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di 'Per quel che mi riguarda'

sabato 31 ottobre 2009

LA SENTENZA DEL MINISTRO di Patrizio Gonnella

«Di una cosa sono certo:del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in quest’occasione». Le parole del ministro della Difesa sono parole simili ad altre già ascoltate in circostanze analoghe. Una difesa aprioristica del corpo dei carabinieri funzionale a salvarne lo spirito. Lo spirito di corpo appunto.
Il vero nemico della verità nei casi di violenza nei confronti di persone in custodia dello Stato è lo spirito di corpo. Una forma esplicita di autodifesa che si accompagna alla ingloriosa teoria delle mele marce la quale così recita: «se proprio i carabinieri-poliziotti hanno deviato, sbagliato, commesso un reato al massimo sono delle mele marce, ma il corpo è comunque salvo». Il corpo di Stefano Cucchi è stato invece devastato. Non sappiamo come siano andate le cose. Speriamo però che la magistratura faccia presto a scoprirlo. D’altronde l’arco temporale dell’indagine e i pochi attori coinvolti favoriscono una veloce ricostruzione dei fatti. Il passare del tempo – così è accaduto in altri processi per violenze subite da fermati, arrestati, detenuti – è un ostacolo al raggiungimento della verità. Il rischio prescrizione è sempre incombente per processi di questo tipo. Processi nei quali non si può procedere per tortura perché in Italia la tortura non è un crimine.
Questa storia va seguita, monitorata, osservata così come si faceva un tempo per i processi per delitti di opinione. Le responsabilità eventuali di operatori delle forze dell’ordine, giudici o medici vanno individuate. Al pregiudizio innocentista del ministro La Russa non vogliamo contrapporre un pregiudizio colpevolista. Per questo vorremmo un segnale, un risarcimento politico ai familiari di Stefano Cucchi. Ci sono molti modi per onorare una persona morta nelle mani dello Stato: 1) evitare che altri episodi di violenza simili accadano. Per farlo bisogna spazzare via lo spirito di corpo. Un segnale in tal senso sarebbe l’introduzione con decreto legge del delitto di tortura nel codice penale che abbia tempi lunghi di prescrizione e procedibilità di ufficio; 2) evitare che altri ragazzi finiscano in galera soltanto per fatti di lieve entità; 3) infine dire la verità, null’altro che la verità. Basterebbe che uno di quelli che ha visto Stefano Cucchi nei sei giorni del suo martirio rompesse il muro del silenzio gridando ad alta voce: «Non è caduto dalle scale». Purtroppo le affermazioni del ministro La Russa pare non vadano in questa direzione. Siamo di fronte alla classica autodifesa, come a Sassari nel 2000, a Napoli e a Genova nel 2001, a Livorno nel 2003, a Ferrara nel 2005, a Perugia nel 2007. Un’autodifesa che appare grottesca di fronte alle foto del volto e del corpo di Stefano Cucchi.
Noi confidiamo ci sia un giudice in Italia che assicurerà giustizia. Per sicurezza però preannunciamo che ci rivolgeremo agli ispettori europei. (Presidente di Antigone)

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