Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)

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di 'Per quel che mi riguarda'
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martedì 1 marzo 2011

REPLICHE FINALI di Ida Dominijanni

(vignetta Mauro Biani)
Qualunque attore di prima o di quarta categoria, a un certo punto, cambia copione. Qualunque comico cambia barzelletta, qualunque cantante cambia ritornello. Sanno, tutti, che altrimenti il pubblico si stanca. Berlusconi no. Perché per quanto ci provi, non è né un attore né un barzellettiere né uno chansonnier. E’ un pubblicitario, e la regola della pubblicità è una sola: ripetere, ripetere, ripetere.
Dev’essere per questo che giusto al culmine della sua vulnerabilità, mentre infila il tunnel di una sequenza processuale decisiva per la sostanza e per l’immagine della sua persona e del suo potere, invece di imporsi cautela spara a mitragliate l’intero repertorio del suo sovversivismo costituzionale, arricchito per l’occasione da uno sfregio a Napolitano e al suo «enorme e puntiglioso staff». Conosciamo lo spot, già andato in onda con regolarità questa sì puntigliosa a ogni tornante degli «scandali» degli ultimi anni: per colpa della Costituzione e dei suoi garanti, capo dello Stato e Consulta, in Italia tutto il potere è in mano al parlamento, che è un’accozzaglia di nullafacenti, e alla magistratura, che è un’accozzaglia di psicopatici. Governo e presidente del consiglio, invece, non ne hanno alcuno. Vorrebbero fare ma non possono. Vorrebbero correre ma vengono continuamente intrappolati dalla congiura dei vincoli procedurali:
fai una legge e lo staff del Quirinale ti fa le pulci, la rifai e te la boccia una Camera, la rifai e te la blocca di nuovo il Quirinale, riesci a farla finalmente approvare e te la boccia la magistratura appellandosi alla consulta. Povero premier:
lacci e lacciuoli, e cavilli legali, identici a quelli che gravano sulle sue gesta imprenditoriali martoriate dai processi Mediatrade e Mills. Il governo come l’azienda, non fa differenza in una concezione del potere come arbitrio assoluto, dove le regole sono un impiccio e la Costituzione un impaccio.
Più difficile, a rigore di logica politica, è capire dove Berlusconi voglia arrivare alzando di giorno in giorno l’asticella dello scontro istituzionale. Uno spot nuovo, che va in onda da qualche giorno, lo mostra sicuro di poter finalmente riformare tutto, giustizia e assetto dei poteri, una volta libero da quella zavorra che si chiamava Fini. Ma anche questo spot è truccato, perché Berlusconi non può non essersi accorto che la Costituzione e i suoi organi di garanzia hanno retto per diciassette anni ai suoi reiterati assalti e reggeranno ancora. Così come è truccato il suo attacco alla scuola pubblica, non perché il suo governo non l’abbia effettivamente distrutta, ma perché in quest’ultima circostanza è platealmente volto alla ricerca di indulgenze vaticane per i suoi peccati. Dunque non c’è nessun respiro strategico in questa ennesima campagna pubblicitaria: c’è solo il disperato tentativo di arroccarsi, ironia della storia, sullo slogan del nemico principale del Cavaliere degli esordi: resistere, resistere, resistere. Tanto più se lo spot va in onda a Milano. Dove a maggio si vota, e per il presidente del Milan tutto è concepibile, ma non l’ipotesi di una sconfitta in casa. Sarà per questo che dallo stesso palco da cui attacca il Quirinale invita i suoi militanti a un bel bunga bunga, «quattro salti e quattro chiacchiere in allegria»: a Milano il tribunale va disertato, ma la piazza è ancora quella decisiva per saggiare la tenuta dell’incanto populista.

fonte articolo 'Il Manifesto'
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domenica 26 dicembre 2010

La rivolta del popolo della scuola di Lidia Ravera

(vignetta Mauro Biani)
Gli studenti di ogni ordine e grado, quelli che hanno già studiato e si sono laureati, addottorati, specializzati. I ricercatori, gli insegnanti. Perfino i presidi e i rettori. Tutti si sono mobilitati contro il decreto di legge del ministro Gelmini, molti si rifiutano di chiamarlo "riforma", dato che non riforma ma taglia (fondi e posti di lavoro), privatizza ed esclude, intervenendo con durezza implacabile sul già precario mondo dell'istruzione.
Si rivedono, dopo anni di comatoso silenzio e partecipazione virtuale, giovani corpi in corteo, nelle strade e nelle piazze. Davanti a Montecitorio, davanti alla sede della coalizione di governo ( Pdl), davanti al Palazzo dove il premier Silvio Berlusconi vive e organizza le sue seratine orgiastiche. È bello guardarli, gli studenti che invadono le città, da Torino a Pisa, da Roma a Messina.
E' bella la giovinezza ribelle, più bella della giovinezza rassegnata. Per chi, come me, ha trascorso fra cortei occupazioni riunioni e assemblee tutta l'adolescenza( il mai troppo chiosato sessantotto), c'è un senso di ripetizione eppure di sorpesa. La ripetizione è nei temi: noi lottavamo contro la scuola "di classe", per aprire le porte del sapere a tutti, anche ai figli degli operai. E di nuovo, oggi, i fratelli minori dei nostri figli, lottano perché l'istruzione superiore, a colpi di decreti di Gelmini, tornerebbe ad essere privilegio di pochi, di quelli che possono permettersela. La ripetizione è nei metodi: striscioni, slogan, cartelli, catene umane, cordoni, uova lanciate, manganellate ricevute. Lacrimogeni, passamontagna e limoni. Scappare. Tornare. Testardi, a prenderne altre, di botte. Col terrore che qualcuno si infiltri e faccia un danno apposta e mandi a ramengo tutta la civilissima protesta.
Tutto regolare, tutto come prima, ma c'è anche una variazione: salgono sui tetti, gli studenti in lotta, si arrampicano per scalette pericolanti, corteggiano il baratro, sfidano i cornicioni. Hanno imparato dagli operai, che, in Italia, sono stati, in questi mesi, costretti, per farsi notare, a salire sulle gru, a occupare carceri dismesse in isole deserte (l'Asinara,sede di un ex penitenziario duro, al largo della costa sarda), a digiunare, a occupare impalcature, a rischiare la vita. L'Italia, in 40 anni, è diventata più sorda, più distratta, più sciocca, più gaudente. I politici al potere sono sempre girati da un'altra parte.
Bisogna gridare, per farsi sentire. I giovani, finalmente,stanno gridando. È un buon segno. È soltanto così, che si può svecchiare la classe dirigente, in questo Paese giovanilista a parole e gerontocratico nei fatti. Prendere in mano il proprio destino, prendere coscienza. Unirsi, gli uni agli altri, in base alla propria miseria. 40 anni fa, si scandiva uno slogan: studenti/operai/ uniti nella lotta!. Era un pensiero gentile, nel nostro roseo comunismo, proporre, noi figli della borghesia torinese, un posto in piazza agli operai, un posto nelle nostre scuole occupate. I nostri destini erano diversi dai loro. Loro salariati, noi futura classe dirigente. Oggi non è più così.
Non c'è niente di volontaristico o ideologico, nell'unirsi degli studenti, dei ricercatori, dei borsisti senza borsa agli operai, agli immigrati, agli edili: precariato, disoccupazione, prospettive di povertà, stili di vita al risparmio sono un collante reale. Una condizione condivisa. E allora: tutti sui tetti. A rischiare per essere visti. Per salvarsi la vita.


