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di 'Per quel che mi riguarda'

domenica 2 maggio 2010

«Cucchi ucciso dai medici» di Cinzia Gubbini

Accuse più pesanti per i medici, un sostanziale scagionamento
delle guardie penitenziarie, e l’aggiunta di quattro indagati: tre infermieri dell’ospedale romano e un funzionario del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap). Ieri i pm Vincenzo Barba e Francesca Loy hanno chiuso l’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra 31enne che morì nella notte tra il 21 e il 22 ottobre nel reparto di medicina protetta del nososcomio romano. Quella di Stefano è una storia incredibile, che ha fatto il giro del mondo, e che è diventata l’emblema della condizione spesso disumana in cui si trovano impigliati i detenuti italiani, anche quando lasciano le sbarre del carcere «formale ». Le conclusioni della Procura tracciano un quadro chiaro: secondo i pm Stefano è stato ucciso dai medici e dagli infermieri del Pertini, che si sono rifiutati di fornirgli le cure di cui aveva bisogno. Persino di dargli un po’ di zucchero sciolto nell’acqua che, scrivono i pm nell’avviso inviato agli indagati, avrebbe potuto «evitare il decesso».
Persino di tastargli il polso, persino di ordinare esami come quelli per il controllo della glicemia e degli elttroliti nonostante venissero disposti prelievi del sangue quotidiani.
«E’ una ricostruzione allucinante, che ricorda la detenzione degli internati nei campi di concentramento», il commento del legale di parte civile Fabio Anselmo, che ha voluto ringraziare la Procura per «il grande lavoro fatto». Medici e infermieri - «new entry» dell’indagine - dovranno rispondere non di omicido colposo (l’ipotesi di reato inzialmente contestata ai sanitari) ma di abbandono di incapace con morte conseguente. Un’accusa decisamente
più pesante del reato iniziale, come ha voluto sottolineare il procuratore capo di Roma Giovanni Ferrara: «E’ una contestazione che viene giudicata in Corte d’Assise, prevedendo una pena massima fino a otto anni» (con il colposo se ne rischiano cinque). Il primario del Pertini Aldo Fierro e la dottoressa Stefania Corbi - di turno il giorno prima della morte del giovane - dovranno rispondere anche di omissione di atti di ufficio per non aver spedito la lettera al magistrato che avevano predisposto visto l’aggravarsi delle condizioni di Stefano e la sua opposizione a sottoporsi a tutte le cure. Ma non solo: la dottoressa che ha compilato il referto di morte del ragazzo dovrà rispondere di falso ideologico per aver scritto che Stefano è deceduto di «morte naturale», pur conoscendo i traumi che aveva subito. