitabile: gli altri li hanno evitati tutti. D’Alema lancia l’allarme: la politica soffre di una profonda crisi di credibilità. Il 70 per cento degli italiani non si fida dei politici. Il restante 30 per cento sono politici. Non è che la gente non ami la politica, è che, ragazzi, siete troppi... In Italia ci sono più politici che forni per la pizza. Come mai gli italiani non si fidano più della politica? Come mai? Eppure lavorano, lavorano... La scorsa legislatura il lavoro settimanale di un parlamentare è risultato essere di 13 ore e 25 minuti. Oggi siamo a 20 ore alla settimana. Cosa si pretende? Se va avanti così, tra due secoli, fare il parlamentare non converrà più.
VI PARE CHE IL 2007
SIA STATO UN ANNO
DIFFICILE? IL 2008
È PURE BISESTILE...

Si scioglie il Parlamento e tutti scaricano la responsabilità sugli altri. Secondo Berlusconi si scioglie per colpa di Prodi, secondo Prodi per colpa di Mastella, e secondo Mastella per colpa del riscaldamento globale, come la Groenlandia. Come andrà a finire? Be’, si sa. Dopo Prodi, viene Berlusconi. Prodi e Berlusconi, Berlusconi e Prodi. È iniziata nel 1994. Io ho un nipote, ha quattordici anni, è convinto che in Parlamento ci siano solo Prodi e Berlusconi. Quando gli ho detto che in Parlamento sono quasi in mille, che non ci sono solo Prodi e Berlusconi, lui mi ha risposto: «E perché allora abbiamo sempre tra i maroni quei due?». È giovane, non può capire, non sa che è l’alternanza: ogni tanto è utile togliere dal potere una persona anziana... E mettercene un’altra ancora più anziana. Alemanno batte Rutelli e diventa sindaco di Roma. Gianni Alemanno, uno sportivo, un amante della montagna... Ha scalato sette colli in cinque giorni. Avrà già studiato i provvedimenti per i primi cento giorni? Che so, far passare il raccordo anulare sopra il loft del Pd, liberare Storace dentro un campo nomadi, mandare Totti al confino cinque anni alla Spal... Mi è molto piaciuta l’idea di ripristinare gli spettacoli gladiatori al Colosseo. I primi giochi non me li voglio perdere: «Bersani sbranato dai tassisti» sarà irripetibile. Sotto tutti i punti di vista, non lasceranno nemmeno le ossa. Con lei, sono sicuro, sarà una Roma splendente, come non l’abbiamo mai vista. Cioè, una volta l’abbiamo vista... Ma poi l’hanno bombardata gli Alleati. Mi sono piaciute molto le dichiarazioni soddisfatte nel Pd: «Vabbè, nel Lazio abbiamo perso Roma, però in Liguria abbiamo conquistato Camogli... Non è andata poi così male». Pare che faranno un congresso anticipato. Al primo punto dell’ordine del giorno la domanda: «È rimasto qualcos’altro da perdere?».
2009: QUEST’ANNO
L’OPPOSIZIONE
NON LA FA NEMMENO SATURNO

L’Italia si incammina «verso il baratro delle leggi razziali». Chi l’ha detto? Agnoletto, Caruso, Turigliatto? No, «Famiglia Cristiana» il settimanale dei paolini, i fedeli di san Paolo di Tarso, noto eversivo. E tra l’altro Tarso è in Turchia... quindi san Paolo era pure extracomunitario. La Russa s’è offeso, Cicchitto s’è incazzato e Maroni ha minacciato querele. Avete capito: Maroni vuol querelare «Famiglia Cristiana»! Già che c’è perché non manda anche l’esercito in redazione? Buonasera ministro Alfano: ma si può emettere un mandato di comparizione per Dio? Eppure «Famiglia Cristiana» ha citato una fonte al di sopra di ogni sospetto: il Vangelo. Berlusconi non ha ancora commentato ufficialmente, ma sembra che in privato abbia espresso la volontà di cambiare il Vangelo a colpi di maggioranza. Il protagonista si chiamerà PierGesù. Muore a 133 anni. E invece delle parabole preferisce il digitale terrestre. Freedom House, l’istituto di ricerca americano che ha come obiettivo la promozione della democrazia liberale nel mondo, quest’anno ci ha declassato a Paese «parzialmente libero». «Parzialmente libero», come il latte parzialmente scremato: guardando l’età dei nostri politici magari saremmo piuttosto a lunga conservazione: siamo conservatori da almeno cinquant’anni, abbiamo conservato anche Andreotti senza nemmeno il tetrapak. Perché Freedom House ci declassa? Ce l’ha con noi, è prevenuta? Tra l’altro Freedom House vuol dire «Casa della Libertà»: avrei capito si fosse chiamata, non so, «Di Piter House», «Italy of the Valors»... Ci avranno mica declassato per le dichiarazioni di Dell’Utri? Non credo che sia per quello, Dell’Utri ha solo detto che Mussolini è stato un brav’uomo. È giusto: in fondo è stato solo alleato di Hitler, se non fosse stato un brav’uomo, sarebbe stato Hitler. Parzialmente liberi: come sarebbe a dire non siamo liberi? Qui sono liberi tutti... Cuffaro, Dell’Utri, Ricucci... Son tutti liberi: non è una prova? Siamo liberi come in America, dove chiunque può diventare presidente, anche un nero. Solo che lì è nero perché il padre è kenyota. Berlusconi ha dichiarato: «Povera Italia, con questa informazione». Con questa informazione? Ma se è tutta sua... Ha fatto una diretta di quattro ore per consegnare dei prefabbricati ai terremotati d’Abruzzo. Ha scelto Porta a Porta: mai titolo fu più azzeccato. La prossima impresa di Vespa sarà una diretta di quattro ore su Berlusconi che trebbia il grano. La sera della consegna delle case in Abruzzo c’era Berlusconi su Rai Uno, una fiction con Gabriel Garko su Canale 5 e su Rai Tre un bel programma su Hitler. Meno male che la guerra degli ascolti l’ha vinta Berlusconi... Di poco, ma ha vinto su Hitler. Ha perso con Garko, ma ha vinto su Hitler. Entusiasmo tra i partigiani dell’Anpi! «Povera Italia, con questa informazione»... Che faccia; è come se il Duce avesse detto: «Povera Italia, con questi fascisti». Ma non è colpa sua, è confuso, ha i nervi a brandelli, querela chiunque, vive in un mondo suo. Berlusconi: «Ho fatto una telefonata con Fini e abbiamo chiarito tutto». Fini: «Non è vero: non abbiamo chiarito niente». Berlusconi: «No, ci siamo sentiti: c’è stato solo un fraintendimento». Fini: «Fraintendimento un cazzo». Berlusconi ha allargato le braccia sconfortato: «Sto ridisegnando la realtà, ma la realtà si rifiuta di collaborare»