Fonte articolo 'Il Caffé'
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Tornare giovane o diventare ministro? di Alessandro Robecchi





Quando mancano le parole di Marco Travaglio




Benito La Russa, 37 anni dopo il mostro sbatte ancora in tv di Iaia Vantaggiato

venerdì 26 novembre 2010

Riforma Gelmini - Prendere o lasciare di Marco Bascetta

Equilibrismi politici e vittime della crisi

Due mondi paralleli. Quello delle schermaglie parlamentari, dell’estenuante pingpong degli emendamenti, dei piccoli e dei grandi ricatti, dei conigli finanziari che appaiono e scompaiono vorticosamente nel cilindro di Tremonti, degli schieramenti che si misurano e si scrutano guardando alla geografia immaginaria degli equilibri futuri. E quello delle università occupate, degli studenti e dei precari in corteo in numerose città italiane, di una compagine eterogenea e numerosa
di soggetti sociali colpiti dalla crisi e dalle ricette che pretendono di curarla.
Sempre meno rassegnati a subirne la violenza, sempre meno inclini a cibarsi di promesse. Non è più tempo di cullarsi nel separatismo benintenzionato degli altri mondi possibili, di testimoniare su scala ridotta le possibili virtù dei rapporti sociali liberati. L’assedio dell’altro ieri a palazzo Madama chiarisce, almeno sul piano simbolico, che per due mondi paralleli non c’è più spazio, che le forme della democrazia vengono quotidianamente svuotate dal procedere della crisi e da un conflitto di interessi che non è quello che oppone Berlusconi e il suo impero ai doveri del buon governo, ma i profitti ai salari, la rendita finanziaria all’indigenza del precariato, la proiezione verso il futuro alla conservazione dei privilegi, il bene comune all’appropriazione privata, la libertà del sapere al suo asservimento. L’irriformabile riforma Gelmini e l’opposizione tenace che la osteggia mettono egregiamente in scena tutto questo. Non ci sono spazi per accorte mediazioni: prendere o lasciare. La maestrina con la sua bacchetta e i suoi consulenti (miracolosamente sopravvissuti a decenni di fandonie e fallimenti) si trovano su un fronte ben più grande della loro misera statura. Per questo non si può indietreggiare di un passo. Per questo o si sta dalla parte degli studenti in lotta, fino in fondo, senza distinzioni, timidezze e opportunismi, problemi di galateo e di buone maniere, o si sta dalla parte di un governo ultraliberista e autoritario, cui non potrà che seguire un altro governo ultraliberista e autoritario.
Nello smottamento generale del quadro politico italiano il conclave delle alchimie parlamentari può essere scoperchiato, i movimenti possono tornare a fare paura, il tumulto a destabilizzare la tranquilla certezza di autoconservazione del ceto politico nel gioco spregiudicato di infinite ricombinazioni. Che questo è il nodo che da anni ci stringe alla gola: i poteri politici, speculativi, aziendali dominanti non hanno più avuto paura di nulla. Né dell’opposizione politica e sindacale, né dell’indignazione dei cittadini, né del ridicolo, della ragione o della verità.
Questo ha prodotto la tracotanza dei Brunetta, delle Marcegaglia, dei Marchionne, dei Sacconi, delle Gelmini, dei Tremonti, dei sindaci- sceriffi, delle banche. Mentre dall’altra parte dominava invece la paura tra i lavoratori precari, i giovani senza futuro, i salariati senza certezze, tra i cittadini esposti alla devastazione del territorio, tra i migranti braccati dai leghisti. Esposti a ogni genere di ricatto, costretti a subire e subire.
Questo quadro desolante sta cominciando a essere rovesciato dall’insorgere di una democrazia che reagisce e combatte? Non solo in Italia, ma anche nella Francia di
Sarkozy o nel Regno unito dei Tory e del fedifrago Clegg? Probabilmente è ancora presto per dirlo, ma non ci vorrà molto per trovare qualche conferma.
E forse proprio nel nostro paese che, nel bene e nel male, è sempre stato prodigo di sorprese. L’affollata galleria degli spettri non si esaurisce con gli anni ’70. Qualcos’altro si accinge a turbare il sonno della politica.


