Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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giovedì 29 ottobre 2009
Il procuratore aggiunto di Milano, Robledo: Toghe rosse? Sì, dal sangue versato da Falcone di Gianni Barbacetto
(vignetta Bandanas)
“Toghe rosse? Sì: per il sangue versato”. Alfredo Robledo, procuratore aggiunto a Milano, è abituato a parlar chiaro. Così, quando i cronisti delle agenzie gli hanno chiesto come aveva reagito alle parole di Silvio Berlusconi a “Ballarò” («La vera anomalia italiana sono i pm e i giudici comunisti»), ha risposto così: «Se le nostre toghe sono rosse, lo sono per il sangue versato dai magistrati che hanno pagato con la vita la difesa della legalità e dei valori costituzionali, a cominciare da Falcone e Borsellino», e di tutti gli altri che «hanno perso la vita in nome della difesa della legalità».
L’Associazione nazionale magistrati in una nota ha scritto: «Ogni occasione sembra buona per denigrare l’ordine giudiziario e descrivere i palazzi di giustizia come sezioni di partito. Nessun ufficio giudiziario merita queste infondate e ridicole definizioni, tanto meno quello di Milano. Rispondiamo solo alla legge e alla Costituzione: i magistrati non devono essere intimiditi». Ma sono state le parole di Robledo ad avviare una piccola valanga di messaggi di sostegno. Il più vibrante è quello di Giovanni Tamburino, oggi giudice di sorveglianza a Venezia: «Bravo Alfredo Robledo. Bravo perché bastano poche parole. Tre. Rossi per il sangue versato. ROSSI PER IL SANGUE VERSATO. È proprio così. Ricordiamolo. Stavolta davvero tutti. E diciamolo. Ripetiamolo. Scriviamolo a intestazione dei messaggi, delle lettere, delle mailing list. Da oggi. Fino a quando? Fino a quando non ve ne sarà più bisogno».
Tamburino è un magistrato che ha visto la nascita del termine «toghe rosse» e che ha memoria delle due stagioni degli attacchi ai magistrati. La seconda, quella in corso, è nata dopo “Mani pulite” come reazione alle indagini (e poi alle sentenze) sulla corruzione degli uomini della politica. Ha in Berlusconi il suo campione assoluto, ma ben anticipato da Bettino Craxi che attaccò duramente i magistrati di Milano che osarono mettere in carcere Roberto Calvi per la bancarotta dell’Ambrosiano. La prima stagione d’attacchi (oggi ormai dimenticata) nacque invece nel marzo 1972: quando uno sconosciuto giudice istruttore di Treviso, Giancarlo Stiz, con il pm Pietro Calogero, aprì la “pista nera” nelle indagini sulla strage di piazza Fontana: la stampa di destra si scatenò per la prima volta contro i “giudici comunisti”. Non importava che Stiz, uomo d’ordine, provenisse da una famiglia di tradizioni militari. Due anni dopo, fu la volta di un altro uomo d’ordine, Giovanni Tamburino appunto, allora giudice a Padova, a cui fu assegnata per caso un’indagine proveniente da La Spezia: quella sui tentativi golpisti della Rosa dei venti. Poi toccò, a Milano, a Gerardo D’Ambrosio ed Emilio Alessandrini, che ereditarono l’inchiesta su piazza Fontana proveniente da Treviso. A Bologna, a Libero Mancuso e Claudio Nunziata, che per dieci anni ha dovuto difendersi dalle accuse disciplinari e penali. Poi è stata la volta di Giuliano Turone e Gherardo Colombo a Milano, colpevoli di aver scoperto le liste della P2. Nella prima stagione, almeno, il comunismo esisteva ancora. Oggi di rosso resta proprio solo il sangue versato.
Fonte articolo
“Toghe rosse? Sì: per il sangue versato”. Alfredo Robledo, procuratore aggiunto a Milano, è abituato a parlar chiaro. Così, quando i cronisti delle agenzie gli hanno chiesto come aveva reagito alle parole di Silvio Berlusconi a “Ballarò” («La vera anomalia italiana sono i pm e i giudici comunisti»), ha risposto così: «Se le nostre toghe sono rosse, lo sono per il sangue versato dai magistrati che hanno pagato con la vita la difesa della legalità e dei valori costituzionali, a cominciare da Falcone e Borsellino», e di tutti gli altri che «hanno perso la vita in nome della difesa della legalità».
L’Associazione nazionale magistrati in una nota ha scritto: «Ogni occasione sembra buona per denigrare l’ordine giudiziario e descrivere i palazzi di giustizia come sezioni di partito. Nessun ufficio giudiziario merita queste infondate e ridicole definizioni, tanto meno quello di Milano. Rispondiamo solo alla legge e alla Costituzione: i magistrati non devono essere intimiditi». Ma sono state le parole di Robledo ad avviare una piccola valanga di messaggi di sostegno. Il più vibrante è quello di Giovanni Tamburino, oggi giudice di sorveglianza a Venezia: «Bravo Alfredo Robledo. Bravo perché bastano poche parole. Tre. Rossi per il sangue versato. ROSSI PER IL SANGUE VERSATO. È proprio così. Ricordiamolo. Stavolta davvero tutti. E diciamolo. Ripetiamolo. Scriviamolo a intestazione dei messaggi, delle lettere, delle mailing list. Da oggi. Fino a quando? Fino a quando non ve ne sarà più bisogno».
Tamburino è un magistrato che ha visto la nascita del termine «toghe rosse» e che ha memoria delle due stagioni degli attacchi ai magistrati. La seconda, quella in corso, è nata dopo “Mani pulite” come reazione alle indagini (e poi alle sentenze) sulla corruzione degli uomini della politica. Ha in Berlusconi il suo campione assoluto, ma ben anticipato da Bettino Craxi che attaccò duramente i magistrati di Milano che osarono mettere in carcere Roberto Calvi per la bancarotta dell’Ambrosiano. La prima stagione d’attacchi (oggi ormai dimenticata) nacque invece nel marzo 1972: quando uno sconosciuto giudice istruttore di Treviso, Giancarlo Stiz, con il pm Pietro Calogero, aprì la “pista nera” nelle indagini sulla strage di piazza Fontana: la stampa di destra si scatenò per la prima volta contro i “giudici comunisti”. Non importava che Stiz, uomo d’ordine, provenisse da una famiglia di tradizioni militari. Due anni dopo, fu la volta di un altro uomo d’ordine, Giovanni Tamburino appunto, allora giudice a Padova, a cui fu assegnata per caso un’indagine proveniente da La Spezia: quella sui tentativi golpisti della Rosa dei venti. Poi toccò, a Milano, a Gerardo D’Ambrosio ed Emilio Alessandrini, che ereditarono l’inchiesta su piazza Fontana proveniente da Treviso. A Bologna, a Libero Mancuso e Claudio Nunziata, che per dieci anni ha dovuto difendersi dalle accuse disciplinari e penali. Poi è stata la volta di Giuliano Turone e Gherardo Colombo a Milano, colpevoli di aver scoperto le liste della P2. Nella prima stagione, almeno, il comunismo esisteva ancora. Oggi di rosso resta proprio solo il sangue versato.
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