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La scuola Falcone tra furti, raid e malavita di Alessio Gervasi

La vita impossibile dell’istituto nel quartiere Zen di Palermo


C’è una scuola a Palermo, nel difficile quartiere Zen, che si vorrebbe ergere a vessillo di una città che reagisce alla criminalità. Ma non ci riesce.
Lo Zen, acronimo di “zona espansione nord” dove negli anni sono stati realizzati anche i fatiscenti casermoni dello “Zen 2” - un vero quartiere ghetto nel ghetto - è un posto in cui la maggior parte degli allacci all’Enel è ‘fatta in casa’ e in cui la Polizia ha paura a entrare. Ma è anche un posto davanti al quale hanno finito di costruire residence con ville dalle alte cancellate, che nessuno sguardo lasciano entrare, da cui in due minuti di automobile si arriva al borgo marinaro di Mondello, ‘buen retiro’ della borghesia palermitana e non solo. La scuola (materna, elementare e media) sotto assedio, borderline anche fisicamente, si trova proprio lì. Intrappolata fra due mondi vicini ma lontani, con i professionisti della città ‘bene’ che ogni giorno sfrecciano in macchina per andare e venire dalla città.
La scuola si chiama “Giovanni Falcone”. Ed è sempre stata nel mirino dei malavitosi che vogliono difendere il “loro” territorio dalle ingerenze della società civile e dello Stato. Ma è negli ultimi mesi che la situazione è precipitata, con numerosi atti vandalici e raid notturni che mettono a repentaglio la stessa vita della scuola Falcone. Nonché di tutti i palermitani onesti, a cominciare da una parte della società di domani, ossia quei bambini che oggi frequentano la scuola dello Zen che li dovrebbe preparare al futuro. Tra furti, finestre e vetri spaccati, aule imbrattate e persino incendi appiccati alle aule del plesso materno. L’ultimo raid è avvenuto mercoledì 14 ottobre. Anche se più volte e da molti era già stato chiesto aiuto alle Istituzioni con pattugliamenti e sorveglianza da parte delle forze dell’ordine: nessun segnale di ordine e legalità è stato inviato.
E più di un mese fa - era il 14 settembre scorso - il responsabile nazionale per la sicurezza del Partito Democratico, Marco Minniti, disse durante una visita alla scuola Falcone: “non è assolutamente ammissibile, degno di una democrazia e di un paese civile, il fatto che la scuola Falcone dello Zen di Palermo sia sottoposta a un assedio quotidiano e a ripetuti atti vandalici che rispondono a una precisa azione criminale per impedire l’educazione e la formazione di tanti giovani che rappresentano il futuro di questa terra. Chiederò al ministro dell’Interno un presidio d’interforze su tutto il territorio per fronteggiare una grave situazione sul quale si gioca la credibilità del Governo italiano: la lotta alla criminalità organizzata”. Il primo a prendere sul serio l’ex Sottosegretario non è però stato Maroni, ma Gaetano Guarino, coordinatore del movimento Zen (acronimo questa volta di “zona energie nuove”), un comitato di cittadini che, assieme ai volontari di altre associazioni, spendono generosamente il loro tempo venendo allo Zen da ogni parte della città per sostenere la rinascita del quartiere. “Minniti ci ha assicurato che non rimarranno solo belle parole - ha dichiarato Guarino - ma che si farà portavoce con le Istituzioni per migliorare la vivibilità e la sicurezza nell’intero quartiere”.
E il Ministro Maroni? E la sua collega Mariastella Gelmini? Il primo, secondo fonti vicine al Pd, avrebbe telefonato a Minniti per manifestargli massima volontà e disponibilità a intervenire in difesa della scuola sotto attacco. Mentre nulla è dato sapere su una posizione della Pubblica Istruzione. In ogni caso, solo parole. Come quelle del prefetto di Palermo Giancarlo Trevisone, sempre di un mese fa: “faremo della scuola Falcone un presidio della legalità, perché la scuola costituisce un momento fondamentale e irrinunciabile di progresso e sviluppo civile; questa è la sfida che perseguiamo insieme e a cui non abbiamo intenzione di rinunciare”. Già. Ma alla scuola Falcone dello Zen servono fatti. Se no, come spesso accade, ci sarà poca speranza per i bambini di domani.