Fonte articolo e vignetta 'Il Manifesto'
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Lettera al ministro Gelmini: 'Perché dovremmo essere contenti?' di Giuseppe Caliceti



La Scuola nemica di Alba Sasso

lunedì 15 novembre 2010

Scuola: 'Offerte benedette' di Norma Rangeri

(vignetta enteroclisma)
La febbrile vigilia della crisi di governo, tra mozioni di sfiducia e aggrovigliatiretroscena, accelera i tempi della legge di bilancio. A scandire i passi rapidi della finanziaria, più che i bisogni del paese sono le urgenze dei partiti, occupati a guadagnare posizioni (o a non perderne) in questa tortuosa svolta politica. Come se decidere dove tagliare e a chi dare fosse normale amministrazione e non esercizio di politica purissima. Specialmente in una fase di passaggio, quando aprire o chiudere la borsa è già un inizio di campagna elettorale.
L’ultima è di ieri: il ripristino integrale dei fondi per le scuole private, a fronte dei tagli pesantissimi alla scuola pubblica, all’università, alla ricerca, ai beni culturali. Citiamo questi capitoli dolenti (ne potremmo aggiungere molti altri: il volontariato, la sanità, i trasporti, l’ambiente) per due ragioni: perché la cultura è la materia prima di una democrazia moderna, e per sottolineare l’assoluta coerenza di questi interventi, presi sul filo di lana della crisi, con la profonda radice di un ventennio che sopravviverà all’uscita di scena di Berlusconi.
Un regime che non ha mai saputo cosa farsene dell’istruzione e della conoscenza, considerandoli pericolosi antitodi alla sottocultura di massa di una società conformista e autoritaria. Con un leader che ha costruito il consenso demolendo l’istruzione pubblica, del resto facilmente sostituibile quando si possiedono case editrici, giornali, televisioni, produzioni cinematografiche: una grande, ricca scuola privata.
Come ha voluto sottolineare il presidente Napolitano, con i ripetuti interventi degli ultimi giorni e ancora ieri, «non ho mai detto di non fare tagli, ma quella delle priorità è questione cruciale: bisogna scegliere». Non avrebbe potuto dire di più e meglio. Questo centrodestra ha scelto. Ha trovato i soldi per le scuole private e vuole accompagnare la scuola pubblica verso la lenta agonia abbandonandola alla precarietà (di insegnanti e studenti), allargando la già insopportabile distanza tra ricchi e poveri. Abbiamo tutti letto o visto genitori che vanno al supermercato per acquistare risme di carta per le fotocopie, detersivi e carta igienica per figli costretti in edifici fatiscenti, chiusi come piccole mandrie in recinti affollati. Naturalmente quando la scuola riescono a frequentarla. Ma se il finanziamento all’istruzione privata è utile merce di scambio per resettare i rapporti politici, ancorché post-berlusconiani, con Vaticano e Confindustria, i futuristi di oggi come i democristiani di sempre sono pronti a rispondere all’appello delle gerarchie cattoliche e del marchionne-pensiero. E non sarà la sinistra, e non saremo noi i beneficiari del fallimento berlusconiano.

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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sabato 9 ottobre 2010

Piazze d'autunno di Angelo Mastrandrea

(vignette Mauro Biani)
In un Paese asfissiato da un potere che usa i dossier al posto del manganello e da una crisi sociale che sempre più a fatica il governo riesce a nascondere, una giornata come quella di ieri può perfino essere considerata particolare. Cos’è accaduto di così rilevante? Che una generazione di giovani, spesso rappresentata come anestetizzata e disincantata, è tornata a riprendersi le strade e le piazze, in un ritorno d’onda forse inaspettato al tempo degli sponsor a scuola e del sole delle alpi messo in qualche aula a competere col crocifisso. È accaduto altresì che nelle strade e nelle piazze riconquistate si sono visti anche i fratelli maggiori, ricercatori precari per definizione e non per scelta, e qualche padre, docente in procinto di scioperare contro l’attacco al cuore della conoscenza sferrato da una destra incapace di pensare a un modello di società che non sia affaristico e privatizzatore. Una boccata d’ossigeno, e pazienza se il traffico cittadino ne ha risentito.

Fosse finita qui, saremmo già moderatamente soddisfatti. Ma contemporaneamente è accaduto qualcosa ancora più meritevole di nota: a Castelvolturno gli schiavi della terra, i migranti bersaglio dei Casalesi, quelli
che bisogna ucciderne il più possibile permandare un segnale (come si legge nelle intercettazioni del clan Setola), si sono presi le strade, anzi le rotonde dove tutte le mattine attendono i caporali che arrivano a reclutarli. No grazie, oggi non lavoro, hanno risposto educatamente proclamando uno sciopero che nessuno riconoscerà come tale solo perché nessuno riconosce il loro mestiere.Nemmeno il locale sindaco del Pdl: in un comune piagato dalla camorra non se l’è sentita
di inaugurare la lapide per i sei africani uccisi dai clan e per questo si è meritato la riconoscenza di Forza Nuova.
In un Paese che non riesce a garantire un futuro ai suoi giovani, dove i cinesi non muoiono ufficialmente nemmeno quando li trovano affogati sotto un cavalcavia, ci pare un segnale di risveglio. Toccherà anche a noi provare a interpretarlo e ad alimentarlo, come alle forze della sinistra dargli continuità, perché non sia solo la replica di proteste senza sbocco. Le piazze riconquistate ieri erano 83. Con Castelvolturno fanno 84. È questa l’unità d’Italia che ci piace.

