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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 20 ottobre 2009

Perché Giulio Tremonti scopre il fascino del posto fisso di Stefano Feltri

(Vignetta tratta dal Il Corriere.it)
Cosa ha spinto Giulio Tremonti a fare ieri un’apologia del posto fisso? Queste le parole del ministro dell’Economia: “Non credo che la mobilità di per sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e la famiglia”, e ancora “la variabilità del posto di lavoro, l’incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no”. Il discorso va inserito nel contesto in cui è stato pronunciato: un convegno alla Banca popolare di Milano, un istituto di credito senza eguali nel mondo in cui sono i dipendenti a scegliere la dirigenza con un sistema di voto capitario (per teste e non per quote di capitale detenuto), dove i posti di lavoro si tramandano di generazione in generazione. E quindi era il contesto più consono per celebrare la stabilità. Anche perché la Bpm è l’unica banca davvero amica di Tremonti, che ha fortemente sponsorizzato la candidatura (vincente) di Massimo Ponzellini alla presidenza contro l’uscente Roberto Mazzotta, esponente di una finanza cattolica lontana dalla sfera culturale tremontiana.
Tremonti ha parlato anche di altro, della “compartecipazione che è meglio della cogestione”, delle banche che controllano gruppi industriali “nonostante la Costituzione”. Ma sono soprattutto le sue parole sul posto fisso ad aver suscitato commenti dall’opposizione, da quelli entusiastici del sindacalista della Fiom Giorgio Cremaschi alle critiche di Pierluigi Bersani. Dice l’ex ministro e candidato alla segreteria del Pd che “Tremonti dice tutto e il contrario di tutto, se un precario avesse ascoltato quello che ha detto il ministro sarebbe andato fuori di testa”. In effetti Tremonti, imponendo tagli a quasi tutti i ministeri per ragioni di bilancio, è stato indiretto responsabile della perdita di alcuni posti di lavoro (si ricordano le tensioni con il ministro Mariastella Gelmini per i tagli alla scuola, con Tremonti che è sempre riuscito a imporsi). Ma va anche ricordato che, fin dall’inizio della crisi, il ministro dell’Economia si è sempre presentato come il campione dell’economia reale contro la finanza, il difensore di una via europea al capitalismo “non mercatista” che implicava il rifiuto degli elementi più tipici del modello anglosassone, tra cui i frequenti cambi di lavoro e i licenziamenti facili.
Più difficile intuire dietro le parole di Tremonti un progetto politico concreto, visto che finora il ministro non si è mai ingerito in materie di competenza del ministro del Welfare Maurizio Sacconi (di cui è ascoltato consulente Michele Tiraboschi, già collaboratore di Marco Biagi nel progettare un mercato del lavoro più flessibile). A chi parlava, dunque, Tremonti quando affermava che “la stabilità del posto di lavoro è un obiettivo fondamentale”? In parte alla sua maggioranza, sparigliando il dibattito e spostando l’attenzione su un tema diverso da quelli in agenda. Anche se, va ricordato, durante tutta la crisi -la priorità del governo è sempre stata quella di non rischiare posti di lavoro, almeno quelli ad alta sensibilità politica (gli incentivi alla Fiat sono stati dati con questa motivazione, idem i Tremonti-bond e la moratoria sui debiti delle imprese). Ma parlava anche a un pubblico più largo, a cui si ripropone come un politico trasversale che riassume in sé le istanze di una nuova destra ma anche alcuni dei temi classici della sinistra, un ruolo che aveva conquistato con la pubblicazione del suo libro “La paura e la speranza” e poi gradualmente perso nella prassi di governo.

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