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L’autocomplotto di Littorio Feltri di Marco Travaglio

C’è un complotto contro Vittorio Feltri. E, quel che è peggio, è una cospirazione dall’interno: il popolare Littorio si sta allevando qualche serpe in seno. Solo un perfido agente del nemico può avere avuto l’idea della campagna promozionale annunciata da Il Giornale, che farà dono ai suoi lettori delle prime pagine del Giornale delle origini, quello vero, fondato da Indro Montanelli nel 1974. E, per giunta, di presentarla con lo slogan “Come eravamo. E come siamo diventati”. Appena i lettori più giovani o più smemorati vedranno com’era Il Giornale, si renderanno conto dell’involuzione della specie. E forse comprenderanno per quale strano motivo, nel gennaio ‘94, vent’anni dopo averlo fondato, Montanelli lasciò il suo Giornale mentre Berlusconi scendeva in campo: come disse lui stesso, “per non ridurmi a megafono e trombetta di un editore in fregola di avventure politiche”. Cioè per non diventare, a 85 anni, un Feltri qualunque. Appena uscì da via Negri per fondare la Voce, sul fu Giornale che aveva ospitato negli anni le migliori firme della cultura liberaldemocratica europea, da Aron a Fejto, da Revel a Ionesco, da Abbagnano a De Felice a Romeo, cominciarono a scrivere intellettuali del calibro di Pomicino, De Lorenzo, Frigerio, con ficcanti rubriche dell’ex fidanzata di Paolo B.. Oggi della vecchia guardia sopravvivono Granzotto e Cervi, che continuano a scrivere a un prezzo modico: dire l’esatto contrario di quel che diceva Montanelli. Il quale, quando gli chiedevano della sua creatura ormai dannata, allargava le braccia: “Il Giornale lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti”. Intanto il fu Giornale inanellava scoop memorabili: “Alluvione: colpa dei Verdi”, “P2, il golpe se l’è inventato la Anselmi”, “Berlusconi cede la Fininvest”, “Su Mani pulite intervenga Amnesty International”, “La lebbra sbarca in Sicilia”, “L’Arno è pronto ad allagare Firenze per la cattiva gestione del Pds”. Accusava Piercamillo Davigo di aver ricattato un collega (falso), Ilda Boccassini di aver “rapito i bambini di una somala” (balle), Di Pietro di aver preso tangenti (“Raggio dice che Pacini Battaglia ha dato una valigetta con 5 miliardi per Di Pietro”), salvo poi dovergli chiedere scusa in prima pagina (“Caro Di Pietro, ti stimavo e non ho cambiato idea”, firmato Vittorio Feltri; “Di Pietro è immacolato”, era una “bufala”, una “ciofeca”, una “smarronata”). Berlusconi non gradì le scuse al suo arcinemico e Feltri fu accompagnato alla porta. Ora però è tornato sul luogo del delitto, anzi del relitto. Portandosi dietro l’agente Betulla, al secolo Renato Farina. E producendosi in altre memorabili campagne: Dino Boffo è gay, Fini è “un compagno”, Augias una spia cecoslovacca, Bobbio era “fuori dalla storia” e produceva “banali luoghi comuni”, il conte Cavour era un bel mascalzone, mentre Brachino è un gran figo. E il papello “è una bufala”. E “vogliono uccidere Berlusconi”. Basta accostare le prime pagine di oggi con quelle delle origini per notare una lieve differenza. L’anonimo congiurato voleva intitolare la promozione “Come eravamo e come ci siamo ridotti”, ma poi ha soprasseduto: è tutto fin troppo chiaro. L’agente Betulla, intanto, indaga.