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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sabato 25 settembre 2010

Università a numero chiuso, non chiedete più ai ragazzi, "Cosa vorresti fare da grande?" di Rosalba Falzone

(vignetta Rosalba Falzone)
Università a numero chiuso, ma dove è finito il diritto allo studio? Oramai, tutte le facoltà, richiedono di superare i test di ingresso per poter effettuare l'immatricolazione negli atenei italiani, i neo diplomati non possono più aspirare ad iscriversi, per esempio, in medicina, ma come si è visto negli anni precedenti, i test possono essere anche gestiti a favore dei raccomandati, quindi tutti pensano che non sia necessario "selezionare" gli studenti, ma che sarebbe meglio tornare come prima, alla selezione, diciamo, naturale. C'è da dire che, per esempio, per quanto riguarda la laurea triennale in scienze infermieristiche, vengono ammessi studenti in numero minore rispetto alle esigenze e alle richieste del mondo del lavoro, anche non pubblico. Pretendere il numero chiuso nelle facoltà come giurisprudenza è il colmo, perché è un indirizzo di studi che da, in teoria, tante possibilità di lavoro, anch'esso non necessariamente pubblico, quindi è assurdo limitare il numero delle matricole.
Gli aspiranti, per poter partecipare agli esami per i test di ammissione alle università a numero chiuso, che sono anticostituzionali, quindi, non sono neanche legali, sono costretti addirittura, a versare somme di danaro che vanno dalle venticinque euro alle cinquanta euro ed oltre; spesso, i giovani, per avere più possibilità di superare almeno un esame, provano a partecipare, alla somministrazione dei test, in diversi atenei, dovendo pagare, di conseguenza, altre soldi, per avere altre occasioni di essere ammesso, ma per molti giovani non succede, i non preparati, anzi i non fortunati, sono, loro malgrado, costretti a ripiegare con iscrizioni in altre facoltà, dove il numero degli studenti è minimo, ma il ministro Gelmini, ha, di recente, proposto di chiudere le facoltà dove, appunto, non ci sono molti studenti iscritti, decisione che è a favore dei tagli, ma è a sfavore dei giovani, che non hanno più a libertà di decidere sul proprio futuro, che parte già incerto, perché una laurea, non da molte possibilità di lavoro, al massimo i laureati possono aspirare ad essere precari sino alla pensione, che non è il massimo, ma è il risultato degli studi nelle università Italiane, dove vi sono dei docenti sono quasi tutti parenti, dove vi sono dei docenti che insegnano anche senza aver superato un pubblico concorso, dove vi sono docenti che percepiscono stipendi alti rispetto al numero delle ore di lezione svolte, dove vi sono dei docenti che costringono gli studenti ad acquistare le loro pubblicazioni, dove vi sono docenti che fanno le proposte indecenti...ma, per fortuna, i professori non sono tutti così, comunque sarebbe meglio togliere quell'aura che rende università e docenti irraggiungibili ed intoccabili, perchè siamo nel 2010, l'era di internet, vi sono studenti che ne sanno più dei professori, ma, purtroppo, il pezzo di carta serve per una professione, sia pur precaria, pertanto, continuando con le università a numero chiuso, non chiedete più ai ragazzi cosa vorrebero fare da grandi.

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Lettera al ministro Gelmini: 'Perché dovremmo essere contenti?' di Giuseppe Caliceti



La Scuola nemica di Alba Sasso




Giacomo Russo: «Alziamo la testa contro l’ignoranza» di Giulia Pacifici

venerdì 24 settembre 2010

NOSTALGIA BALILLA di Alessandro Robecchi

(vignetta brulliotoi)
Pancia in dentro, petto in fuori! At-tenti!
Finalmente una buona notizia per la scuola italiana: i professori vengono licenziati a mazzi, i soffitti cascano in testa, le strutture fanno schifo e compassione, ma in compenso possiamo tutti tirare in aria i berretti e gridare hurrà per il solenne protocollo d’intesa firmato tra la ministra Gelmini, beata ignoranza, e il sor La Russa, il colonnello alla parata militare.
In alto i cuori!
Il protocollo d’intesa si ammanta di notevoli paroloni, roba forte qui nel Berlusconistan, come ad esempio «conoscenza e apprendimento della legalità e della Costituzione». Ma questa è la teoria, roba da comunisti. È la pratica che è più interessante, e prevede: «cultura militare», «arrampicata», «tiro con l’arco e con la pistola» (ad aria compressa, aggiunge pietoso il documento), senza contare «nuoto e salvamento» e «orienteering».
Insomma, una specie di incrocio tra i littoriali, il sabato fascista e i film con Alvaro Vitali, il tutto sotto l’occhio vigile di La Russa e della sciura Gelmini, eletta dalla lobby dei cacciatori nella patria della Beretta, pistola italiana.
Protocollo d’intesa denominato «Allenati per la vita», che insegna tra le altre cose anche il «pernottamento in luoghi ostili», cosa che potrebbe tornare utile alle ragazze che restano bloccate nottetempo nei cessi di Palazzo Grazioli.
Non basta. A coronare il virile cimento arriverà alla fine una «gara pratica tra pattuglie di studenti» che varrà come credito formativo. «Mamma, non rompere che c’ho tre in matematica, perché ho preso ottimo nel passo del giaguaro!». È così che si forma una classe dirigente, imparando a dire signorsì. Non si parla di bombe a mano e di sommergibili rapidi e invisibili, ed è una notevole pecca dell’iniziativa (forse mancano i fondi), ma siamo certi che qualcuno porrà rimedio.
Il tutto agli ordini di un centinaio di ufficiali in congedo, consapevoli che, dalle strutture alle finalità, dalle scale alle camerate, un liceo può somigliare perfettamente a una caserma. Il tutto, manco a dirlo, sponsorizzato da enti pubblici e privati, il che significa che l’ora di attività ginnico-militare (sic!) o la visita al poligono saranno finanziate dall’illuminata industria italiana: perché avere cittadini quando si possono avere soldati semplici?
L’intesa è per ora regionale (Lombardia) e riguarda le scuole medie superiori, ma non disperiamo: la nostalgia è una brutta bestia e la tentazione di vestire da Balilla anche i più piccoli si farà strada presto. Scritta in un esilarante burocrat-militarese, la circolare che informa la popolazione pare di suo un capolavoro satirico. E addirittura strepitoso è il passaggio teorico in cui si spiega che tanto dispiego di mezzi di aria, di cielo e di terra (e di pistole ad aria compressa) ha tra le altre finalità «il contrasto del bullismo». Insomma, qualcosa tipo: «Mamma, c’era un bullo, ma l’ho fatto secco». Molto educativo.
Naturalmente si sa come andrà a finire. Niente soldi per la benzina del cerchio di fuoco, due proiettili per settecento studenti, corsi di orienteering nel cortile della scuola e – se piove, nevica o tira vento – fornitura di speciali scarponi in cartone pressato, nella più pura tradizione dell’esercito italiano. E fin qui, naturalmente, al netto di incidenti, sempre possibili di fronte a una truppa riottosa e bambocciona come ci si immagina quella degli studenti. «Capitano, me so’ sbagliato… Ho spezzato le reni al prof di greco!».
Triste destino di un popolo imbelle a cui si chiede, «per fare gruppo», di mettere l’elmetto a scuola. Cosa che del resto chiedono ormai anche le mamme più avvertite. «Mettiti l’elmetto Gino, che in aula ti casca il soffitto sulla capoccia». Cronache italiane, insomma. Alalà!

