Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)

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di 'Per quel che mi riguarda'

sabato 17 ottobre 2009

FUORI DAL BARATRO di Dario Fo

Dobbiamo ripeterlo, all’infinito. L’Italia che ha introdotto il reato d’immigrazione clandestina, l’allungamento della detenzione preventiva, che pratica i respingimenti azzerando il diritto d’asilo, è un paese sul baratro. È in atto, qui e ora, una trasformazione violenta della nostra natura, un capovolgimento antropologico, una corruzione storica. Ne viene modificata la ragione d’essere di un popolo, le basi costitutive della convivenza tra gli umani e la cancellazione insieme delle basi del diritto universale come del cuore solidaristico ed egualitario della nostra costituzione. Una delle culture profonde e fin qui radicate che così rischiano di venir meno è quella dell’asilo, del soggiorno e dell’ospitalità, tradizione positiva di quella che chiamiamo «nostra civiltà».
Con i respingimenti e con le ronde che privatizzano e aizzano all’odio sulla sicurezza, tutti i giorni la civiltà è negata. Negato quel diritto all’asilo che esisteva nelle chiese cristiane 2000 anni fa e che era parte costitutiva della realtà dei Comuni che garantivano la salvezza del fuggiasco e dell’oppresso che si era liberato dal servaggio del vassallo. «Sei salvo», dicevano offrendo libertà e lavoro. Poi si dicono cristiani. Non sanno neanche che cosa significhi. Perché il cristianesimo è accoglimento, la prima regola, il primo atto d’amore verso il cacciato. C’è una cosa che io recito in questi giorni con Franca Rame su Ambrogio: sant’Ambrogio in un suo discorso che tiene ai parrocchiani ad un certo punto se la prende con i ricchi e dice: «Ricordati che quando sentirai lamento e bussare alla porta, alla tua porta, mentre sei al tiepido e tranquillo e coperto, colui che viene a bussare è un uomo e quell’uomo si chiama Gesù». Pensa un po’. Di più. La cosa orrenda è che noi ormai siamo pronti ad accettare l’ospitalità solo se è pagata bene. Se chi viene a chiedere ospitalità ha la possibilità di pagarci. Eppure nello scambio ineguale i miseri siamo noi e l’arricchimento tra le culture sembra una favola affondata, colata a picco con la disperazione dei naufraghi dei barconi, dentro le apparenze-verità televisive. Ecco che crolla quella sensibilità minuta del vivere, patrimonio fin qui diffuso. Prima si diceva: nessuno riceverà solo un bicchier d’acqua se dirà ho sete alla nostra porta, noi daremo il vino. È un’espressione che c’è in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, in Sicilia, dappertutto. Offriamo a chiunque, prima ancora che quello chieda. E oggi l’unica cosa che sappiamo dire, grazie alla destra di governo, al populismo razzista che alimenta, ma anche ai molti ritardi e silenzi di quella che ancora ci ostiniamo a chiamare sinistra è: vattene via. Hanno diritto all’accoglienza perché hanno diritto a fuggire dalla guerra, dai regimi dittatoriali che noi spesso aiutiamo per le materie prime da sfruttare. E perché rifiutano la miseria e la fame. Lo dice l’Onu che c’è un miliardo di esseri umani ridotto a morire perché in assenza di cibo nelle periferie e baraccopoli dei continenti depredati come l’Africa e l’Asia. E noi offriamo di caldo solo il razzismo che è l’anticamera, aperta, del fascismo. Oggi in piazza e ogni giorno nella realtà quotidiana dobbiamo essere in tanti per fermare questa deriva, per gridare che imigranti siamo noi.

Fonte Articolo


Credevo nelle stelle

Credevo nelle stelle ed anche di volare,
finché un dì mi dissero da qui te ne devi andare,
lasciando i miei ricordi dispersi in un cortile,
baciato sulla fronte dalla bocca di un fucile.
Cominciai il mio viaggio verso l’orizzonte,
senza nessuna meta senza nessuna fonte,
e li che mi accorsi dentro il mio io
che se al mondo c’è l’ingiustizia non può esserci Dio.
All’alba dei sogni vidi il primo tramonto,
il viaggio così lungo diventò sempre più corto
ma la vita mi giocai prendendo la via del mare,
con la certezza che peggio non poteva andare.
Eravamo stretti stretti tra le braccia di un canotto
nelle mani della morte l’inconscio il nostro motto.
La sorte volle che ci scontrammo contro un’onda,
ma il mio sogno più bello era baciare l’altra sponda.
Eppure in quel momento toccai la felicità,
perché come uomo finalmente ebbi la libertà.
(AELLE)

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