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mercoledì 21 ottobre 2009

Il pericolo non viene dalle masse di Sabina Guzzanti

Barbara Spinelli (leggi l'articolo) mette in guardia: attenzione a difendere troppo la sovranità popolare perché questa può portare al populismo come nel nostro caso. La democrazia si fonda su equilibri sottili: qui il problema è che sia la borghesia nel difendere gli interessi di pochi, sia la sinistra nel difendere il potere dei più deboli, sono sempre state eversive e hanno sempre coltivato la cultura dell’anti-Stato. Ricordiamoci di Gelli e Sindona, delle posizioni di Lotta continua su Br e Calabresi, delle strategie delle banche di Stato che sottilmente hanno aggirato le norme. Spinelli dice: “Sono secoli che il pensiero liberale sostiene che la sovranità popolare può divenire dispotismo”. Mi sembra che punti il dito, giustamente, sull’inadeguatezza della borghesia illuminata e sulla mancanza di considerazione per quel poco di buono che c’è in giro.
Se dovessi riassumere, il pensiero che è emerso ai miei occhi è questo: non concentriamoci troppo sul difendere la democrazia nel suo significato originario di potere al popolo, usciamo da questa crisi mettendo al lavoro le menti che ancora funzionano per tornare a un sistema liberale, la democrazia tout court può essere anche pericolosa.
Dopo l’esperienza nazista, anche negli Stati Uniti è stata messa in discussione (o meglio: guardata con sospetto) la massa che poteva trasformarsi in un mostro. C’è una bellissima serie di documentari di Adam Curtis (Bbc) che racconta come un certo Bernez, nipote di Freud che aveva i suoi bei dubbi anche lui sulla democrazia, basandosi sulla psicoanalisi sviluppa una teoria e una prassi per il controllo delle masse. Questo pensiero porterà a teorizzare il consumismo come garanzia della democrazia e la diffusione della cultura individualista che porterà negli anni 80 alla vittoria di Regan e Thatcher. Ma soprattutto renderà una vera proposta alternativa impossibile, azzerando completamente la cultura della collettività come soggetto. Da quel momento in poi i partiti democratici e laburisti potranno anche governare, ma non avranno più la capacità di imporre cambiamenti. Può darsi che la sovranità popolare abbia delle controindicazioni, ma anche la diffidenza per le masse ha prodotto danni. Siamo sicuri che il problema siano le masse ignoranti? È a loro che dobbiamo addebitare in questo paese la vittoria di Berlusconi? A me sembra che il momento critico che stiamo vivendo sia da imputare proprio alla borghesia intellettuale e alla nostra classe dirigente. Cosa può fare una persona qualunque con uno stipendio di 1200 (per non fare esempi tragici) euro? Una persona ricattata da ogni parte, senza un sindacato che la protegga, un partito che rappresenti i suoi interessi, senza una fonte di informazione affidabile, senza punti di aggregazione dove poter scambiare opinioni, discutere come facciamo noi tra di noi? Che sa di non potere avere giustizia qualora si rivolgesse a un tribunale? Di cosa si deve nutrire, in nome di quali principi rappresentati da chi dovrebbe reagire?
Castelli ad Annozero diceva che la sinistra non riesce più a interpretare la società. Non riuscendoci, cerca solo di distruggere Berlusconi in tutti i modi. Non è una affermazione originale ma c’è del vero. Sto leggendo un libro di Ulrich Beck da poco tradotto in italiano: “La società del rischio”. Qui ad esempio c’è un’analisi vera della società contemporanea. Rispetto a una minaccia continua che viene dal cibo che mangiamo, da poteri occulti che scavalcano la democrazia, dall’aria che respiriamo, dai tessuti, dai materiali di cui sono fatti i nostri mobili e le nostre case, non c’è nulla che sia organizzabile in termini di ceto o gruppo sociale. Il sistema industriale, invece, riesce a trarre profitto anche dal rischio e ci riesce sempre meglio. Si pensi in questo paese a quanto rende l’economia dell’emergenza. Abbiamo, da una parte, un potere così cinico da provocare morti sempre più frequenti subdole e indegne, dall’altra quelli che si propongono come razionali e umanitari che considerano le vittime come sostanzialmente incompetenti. Se sapessero non si danneggerebbero. La gente ignorante diffida degli esperti, dei tecnici perché è irrazionale. Non saranno invece tecnici e scienziati a dovere ammettere il loro fallimento nell’aver creato una società irrazionale? In questa fase di passaggio, in cui stiamo salutando la nostra giovane democrazia, vivo già con nostalgia le poche assemblee, i pochi momenti di discussione che incontro qua e là. Per quanto siano sempre più ostacolati da una totale mancanza di metodo, da un narcisismo straripante e assolutamente interclassista, è importante verificare che le soluzioni vere si trovano con il confronto. In altre parole, la democrazia funziona. Certo: la democrazia è fatta di divisione dei poteri non solo di voto. È fatta di rispetto, di curiosità per l’altro, ma questa è cultura e la cultura si crea con il lavoro non si trova in natura. Il lavoro di chi maneggia la conoscenza deve essere un lavoro di approfondimento e di diffusione insieme. La soluzione presentata da Barbara Spinelli mi pare suonasse così: “Riprendiamoci, noi intellettuali, attenzione a convocare il popolo”. Benissimo che ci siano elites che indichino soluzioni, ma con questo spirito: avendo io capacità intellettuali, le metto a disposizione della comunità, se non altro perché dalla comunità traggo vantaggio da chi ha capacità diverse dalle mie. Non mi pare che si possa scongiurare il pericolo autoritario, guardando con diffidenza alle masse. Le ragioni del consenso popolare della destra negli ultimi vent’anni sono anche da cercarsi nel fatto che nessuno vuole essere considerato massa.