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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Lettera al ministro Gelmini: 'Perché dovremmo essere contenti?' di Giuseppe Caliceti



La Scuola nemica di Alba Sasso




Giacomo Russo: «Alziamo la testa contro l’ignoranza» di Giulia Pacifici

mercoledì 22 settembre 2010

Lettera al ministro Gelmini: 'Perché dovremmo essere contenti?' di Giuseppe Caliceti

(vignetta Rosalba Falzone)
Cara Gelmini, lei continua a parlare di riforma epocale. In realtà si tratta di un grande pasticcio. I suoi tagli sconsiderati a fondi e personale mettono in ginocchio la scuola pubblica e depotenziano ai minimi storici l’offerta formativa a studenti e alunni. E in più di un punto contraddice alcuni articoli della nostra Costituzione e alcune leggi dello Stato che dovrebbe conoscere. Bisognerebbe che si informasse di più. Bisognerebbe che sapesse come i tagli alle elementari, cancellando la compresenza, di fatto cancellano il tempo pieno, fatto di tempi distesi e lavoro a piccoli gruppi di livello, laboratori e uscite didattiche, trasformandolo in una sorta di doposcuola che penalizza fortemente la qualità dell’apprendimento e dello star bene a scuola degli alunni. Bisognerebbe che tenesse sempre presente come i Paesi Ocse spendono in media il 5,7% del Pil per il loro sistema scolastico, mentre l’Italia spende solo un vergognoso 4,5%. E rileggesse la nostra Costituzione quando parla di scuola laica e gratuita. Mentre oggi i genitori degli alunni devono sborsare contributi. In alcuni casi anche di 150/200 euro. Per la normale manutenzione delle scuole pubbliche che frequentano i loro figli, che spetterebbe a lei. Scuole che vantano nei confronti del ministero dell’Istruzione crediti che vanno dai cento ai duecentomila euro.
Ancora: smetta, per favore, di raccontarci la favoletta del rapporto troppo alto tra docenti e studenti in Italia dimenticandosi sempre, colpevolmente, degli studenti disabili e dei docenti di sostegno. Che esistono, non sono ancora gettati dalla rupe. Non sa che questi docenti non sono calcolati, in altri Paesi, perché spesso legati al ministero della Sanità e non dell’Istruzione? Non si rende conto che i numeri che dà, in questo modo, sono palesemente falsi? Attualmente la legge parla di un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità. Mentre lei, nonostante la certificazione delle Asl, garantisce che questi bambini siano seguiti solo 4/6 ore a settimana. Lo so, non c’è niente di meno economico di un bambino disabile, ma le sembra onesto e civile comportarsi come fa lei? Dovrebbe inoltre studiare meglio la legislazione sulla sicurezza nelle scuole. Sono sicuro che lei, come ministro, è tenuta a farla rispettare. Prevede un massimo di 25 alunni per aula, lo sa? Mentre lei parla di un minimo di 27 e un massimo di 35 studenti per classe. E per aula, dunque. Le chiedo: in caso di incendio o terremoto, in caso di incidenti, o di morte di uno studente, chi è il responsabile di quella morte annunciata? Lei? O i docenti che si adeguano alle sue indicazioni? E poi: lei, Gelmini, è al corrente del fatto che alle medie, con la sua manovra, non esistono più laboratori espressivi, corsi di italiano per stranieri, interventi di recupero e potenziamento? Non crede che in questo modo non favorirà l’integrazione?
È sicura che cancellare ogni tipo di sperimentazione nei licei risponda a una reale esigenza di rinnovamento? O non si tratta di una semplice questione di
risparmio? E quali motivazioni didattiche l’hanno spinta a eliminare ore di lezione anche negli Istituti tecnici e professionali e nei licei? Cosa significa, per lei? Che meno stanno a scuola, più i ragazzi imparano? Insomma, perché, come lei sostiene, i genitori degli alunni e degli studenti italiani dovrebbero essere soddisfatti della sua riforma?

