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di 'Per quel che mi riguarda'
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martedì 29 marzo 2011

Bagnetto penale di Marco Travaglio

(vignetta Claudio Ruiu)
Uno legge il sito del Corriere: “B. in Tribunale, bagno di folla e ‘nuovo predellino’”. E si fa l’idea che una fiumana di fans abbia risposto alla cartolina precetto dei sottosegretari-badanti Santanchè e Mantovani per scortare il Cainano tra due ali di folla al processo Mediatrade. Poi, per fortuna, il sito del Fatto informa: 49 persone, in parte noti figuranti presi a nolo dal Biscione, hanno accolto il premier all’ingresso del Tribunale e all’uscita erano saliti addirittura a un centinaio. Compresi cronisti, fotografi, cameraman, curiosi e uomini della scorta che avvolgevano l’ometto con un modello portatile di giubbotto antiproiettile, anzi antisputo. E lui sul predellino a salutare i fotografi e i passanti. Più che un bagno di folla, un bagno penale. Anzi, un bagnetto. Non male, per uno che vanta una popolarità del 110 per cento. La verità è che si sta rapidamente estinguendo: evapora pezzo dopo pezzo. Sarà per quel malaugurato 17° anniversario della prima vittoria elettorale (28 marzo ‘94), ma non gliene va bene una. In famiglia l’hanno interdetto. Al governo è commissariato da Tremonti, Bossi, Maroni e La Russa. Alla Camera è ostaggio di Romano, Pionati e Scilipoti. Chiunque passi nei suoi dintorni è colto da sfighe bibliche. Persino Maldini, il calciatore, è finito a giudizio per corruzione. E la Merkel, che dire della povera Merkel? Sabato Frattini Dry sostiene di “avere delle idee” e per dimostrarlo annuncia a Repubblica un “piano italo-tedesco” per la Libia. Un’idea come un’altra, per carità. Il guaio è che la Germania non ne sa nulla: secondo Repubblica, “il piano Frattini imbarazza i tedeschi”. Anzi, “li spiazza”. Perché, molto semplicemente, non sono stati avvertiti. Infatti fanno sapere che loro parlano “con tutti i partner internazionali”. L’asse Roma-Berlino (Tokyo ha abbastanza guai per conto suo) è un’invenzione di F.F.: un asse del water (da cui gli “imbarazzi” di stomaco tedeschi). Ma basta la nomination frattiniana per condannare la Merkel a una disfatta elettorale mai vista. Pare che ora la cancelliera abbia pregato il governo italiano di non citarla mai più, se non per dichiarare guerra alla Germania. È gelosa di Sarkozy che – da quando B. e gli house organ bombardano la Francia e Ferrara minaccia di sganciarsi su Parigi come arma batteriologica – si sta riscattando in Libia: la rivolta con le bandiere francesi va a gonfie vele, anche perché B. sta di nuovo con Gheddafi. Terrore invece a Lampedusa: si mormora che, non bastando i disastri combinati da Maroni e Frattini Dry, voglia occuparsene direttamente B. Che, nell’attesa, manda avanti la Michela Vittoria Brambilla per lanciare dalle colonne del Giornale “un ultimatum alla Tunisia”: “Basta sbarchi”. Già ci pare di sentire la risposta dei tunisini terrorizzati: “Se no?”. Se no – avverte la triglia salmonata – “si arresterà qualunque tipo di promozione del turismo in Tunisia da parte nostra”. Mecojoni, se dice a Roma. Anche il Giornale di Olindo Sallusti dà il suo contributo: rivela che i profughi sono “clandestini radical chic” e “griffati”: uno porta “il cappellino Adidas” e in un servizio di Annozero si scorge addirittura “un paio di scarpe che potrebbero essere Nike”. Ergo, bando alle ciance: questi sono ricchi sfondati (e pure “poligami”, denuncia la Maglie), ma si travestono da disperati per dar noia al governo. Dunque – spiega sempre il Giornale di zio Tibia – “la strada non può che essere quella che aveva ispirato la proposta fatta da Berlusconi, Bossi e dallo stesso Tremonti anni fa”. Una proposta preveggente, visto che fu lanciata “anni fa”, prima delle rivolte in Nordafrica: “Destinare una quota dell’Iva, via volontariato, per aiutare’ chi viene da quei paesi, ma ‘in casa loro’...”. In una parola: “Sussidiarietà internazionale”. Nessuno sa che diavolo significhi “destinare una quota dell’Iva via volontariato”, ma fa lo stesso. A Lampedusa c’è la guerra civile e il governo fa la supercazzola.

fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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martedì 1 marzo 2011

REPLICHE FINALI di Ida Dominijanni

(vignetta Mauro Biani)
Qualunque attore di prima o di quarta categoria, a un certo punto, cambia copione. Qualunque comico cambia barzelletta, qualunque cantante cambia ritornello. Sanno, tutti, che altrimenti il pubblico si stanca. Berlusconi no. Perché per quanto ci provi, non è né un attore né un barzellettiere né uno chansonnier. E’ un pubblicitario, e la regola della pubblicità è una sola: ripetere, ripetere, ripetere.
Dev’essere per questo che giusto al culmine della sua vulnerabilità, mentre infila il tunnel di una sequenza processuale decisiva per la sostanza e per l’immagine della sua persona e del suo potere, invece di imporsi cautela spara a mitragliate l’intero repertorio del suo sovversivismo costituzionale, arricchito per l’occasione da uno sfregio a Napolitano e al suo «enorme e puntiglioso staff». Conosciamo lo spot, già andato in onda con regolarità questa sì puntigliosa a ogni tornante degli «scandali» degli ultimi anni: per colpa della Costituzione e dei suoi garanti, capo dello Stato e Consulta, in Italia tutto il potere è in mano al parlamento, che è un’accozzaglia di nullafacenti, e alla magistratura, che è un’accozzaglia di psicopatici. Governo e presidente del consiglio, invece, non ne hanno alcuno. Vorrebbero fare ma non possono. Vorrebbero correre ma vengono continuamente intrappolati dalla congiura dei vincoli procedurali:
fai una legge e lo staff del Quirinale ti fa le pulci, la rifai e te la boccia una Camera, la rifai e te la blocca di nuovo il Quirinale, riesci a farla finalmente approvare e te la boccia la magistratura appellandosi alla consulta. Povero premier:
lacci e lacciuoli, e cavilli legali, identici a quelli che gravano sulle sue gesta imprenditoriali martoriate dai processi Mediatrade e Mills. Il governo come l’azienda, non fa differenza in una concezione del potere come arbitrio assoluto, dove le regole sono un impiccio e la Costituzione un impaccio.
Più difficile, a rigore di logica politica, è capire dove Berlusconi voglia arrivare alzando di giorno in giorno l’asticella dello scontro istituzionale. Uno spot nuovo, che va in onda da qualche giorno, lo mostra sicuro di poter finalmente riformare tutto, giustizia e assetto dei poteri, una volta libero da quella zavorra che si chiamava Fini. Ma anche questo spot è truccato, perché Berlusconi non può non essersi accorto che la Costituzione e i suoi organi di garanzia hanno retto per diciassette anni ai suoi reiterati assalti e reggeranno ancora. Così come è truccato il suo attacco alla scuola pubblica, non perché il suo governo non l’abbia effettivamente distrutta, ma perché in quest’ultima circostanza è platealmente volto alla ricerca di indulgenze vaticane per i suoi peccati. Dunque non c’è nessun respiro strategico in questa ennesima campagna pubblicitaria: c’è solo il disperato tentativo di arroccarsi, ironia della storia, sullo slogan del nemico principale del Cavaliere degli esordi: resistere, resistere, resistere. Tanto più se lo spot va in onda a Milano. Dove a maggio si vota, e per il presidente del Milan tutto è concepibile, ma non l’ipotesi di una sconfitta in casa. Sarà per questo che dallo stesso palco da cui attacca il Quirinale invita i suoi militanti a un bel bunga bunga, «quattro salti e quattro chiacchiere in allegria»: a Milano il tribunale va disertato, ma la piazza è ancora quella decisiva per saggiare la tenuta dell’incanto populista.

fonte articolo 'Il Manifesto'
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