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martedì 20 ottobre 2009

Chi gioca con lo spettro degli anni ’70 di Ida Dominijanni

Vittorio Feltri sarà contento se dopo la lettera delle ignote Brigate rivoluzionarie per il comunismo combattente inviata al ’Riformista’ e rivolta a Berlusconi, Fini e Bossi una minaccia delle più note Brigate Rosse è arrivata ieri, in forma di scritta murale, a un delegato Fiom della Flexider di Torino. Vero è che questa pessima notizia smentisce il direttore del ’Giornale’, che venerdì scorso aveva speso un intero editoriale per sostenere, in polemica con un intervento di Massimo D’Alema a Ballarò, che a) salvo l’omicidio di Guido Rossa (del quale è appena uscita una ricostruzione in «Il testimone!, di Paolo Andruccioli, Ediesse) il terrorismo rosso ha sempre colpito a destra risparmiando i «parenti» (sic) di sinistra, b) che di conseguenza, essendone risparmiato, il Pci si astenne dal combattere il terrorismo fino al delitto Moro. Ma a parte le smentite sul passato, la pessima notizia di cui sopra rincuorerà Feltri e quanti con lui stanno costruendo di giorno in giorno e di ora in ora l’ultima narrativa a uso di Berlusconi, che va sotto il titolo «Tremate tremate, gli anni Settanta son tornati», per «anni Settanta» intendendo ovviamente solo una nebulosa di sangue e violenza. Feltri non è il solo; sullo stesso 'Giornale’, domenica, Renato Farina lo supera largamente. Commentando la lettera al ’Riformista’, Farina argomenta che essa sarà pure «la sparata di un folle» come sostiene Gianfranco Fini, ma che il folle in questione non fa che «trasporre in linguaggio violento la prima pagina del ’Fatto’ che nelle medesime ore proponeva le due O di Lodo come manette destinate al premier». Quella copertina del ’Fatto’ era effettivamente orrenda, ma per Farina ’Il Fatto’ è solo l’inizio: dopo viene il piatto forte, cioè ’la Repubblica’, rea di avere alimentato «il clima da guerra civile mentale e verbale» trasformando «un avversario politico in un mostro lardellato di calunnie per il linciaggio mediatico universale». Conclusione: «In questo sottobosco tossico spuntano funghi omicidi». Ed eccoci così precipitati effettivamente in pieno revival degli anni Settanta con i teoremi sul «brodo di coltura» della lotta armata, con la differenza che negli anni Settanta per i profeti reazionari il brodo di coltura erano i movimenti e adesso invece è la stampa di opposizione. Se ci fossero dubbi Farina ce li toglie: «Ricordiamoci la vecchia lezione degli anni di piombo: prima delle armi c’è sempre la teorizzazione». E oggi, «è evidente chi tiene al calduccio» la guerra civile che porta alla lotta armata: "quanti pensano di ribaltare il voto con qualcosa di estraneo alla contesa
elettorale". Tradotto: chi contesta il potere assoluto del premier «eletto dal popolo» alimenta il terrorismo. C’è poco, pochissimo da scherzare. L’inversione delle responsabilità e il capovolgimento dell’aggressore in vittima e della provocazione in offesa subìta, ormai lo sappiamo, sono i dispositivi su cui funzionano e passano nel senso comune tutte le narrative del berlusconismo. Questa ultima non fa eccezione. Chi sta attentando alla democrazia, in Italia, non è chi ne difende l’impianto costituzionale; è chi pretende di ridurla a un rito d’investitura elettorale che esenta l’eletto da ogni controllo - legittimità senza legalità, potere assoluto del governo senza contrappesi nel Quirinale, nel parlamento, nella giurisdizione. Le "teorizzazioni" pericolose - ammesso e non concesso che ci siano teorizzazioni pericolose - non vengono da chi si oppone a questo scempio; vengono da chi farnetica di «primus super pares» e simili. Chi tiene al calduccio la guerra civile non è chi cerca di contenere la frana, e nemmeno chi crede ancora che nel conflitto sociale ci sia una risorsa e non una zavorra per la democrazia; è chi impugna ogni giorno un microfono per sparare sulle istituzioni, chi da anni straparla di secessione, chi alimenta paure e paranoie securitarie di ogni tipo, chi va in estasi per i respingimenti, chi promette ponti mirabolanti su territori che franano, chi pensa che la crisi economica si dissolva dicendo che non c’è. Invertire questo catalogo delle responsabilità significa, questo sì, scherzare col fuoco. Trattarlo con leggerezza anche. Purtroppo non si tratta solo di Feltri e Farina: nelle pagine interne dei quotidiani «non schierati», vedasi il ’Corsera’ di ieri, l’allarme per lo spettro degli anni Settanta è già diventato una specie di gioco di società, opinioni a confronto in libertà senza andarci tanto per il sottile. Con un solo punto fermo: «la violenza» è solo quella di piazza, solo quella armata, solo quella rossa. Che cosa sia la violenza che promana dal potere, resta nel non detto oggi ancor più che negli anni ’70.

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Perché Giulio Tremonti scopre il fascino del posto fisso di Stefano Feltri

(Vignetta tratta dal Il Corriere.it)
Cosa ha spinto Giulio Tremonti a fare ieri un’apologia del posto fisso? Queste le parole del ministro dell’Economia: “Non credo che la mobilità di per sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e la famiglia”, e ancora “la variabilità del posto di lavoro, l’incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no”. Il discorso va inserito nel contesto in cui è stato pronunciato: un convegno alla Banca popolare di Milano, un istituto di credito senza eguali nel mondo in cui sono i dipendenti a scegliere la dirigenza con un sistema di voto capitario (per teste e non per quote di capitale detenuto), dove i posti di lavoro si tramandano di generazione in generazione. E quindi era il contesto più consono per celebrare la stabilità. Anche perché la Bpm è l’unica banca davvero amica di Tremonti, che ha fortemente sponsorizzato la candidatura (vincente) di Massimo Ponzellini alla presidenza contro l’uscente Roberto Mazzotta, esponente di una finanza cattolica lontana dalla sfera culturale tremontiana.
Tremonti ha parlato anche di altro, della “compartecipazione che è meglio della cogestione”, delle banche che controllano gruppi industriali “nonostante la Costituzione”. Ma sono soprattutto le sue parole sul posto fisso ad aver suscitato commenti dall’opposizione, da quelli entusiastici del sindacalista della Fiom Giorgio Cremaschi alle critiche di Pierluigi Bersani. Dice l’ex ministro e candidato alla segreteria del Pd che “Tremonti dice tutto e il contrario di tutto, se un precario avesse ascoltato quello che ha detto il ministro sarebbe andato fuori di testa”. In effetti Tremonti, imponendo tagli a quasi tutti i ministeri per ragioni di bilancio, è stato indiretto responsabile della perdita di alcuni posti di lavoro (si ricordano le tensioni con il ministro Mariastella Gelmini per i tagli alla scuola, con Tremonti che è sempre riuscito a imporsi). Ma va anche ricordato che, fin dall’inizio della crisi, il ministro dell’Economia si è sempre presentato come il campione dell’economia reale contro la finanza, il difensore di una via europea al capitalismo “non mercatista” che implicava il rifiuto degli elementi più tipici del modello anglosassone, tra cui i frequenti cambi di lavoro e i licenziamenti facili.
Più difficile intuire dietro le parole di Tremonti un progetto politico concreto, visto che finora il ministro non si è mai ingerito in materie di competenza del ministro del Welfare Maurizio Sacconi (di cui è ascoltato consulente Michele Tiraboschi, già collaboratore di Marco Biagi nel progettare un mercato del lavoro più flessibile). A chi parlava, dunque, Tremonti quando affermava che “la stabilità del posto di lavoro è un obiettivo fondamentale”? In parte alla sua maggioranza, sparigliando il dibattito e spostando l’attenzione su un tema diverso da quelli in agenda. Anche se, va ricordato, durante tutta la crisi -la priorità del governo è sempre stata quella di non rischiare posti di lavoro, almeno quelli ad alta sensibilità politica (gli incentivi alla Fiat sono stati dati con questa motivazione, idem i Tremonti-bond e la moratoria sui debiti delle imprese). Ma parlava anche a un pubblico più largo, a cui si ripropone come un politico trasversale che riassume in sé le istanze di una nuova destra ma anche alcuni dei temi classici della sinistra, un ruolo che aveva conquistato con la pubblicazione del suo libro “La paura e la speranza” e poi gradualmente perso nella prassi di governo.