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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La Scuola nemica di Alba Sasso




Giacomo Russo: «Alziamo la testa contro l’ignoranza» di Giulia Pacifici



L’autunno caldo degli insegnanti parte da Palermo




La scuola col segno meno di Cinzia Gubbini

venerdì 3 settembre 2010

La Scuola nemica di Alba Sasso

(vignetta Mauro Biani)
L’errore più grande è non prendere sul serio la ministra Gelmini. La conferenza stampa di ieri mattina, che "inaugura" il nuovo anno scolastico, somiglia molto più a una dichiarazione di guerra che non al solito messaggio tradizionale di ogni ministro, magari un po’ retorico e buonista. La Gelmini non è quella delle mille immaginette portate in processione nei cortei, né la giovane laureata costretta a riparare in Calabria per conseguire la sospirata abilitazione. È quella che si vanta di aver impostato una «riforma epocale» della scuola, rivendicando con una certa sfrontatezza la coerenza della sua azione attuale con quelle dei suoi predecessori.
Va tutto bene. Le proteste dei precari sono solo politica, e per questo lei è ben decisa a non incontrarli. Gli investimenti ci sono, ed anzi aumentano, salvo pecificare come e dove. Il tempo pieno non è diminuito, forse è aumentata la domanda, vedremo. E altre facezie. Il capo del governo fa scuola, naturalmente, nel creare una realtà virtuale perfetta. La realtà che le famiglie incontrano ogni giorno narra di un mondo diverso. I tagli non stanno incidendo solo a livello economico, stanno ferendo profondamente le vite degli altri. Di chi dopo anni di impegno e di fatica un lavoro non ce l’avranno più, e nemmeno un progetto di vita (mutuo, casa, famiglia), dei piccoli in crescita che impareranno di meno e peggio.
Togliere insegnanti, ridurre le cattedre, affollare all’inverosimile le classi, tagliare i fondi esplicita invece un piano scientifico di rinsecchimento della scuola pubblica, fino a devitalizzarla, riducendone le funzioni vitali. Il nemico è la scuola pubblica, il suo compito di fornire sapere e conoscenza per «non uno di meno». Il nemico è la scuola che costruisce uguaglianza e futuro. Il nemico è la fabbrica di cultura che ancora resiste, sopravvive nella riserva indiana della scuola, tiene vivo quello che è stato il suo ruolo negli ultimi 60 anni, fra mille contraddizioni: formare i cittadini della Repubblica. L’obiettivo è esattamente questo, smantellare la sua funzione storica, ridurla ad un’appendice di una scuola privata basata sul censo e sull’ignoranza, per formare sudditi del nuovo potere ed esegeti del pensiero dominante. Questo piano passa attraverso la distruzione della vita reale di migliaia di persone, certo. Ma cosa sono in cambio di una «rivoluzione epocale»?
Gli episodi di disperazione, di protesta estrema si moltiplicano, il rischio concreto è di tragedie del lavoro già avvenute e ormai quotidiane, nel nostro come in altri paesi. Perciò occorre stendere intorno alla scuola un cordone forte, ampio, unitario di solidarietà.
E sollecitare l’impegno di forze politiche e sindacali per la crescita e lo sviluppo della scuola pubblica. Molte regioni stanno intervenendo a attivamente in questa battaglia. I ragazzi e le famiglie devono dimostrare che non sono spettatori di una corrida, ministra contro precari, ma protagonisti della vicenda.
La scuola sopravviverà alla Gelmini. Fra qualche tempo nessuno ricorderà più la sua «riforma epocale». Ma nell’attesa le vite di tante persone potrebbero spezzarsi ancora, sotto la sua azione sciagurata.


Fonte articolo 'Il Manifesto'

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Giacomo Russo: «Alziamo la testa contro l’ignoranza» di Giulia Pacifici



