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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 26 novembre 2010

Riforma Gelmini - Prendere o lasciare di Marco Bascetta

Equilibrismi politici e vittime della crisi

Due mondi paralleli. Quello delle schermaglie parlamentari, dell’estenuante pingpong degli emendamenti, dei piccoli e dei grandi ricatti, dei conigli finanziari che appaiono e scompaiono vorticosamente nel cilindro di Tremonti, degli schieramenti che si misurano e si scrutano guardando alla geografia immaginaria degli equilibri futuri. E quello delle università occupate, degli studenti e dei precari in corteo in numerose città italiane, di una compagine eterogenea e numerosa
di soggetti sociali colpiti dalla crisi e dalle ricette che pretendono di curarla.
Sempre meno rassegnati a subirne la violenza, sempre meno inclini a cibarsi di promesse. Non è più tempo di cullarsi nel separatismo benintenzionato degli altri mondi possibili, di testimoniare su scala ridotta le possibili virtù dei rapporti sociali liberati. L’assedio dell’altro ieri a palazzo Madama chiarisce, almeno sul piano simbolico, che per due mondi paralleli non c’è più spazio, che le forme della democrazia vengono quotidianamente svuotate dal procedere della crisi e da un conflitto di interessi che non è quello che oppone Berlusconi e il suo impero ai doveri del buon governo, ma i profitti ai salari, la rendita finanziaria all’indigenza del precariato, la proiezione verso il futuro alla conservazione dei privilegi, il bene comune all’appropriazione privata, la libertà del sapere al suo asservimento. L’irriformabile riforma Gelmini e l’opposizione tenace che la osteggia mettono egregiamente in scena tutto questo. Non ci sono spazi per accorte mediazioni: prendere o lasciare. La maestrina con la sua bacchetta e i suoi consulenti (miracolosamente sopravvissuti a decenni di fandonie e fallimenti) si trovano su un fronte ben più grande della loro misera statura. Per questo non si può indietreggiare di un passo. Per questo o si sta dalla parte degli studenti in lotta, fino in fondo, senza distinzioni, timidezze e opportunismi, problemi di galateo e di buone maniere, o si sta dalla parte di un governo ultraliberista e autoritario, cui non potrà che seguire un altro governo ultraliberista e autoritario.
Nello smottamento generale del quadro politico italiano il conclave delle alchimie parlamentari può essere scoperchiato, i movimenti possono tornare a fare paura, il tumulto a destabilizzare la tranquilla certezza di autoconservazione del ceto politico nel gioco spregiudicato di infinite ricombinazioni. Che questo è il nodo che da anni ci stringe alla gola: i poteri politici, speculativi, aziendali dominanti non hanno più avuto paura di nulla. Né dell’opposizione politica e sindacale, né dell’indignazione dei cittadini, né del ridicolo, della ragione o della verità.
Questo ha prodotto la tracotanza dei Brunetta, delle Marcegaglia, dei Marchionne, dei Sacconi, delle Gelmini, dei Tremonti, dei sindaci- sceriffi, delle banche. Mentre dall’altra parte dominava invece la paura tra i lavoratori precari, i giovani senza futuro, i salariati senza certezze, tra i cittadini esposti alla devastazione del territorio, tra i migranti braccati dai leghisti. Esposti a ogni genere di ricatto, costretti a subire e subire.
Questo quadro desolante sta cominciando a essere rovesciato dall’insorgere di una democrazia che reagisce e combatte? Non solo in Italia, ma anche nella Francia di
Sarkozy o nel Regno unito dei Tory e del fedifrago Clegg? Probabilmente è ancora presto per dirlo, ma non ci vorrà molto per trovare qualche conferma.
E forse proprio nel nostro paese che, nel bene e nel male, è sempre stato prodigo di sorprese. L’affollata galleria degli spettri non si esaurisce con gli anni ’70. Qualcos’altro si accinge a turbare il sonno della politica.


Fonte articolo e vignetta 'Il Manifesto'
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link collegati:

Lettera al ministro Gelmini: 'Perché dovremmo essere contenti?' di Giuseppe Caliceti



La Scuola nemica di Alba Sasso

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