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lunedì 19 ottobre 2009

TOTO’ CUFFARO, PERDONA MA NON DIMENTICA di Giovanni Frazzica

L’INTERVISTA a tu per tu con l’ex Presidente della Regione TOTO’ CUFFARO:

ROMA. Il tempo si è fermato in Piazza delle Coppelle, in quell’ufficio che ha come unico segno di modernità un computer e una macchinetta per il caffè. Tutto il resto è antico e sobrio allo stesso tempo, due stanze e due impiegati, i fasti di Palazzo d’Orleans sono ormai un lontano ricordo. Ma l'ex presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro, anche se ha una memoria da elefante, non è un uomo intenzionato a vivere solo di ricordi. Cinquantuno anni, un grande avvenire dietro le spalle, sembrerebbe destinato a concludere un’esperienza politica in un’età in cui molti sgomitano per esordire e solo la sua tempra e la sua Fede gli hanno impedito, fino a questo momento, di crollare. “Son mi dice venendomi incontro in mezzo alla stanza, prima di darmi l’immancabile baco veramente dispiaciuto per quanto è successo a Messina –io –e colgo l’occasione per rivolgere tramite le mie condoglianze ai parenti delle vittime. Io amo la Sicilia, tutta la Sicilia, con Messina poi ho un rapporto speciale”. Certamente l’ex-Governatore non può dimenticare che proprio da Messina ebbe il primo disco verde che lo portò alla guida della Segreteria regionale dei Giovani democristiani negli anni 70. E furono anche i messinesi Nino Galipò e Vincenzino Leanza, due pilastri della Dc siciliana che, negli anni cruciali della sua carriera, l’hanno trattato sempre con molto affetto e con grande lealtà, requisiti rarissimi da trovare a Sala d’Ercole, anche quando si è in auge. Gli chiedo se fu per questo che ha inventato il “cuffarismo”. “Il Cuffarismo non esiste – dice il Senatore con un’aria vagamente compiaciuta – è un’invenzione di voi giornalisti. In realtà io mi sono mosso sempre nel solco del popolarismo sturziano, nella mia azione quotidiana si poteva leggere l’impegno di mantenere vivo il rapporto tra il cittadino e le istituzioni. Io lavoravo moltissimo, incontravo tutti, abbracciavo tutti” Fu allora che,sempre noi giornalisti, parlammo di Totò vasa-vasa. “Si, Totò vasa-vasa, ma era un modo, peraltro sentito, di interpretare un ruolo. Io incontravo tutti e ricevevo tutti, quelli che mi avevano votato e quelli che non l’avevano fatto, avevo un bisogno fisico, reale di conoscere la Sicilia che dovevo rappresentare, i siciliani uno per uno, come gli abitanti di Raffadali, se fosse stato possibile. Ricordo che una volta ho ricevuto una persona alle tre di notte. Non mi doveva chiedere niente, solo il piacere di conoscermi e di poter raccontare che aveva stretto la mano al Presidente della Regione”. Ma Presidente, al di là degli aneddoti, per “cuffarismo” noi intendiamo un’altra cosa, un metodo di governo trasversale, che coinvolge anche forze dell’opposizione e non dà scampo a chi è fuori dal sistema. “Certo non potevo non riservare la stessa cordialità ai colleghi parlamentari, questo ha fatto nascere rapporti più o meno intensi con alcuni piuttosto che con altri – in realtà questo è un passaggio difficile e Cuffaro deve trovare un po’ di candore artificiale, perché quello naturale usato fin’ora non basta più – Del resto quale Sindaco, quale governante non cerca di allargare la base del consenso? Qual è la mia colpa, che il mio modello funzionava? che durava?”. Cerco di provocarlo e gli dico che in effetti il suo metodo filava più liscio del berlusconismo. Lui arrossirebbe, se la sua carnagione glielo consentisse, ma non commenta e non abbocca. Ma se dovessimo confrontare il suo metodo con quello di Berlusconi quali sarebbero i punti di contatto e quali le differenze? “Non possiamo andare sempre a coppe se stiamo giocando a poker. Io posso solo raccontare la mia storia, che è diversa da tutte le altre, anche per la realtà ambientale in ci si sviluppa. – il Senatore ora è un po’ teso e diffidente – Io sono partito dalla periferia, senza possedere tv e senza giornali, senza antenati nel mondo della politica, con il mio ‘vasa-vasa’ e con la mia interpretazione del popolarismo, sono riuscito a mettere insieme una realtà politica di cui mi sento soddisfatto”. Questo spiega solo in parte il cuffarismo, la ricetta deve avere altri ingredienti, quali sono? “Io non ho mai demonizzato i miei avversari politici, anzi ha cercato di ragionare con loro, soprattutto con i “comunisti” e, quando ho potuto, li ho coinvolti nell’azione di governo”. E c’è chi vede in tutto questo anche un lato positivo ed un prevalere dello stile di Raffadali su quello di Arcore. Ma Raffaele Lombardo Governatore è forse la fine di ogni speranza di potere ormai esercitare una azione proficua (dal suo punto di vista) per quella Sicilia che Cuffaro dice di amare tanto. “Non abbiamo litigato, la nostra amicizia si è dissolta perché a un certo punto ho dovuto difendere la mia dignità. – dice il Senatore, mal celando la sua amarezza, riferendosi al Governatore Lombardo – Non potevo continuare a essere considerato come la “bella di giorno”, incontrato clandestinamente, ma da cui ufficialmente si prendevano le distanze. Superato il primo impatto che le mie vicende giudiziarie potevano avere su certa opinione pubblica, l’insistente ricorso a certi atteggiamenti mi è sembrato eccessivo e strumentale. E’ chiaro quindi che si erano create diverse convenienze politiche, il mancato coraggio di assumersi la responsabilità di scelte tuttavia utili, ma su cui comunque si poteva comunque discutere. Mi è dispiaciuto invece il modo in cui è avvenuto il distacco, restandogli vicino avrei potuto dargli il supporto della mia esperienza. Io credo di conoscere bene l’apparato amministrativo della Regione, Raffaele invece è l’uomo delle grandi enunciazioni. Ma governare – continua il Presidente – significa dover dare delle risposte concrete, ogni giorno e certe volte ci vuole tanto coraggio, perché il pericolo di sbagliare e dietro l’angolo, ma anche il non fare, in una terra in cui la gente ha bisogno di tutto, è un delitto. Lombardo sarà coraggioso a fare tagli a più non posso, per non rischiare, anche se ciò farà soffrire tanta gente”. Annidato nel suo ufficio romano il cattolicissimo Totò perdona, ma non dimentica, si informa, legge tutto ciò che riguarda la Sicilia, sente deputati, funzionari e cittadini. Se fosse un uomo di sinistra farebbe un “governo ombra”, ma, da vecchio democristiano, si limiterà a fare un’opposizione classica aspettando tempi migliori. Nella pila di giornali che ha sul tavolo c’è di tutto e in effetti, anche se il suo interesse prevalente è la Sicilia, non si può certo definire monotematico. Gli chiedo cosa ne pensa dell’iniziativa di Montezemolo, la bolla subito come “non politica”. Dice invece di seguire con molto interesse il Congresso del Pd. “Mi auguro che vinca Bersani, perché è giusto che si faccia ordine e chiarezza in una parte importante dello schieramento politico nazionale”. E in Sicilia? “In Sicilia tifo per Lumia”. Cuffaro coglie il mio stupore e aggiunge: “Si Lumia, è così dipietrista e cosi giustizialista che se vince lui, noi raddoppiamo i voti. Gli auguro di vincere”. E il cavaliere? “La bocciatura del lodo Alfano non è una mozione di sfiducia al Governo, finché ha la maggioranza in Parlamento e la salute Berlusconi deve governare”.