L’autunno caldo degli insegnanti parte da Palermo




La scuola col segno meno di Cinzia Gubbini

giovedì 2 settembre 2010

Giacomo Russo: «Alziamo la testa contro l’ignoranza» di Giulia Pacifici

Sotto al Parlamento i precari continuano la loro mobilitazione. Giacomo Russo, 31 anni, precario siciliano in sciopero della fame, è seduto di fianco alla tenda in cui dorme da vari giorni insieme ad altri colleghi.
Quando e perchè hai iniziato lo sciopero della fame?
Ho iniziato lo sciopero il 17 agosto a Palermo insieme ai colleghi Pietro di Grusa e Salvatore Altadonna quindi questo è il quattrodicesimo giorno. Digiuno perchè sono arrabbiato, lo ero il primo giorno, ora sono più stanco ma continuo a essere arrabbiato. La battaglia per il posto di lavoro è sacrosantama non è l’unico motivo. È un modo per alzare la testa in un paese dove non si parla più di cose importanti. Qua c’è gente che non riesce ad andare avanti. Gente che magari vorrebbe gioire, vorrebbe andare la domenica al prato con la propria famiglia e invece si trova a fare i conti con la sopravvivenza. E il tg parla di quanto misura la cucina di Fini. Hai accennato alla tua protesta negli anni precedenti...
Confesso di essere recidivo: già l’anno scorso avevo fatto uno sciopero della fame insieme ad altri colleghi. Allora era indirizzato a incontrare il presidente della regione Sicilia
E siete riusciti a incontrarlo?
Sì. Il problema però è rimasto. Secondo me una colpa molto grande ce l’hanno le organizzazioni sindacali. Faccio nomi e cognomi: Cisl, Uil e Snals. Hanno accettato provvedimenti, come quello del salvaprecari, distruttivi e umilianti. Vivo in un paese che, al momento, non è totalmente democratico, perché le regole vengono stabilite a colpi di decreti legge senza discussione parlamentare.
Come si organizza il mondo dei precari della scuola?
I precari di tutta Italia si conoscono da tempo. Ci sono state assemblee e cortei nazionali. Ogni provincia ha il suo comitato, poi c’è anche il mondo sindacale, in particolare Usb, Cobas, Cgil.
Perchè avete deciso di spostarvi a Roma?
Siamo venuti a Roma perchè questa non apparisse solo come una questione meridionale anche se la maggior parte dei tagli sono concentrati al sud. La Sicilia è una regione martoriata dalla mafia e dalla disoccupazione. Per combattere la mafia bisogna dare lavoro, perché la legalità ha un senso quando tutti sono messi in condizione di vivere dignitosamente. Quindi Roma perchè è il cuore del paese.
Da quanto tempo lavori nella scuola? Qual è la tua formazione?
Faccio parte del personale non docente della scuola, sono un assistente tecnico, ho un diploma dell’istituto professionale alberghiero e lavoro a scuola da 5 anni. Condivido insieme a molte altre persone il precariato e ora probabilmente la disoccupazione, troverò un altro lavoro da precario. In un certo senso la precarietà ti toglie proprio la gioia. La tragedia è questa, le leggi non sono fatte in funzione della vita, e la vita è fatta di emozioni, tra cui la gioia. Bisogna cambiare il governo, la classe politica.
Anche l’opposizione?
Parlo anche dell’opposizione, fatte le dovute eccezioni, perchè non sono tutti uguali. Onestamente però ci sono persone che farebbero bene ad andarsene. Il
processo di privatizzazione della scuola è iniziato all’epoca della riforma Berlinguer, questo governo l’ha semplicemente radicalizzato.
Che ricaduta hanno questi tagli nell’educazione dei bambini e dei ragazzi?
Quando si formano classi da trenta e passa alunni si obbliga l’insegnante a non ascoltare i bambini. E invece vanno ascoltati perché ogni bambino è un mondo
con una propria storia, famiglia e quartiere quindi ha potenzialità e caratteristiche diverse da tutti gli altri.
Qualche giorno fa avete scritto al ministro Gelmini per un incontro pubblico. Come pensi che andrà a finire?
Vogliamo un contradditorio con il ministro ma sappiamo che non lo avremo mai perché non è in grado di sostenerlo. La sua riforma è stata scritta dai tecnici del ministero e lei ci mette la faccia. La Gelmini è perfetta perchè non ha spessore culturale, non ha qualità. Io sono solidale con lei, ho un po’ di compassione perchè secondomenon si rende conto a cosa sta prestando la faccia. La riforma è stata fatta dal ministero dell’Economia e non ha nessun senso pedagogico.
Cosa chiedete al governo?
Chiediamo il ritiro della riforma, in alternativa anche le dimissioni del ministro dell’Istruzione ma anche dell’intero governo (ride, ndr). Speriamo almeno di creare una consapevolezza diffusa che ci permetta di scendere in piazza e riprendere il paese per mano perché ce n’è bisogno.
Quando terminerai lo sciopero della fame?
Non voglio interrompere lo sciopero perchè mi sento male o non perchè non ho più le forze. Voglio lasciare il testimone al coordinamento dei precari della scuola e della ricerca che organizzeranno a breve un’assemblea nazionale in previsione di mobilitazione comune. Bisogna superare le differenze tra le categorie lavorative e fare un fronte più unito possibile.


Fonte intervista 'Il Manifesto'

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L’autunno caldo degli insegnanti parte da Palermo



La scuola col segno meno di Cinzia Gubbini

giovedì 26 agosto 2010

L’autunno caldo degli insegnanti parte da Palermo di Giulia Pacifici

(vignetta Mauro Biani)
«Un incontro inutile». Questa la risposta lapidaria e amareggiata che da’ Silvia, precaria della scuola, quando le si chiede com’è andato l’incontro con il presidente della regione Sicilia, Raffaele Lombardo, che ieri mattina è andato a parlare con gli insegnanti precari in presidio permanente sotto i locali dell’ufficio scolastico provinciale di Palermo.
La protesta, iniziata il 13 agosto, non accenna a spegnersi anzi si radicalizza, tre insegnanti sono in sciopero della fame da più di una settimana. Un gesto estremo, «una forma di esasperazione,l’unico modo per farsi ascoltare dalle istituzioni – dice Silvia – quando ti licenziano le provi tutte, non hai molto da perdere».
Pietro Di Grusa (50 anni e collaboratore tecnico scolastico precario dal 1986) uno dei tre in sciopero della fame, è stato di nuovo colto da un malore ieri, dopo che già domenica scorsa era stato portato in ospedale. Lui, ostinato, appena dimesso era tornato al sit-in ed ora è a casa a rimettersi in sesto. Lo sciopero della fame è solo la punta dell’iceberg di una situazione drammatica: quest’anno in Sicilia perderanno il posto 6.000 lavoratori, 1.700 nella sola Palermo. A questi vanno aggiunti i 7.700 insegnanti licenziati nel 2009, che si ritrovano adesso senza ammortizzatori sociali, ovvero la possibilità di entrare in graduatoria grazie alle «Disposizioni urgenti per garantire la continuità del servizio scolastico». È il cosiddetto «decreto salvaprecari», il ministero dell’Istruzione fa sapere che ne sta elaborando uno anche per quest’anno. Il Miur, come il governo, parla di emergenze, va avanti per urgenze, senza un progetto che dia garanzie di continuità né a chi nella scuola ci lavora né a chi ci studia.
Sulla protesta dei precari siciliani il ministro Gelmini non ha speso neanche una parola intenta com’era a lodare il comportamento della Fiat di Marchionne.
«La legge 133 del 2008 – secondo il segretario della Flc Cgil di Palermo, Calogero Guzzetta – è la causa di tutti i mali». Non l’unica però, anche le sforbiciate di Tremonti hanno il loro peso: ammontano a circa 8 miliardi di euro i tagli nella scuola. «La scuola è comandata dal ministro dell’Economia» ironizza Silvia. Se la questione è nazionale, la regione Sicilia ha dei problemi peculiari. «Il presidente Lombardo ha appreso con stupore – dice Guzzetta – che la provincia di Milano ha il 99% di rientri a tempo pieno, mentre a Palermo non si arriva al 3%. Fin’ora non si era accorto – continua – della discriminazione nella ripartizione dei fondi e dei posti del personale fatta dal governo, di cui lui fa parte».
Oggi è in corso una protesta a piazza Politeama a Palermo mentre domani due precari saranno ricevuti dal ministero dell’Istruzione. Chiedono il ritiro dei tagli e il ripristino dell’organico. Sanno che non otterrano facilmente ciò che vogliono ma molti continuano a unirsi alla loro lotta: un nuovo presidio permanente è nato ieri a Benevento, di fronte alla scuola in disuso del capoluogo sannita. «Ci mobiliteremo, resisteremo e non molleremo», dice il vento del sud.