domenica 18 ottobre 2009

MANGANO E MANGANELLO di Marco Travaglio

“Ma quanto rumore e quanta indignazione per così poco”, scrive sul fu Giornale Mario Cervi, che si proclama erede universale di Montanelli, forse immemore di quel che scriveva già nel ’94 il grande Indro sulla Voce a cui collaborava anche lui: “Oggi, per instaurare un regime, non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo d’Inverno. Basta la sovrana e irresistibile televisione”. Da due giorni, grazie al servilismo di Claudio Brachino e dei suoi telekiller, abbiamo un’altra prova su strada del regime dei telemanganelli: il pedinamento del giudice dai calzini turchesi. Nulla di nuovo sotto il sole. Raimondo Mesiano è stato, finora, persino fortunato. In questi 15 anni c’è chi, essendosi messo di traverso sulla strada del Cavalier Padrone facendo soltanto il proprio dovere, se l’è vista anche peggio. Nel 1993 un giovane di Ravenna, Gianfranco Mascia, lancia i comitati BoBi (Boicotta Biscione). Il primo avvertimento anonimo gli arriva sul telefonino: “Smettila di rompere i coglioni. Sei una testa di cane. Bastardo. Vi spacchiamo il culo. Gruppo Silvio Forever”. Il 24 febbraio 1994, a un mese dalle elezioni, Mascia viene aggredito da due uomini a volto scoperto che lo immobilizzano con il filo di ferro, gli otturano la bocca con un tampone e lo violentano con una scopa. Il portavoce bolognese del Bo.Bi, Filippo Boriani, consigliere comunale dei Verdi, riceve per posta una busta con una lingua di vitello mozzata e un biglietto: “La prossima sarà la tua”. Edoardo Pizzotti, direttore Affari legali di Publitalia, viene licenziato su due piedi nell’autunno ‘94, dopo il rifiuto di coprire le attività illegali per inquinare le prove delle false fatture di Dell’Utri & C. Subito riceve telefonate minatorie e mute a casa sua, che - tabulati alla mano - provengono da Publitalia. L’anno seguente viene chiamato a testimoniare contro Dell’Utri al processo di Torino: subito dopo due figuri dal forte accento campano lo avvicinano nel centro di Milano e lo salutano così: “Guarda che ti facciamo scoppiare la testa”. Nel luglio 1995 Stefania Ariosto inizia a raccontare a Ilda Boccassini quel che sa sui giudici comprati da Previti con soldi di Berlusconi. La notizia rimane segreta per sette mesi, ma non per tutti. Alla vigilia di Natale un pony express recapita all’Ariosto un pacco dono:una scatola in cui galleggia nel sangue un coniglio scuoiato e sgozzato, con un biglietto d’auguri: “Buon Natale”. Sei mesi dopo, a Camaiore, un incendio doloso polverizza la villa di Chiara Beria di Argentine, vicedirettrice dell’Espresso, che all’Ariosto e alla Boccassini ha dedicato numerosi servizi. Il leghista Borghezio parla di “attentato di stampo mafioso” e invita il governo a verificare se esso “sia da ricollegarsi con la recente inchiesta sui loschi affari legati a un pool di magistrati e avvocati romani in concorso con noti esponenti politici e imprenditoriali”. La Lega conosce bene quei metodi: per cinque anni, dal ’94 al ’99, Bossi & C. vengono linciati a reti unificate dopo avere rovesciato il primo governo Berlusconi. Poi tocca ai pool di Milano e di Palermo. E ai giornalisti sgraditi: Montanelli, Biagi, Santoro e, ultimamente, Mentana, Boffo e Mauro. Anche Fini e Veronica Lario assaggiano i manganelli catodici, mentre la testimone dello scandalo Puttanopoli, Patrizia D’Addario, riceve strane visite in casa e alla sua ex amica Barbara Montereale esplode l’automobile. Tutte coincidenze, si capisce.