Fonte articolo 'Il Manifesto'

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La scuola col segno meno di Cinzia Gubbini

mercoledì 23 giugno 2010

GELMINI E LA MATURITÀ: Siamo soli nell’universo? di Alessandro Robecchi


Tema: siamo soli nell’universo? Svolgimento. Magari! E invece, porca miseria, c’è pure la Gelmini che ci dà ‘sti temi del menga. Cos’avranno pensato mezzo milione di giovani seduti ai banchi della maturità una volta lette le tracce? Come minimo che qualcuno ha sciolto dell’acido nei rubinetti del ministero. Prima, un’annata di bocciature senza precedenti, i cinque in condotta, gli scrutini severi. Poi, per i sopravvissuti, tracce al limite della follia. Prendete quella su Primo Levi. Interessante, per carità: se hai già fatto la tesi di laurea su Primo Levi potresti persino affrontare il tema di maturità con un certo successo. Ma andarsi a infilare nell’analisi delle letture di Levi senza aver letto quell’antologia (di cui la traccia è una prefazione) vuol dire rischiare di non uscirne vivi. Analisi del testo? Ibridismo? Ecco un modo interessante e ben congegnato per fingere di parlare di Primo Levi senza parlare di Primo Levi. Astuti come faine, eh!
Meno male che ci sono le foibe. Inteso come tema. Lì sì che si può far bene: un po’ di patriottismo, un po’ di nazionalismo, un po’ di comunisti cattivi, e il tema lo saprebbe fare pure Gasparri, se non fosse che va scritto in italiano. In ogni caso, mica semplice, perché dal trattato di Londra a quello di Osimo passano più o meno sessant’anni.
Che nei manuali di storia della quinta liceo (anche se non sono ancora quelli rielaborati da Dell’Utri) saranno sì e no undici righe. Uno dice: va bene, mi butto sulla ricerca della felicità. Bell’idea: nella traccia ci sono pezzi di Costituzione, quella americana, e addirittura quella italiana. E per la precisione l’articolo tre, quello con la faccenduola del tutti sono uguali davanti alla legge, ecc. ecc.. Svolgimento: marazza di imbecilli, siete gli stessi che hanno votato il Lodo Alfano e ci date un tema sull’articolo 3 della Costituzione? Volete prenderci per il culo? Svolgimento: sì.
Passiamo oltre. Il tema sui piaceri può intrigare un bel po’, devo dire che non è niente male. E poi, permette al candidato di sbizzarrirsi. D’Annunzio e Matisse, Picasso e Botticelli. Bello, c’è davvero tutto, anzi no. E Palazzo Grazioli? E Tarantini? E il più edonista di tutti, Silvietto nostro nel lettone di Putin? E le trecento professioniste del piacere al servizio della cricca degli appalti ce le vogliamo dimenticare? E i massaggi al Salaria Sport Village? Insomma, anche qui la traccia è insufficiente.
I piaceri da Botticelli a D’Annunzio non è male. Ma i piaceri da Tarantini a Bertolaso (passando per i bagni di Palazzo Grazioli) sarebbe stato meglio.
Insomma, sembra che ai giovani non ci pensi nessuno. Anzi sì, ci pensa la traccia quattro, quella che si intitola «Il ruolo dei giovani nella storia e nella politica, parlano i leader». Il primo leader che parla, questa è grossa, è Mussolini.
Alquanto bizzarro che il più feroce dittatore della nostra storia finisca in una traccia della maturità sottoforma di «leader». Le sue parole sono riportate
nella traccia: «Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda», diceva quel buontempone nel ’25. Profetico, perché il palo e la corda arrivarono vent’anni dopo, piazzale Loreto, Milano.
La traccia riporta anche frasi di Togliatti, Moro e Wojtila, ma resta il fatto: su giovani e politica non si è trovato niente di meglio del duce? Date retta, meglio buttarsi sulla musica, con tanto di citazione di Aristotele, uno che ha gli stessi anni dei Rolling Stones e quindi se ne intende. Oppure, per non rischiare, meglio affrontare il tema fantascientifico: siamo soli nell’universo? No, ma cazzo, era meglio di sì. Perché qui c’è la Gelmini, povera stella, una che teorizza la scuola selettiva e poi per passare un esame di stato ha dovuto emigrare da Brescia alla Calabria.
Bei temini, comunque. Con il duce, le foibe e – per gradire – imarziani. Magari arrivassero loro a liberarci da questi dilettanti, che se aspettiamo i partigiani – stavolta – altro che vent’anni!

Fonte articolo 'Il Manifesto'