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OLTRE di Pietro Vizzini

Buona Domenica a tutti gli Amici di questo blog


(Disegno di Mauro Mazziero)















OLTRE

Piegato sulle ginocchia
lancio il mio sguardo
oltre i fili d’erba bagnata all’orizzonte
la luce del giorno
miete la radura
d’azzurro è il cielo
chiaro a levante
il vento è passato
ad asciugare la mia carne
chinato sul mio cammino
pronuncio il tuo nome
perduta giovinezza.



Poesia tratta dal sito: 'per quel che mi riguarda poesie, racconti e musica d'autore'

sabato 17 ottobre 2009

FUORI DAL BARATRO di Dario Fo

Dobbiamo ripeterlo, all’infinito. L’Italia che ha introdotto il reato d’immigrazione clandestina, l’allungamento della detenzione preventiva, che pratica i respingimenti azzerando il diritto d’asilo, è un paese sul baratro. È in atto, qui e ora, una trasformazione violenta della nostra natura, un capovolgimento antropologico, una corruzione storica. Ne viene modificata la ragione d’essere di un popolo, le basi costitutive della convivenza tra gli umani e la cancellazione insieme delle basi del diritto universale come del cuore solidaristico ed egualitario della nostra costituzione. Una delle culture profonde e fin qui radicate che così rischiano di venir meno è quella dell’asilo, del soggiorno e dell’ospitalità, tradizione positiva di quella che chiamiamo «nostra civiltà».
Con i respingimenti e con le ronde che privatizzano e aizzano all’odio sulla sicurezza, tutti i giorni la civiltà è negata. Negato quel diritto all’asilo che esisteva nelle chiese cristiane 2000 anni fa e che era parte costitutiva della realtà dei Comuni che garantivano la salvezza del fuggiasco e dell’oppresso che si era liberato dal servaggio del vassallo. «Sei salvo», dicevano offrendo libertà e lavoro. Poi si dicono cristiani. Non sanno neanche che cosa significhi. Perché il cristianesimo è accoglimento, la prima regola, il primo atto d’amore verso il cacciato. C’è una cosa che io recito in questi giorni con Franca Rame su Ambrogio: sant’Ambrogio in un suo discorso che tiene ai parrocchiani ad un certo punto se la prende con i ricchi e dice: «Ricordati che quando sentirai lamento e bussare alla porta, alla tua porta, mentre sei al tiepido e tranquillo e coperto, colui che viene a bussare è un uomo e quell’uomo si chiama Gesù». Pensa un po’. Di più. La cosa orrenda è che noi ormai siamo pronti ad accettare l’ospitalità solo se è pagata bene. Se chi viene a chiedere ospitalità ha la possibilità di pagarci. Eppure nello scambio ineguale i miseri siamo noi e l’arricchimento tra le culture sembra una favola affondata, colata a picco con la disperazione dei naufraghi dei barconi, dentro le apparenze-verità televisive. Ecco che crolla quella sensibilità minuta del vivere, patrimonio fin qui diffuso. Prima si diceva: nessuno riceverà solo un bicchier d’acqua se dirà ho sete alla nostra porta, noi daremo il vino. È un’espressione che c’è in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, in Sicilia, dappertutto. Offriamo a chiunque, prima ancora che quello chieda. E oggi l’unica cosa che sappiamo dire, grazie alla destra di governo, al populismo razzista che alimenta, ma anche ai molti ritardi e silenzi di quella che ancora ci ostiniamo a chiamare sinistra è: vattene via. Hanno diritto all’accoglienza perché hanno diritto a fuggire dalla guerra, dai regimi dittatoriali che noi spesso aiutiamo per le materie prime da sfruttare. E perché rifiutano la miseria e la fame. Lo dice l’Onu che c’è un miliardo di esseri umani ridotto a morire perché in assenza di cibo nelle periferie e baraccopoli dei continenti depredati come l’Africa e l’Asia. E noi offriamo di caldo solo il razzismo che è l’anticamera, aperta, del fascismo. Oggi in piazza e ogni giorno nella realtà quotidiana dobbiamo essere in tanti per fermare questa deriva, per gridare che imigranti siamo noi.

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Credevo nelle stelle

Credevo nelle stelle ed anche di volare,
finché un dì mi dissero da qui te ne devi andare,
lasciando i miei ricordi dispersi in un cortile,
baciato sulla fronte dalla bocca di un fucile.
Cominciai il mio viaggio verso l’orizzonte,
senza nessuna meta senza nessuna fonte,
e li che mi accorsi dentro il mio io
che se al mondo c’è l’ingiustizia non può esserci Dio.
All’alba dei sogni vidi il primo tramonto,
il viaggio così lungo diventò sempre più corto
ma la vita mi giocai prendendo la via del mare,
con la certezza che peggio non poteva andare.
Eravamo stretti stretti tra le braccia di un canotto
nelle mani della morte l’inconscio il nostro motto.
La sorte volle che ci scontrammo contro un’onda,
ma il mio sogno più bello era baciare l’altra sponda.
Eppure in quel momento toccai la felicità,
perché come uomo finalmente ebbi la libertà.
(AELLE)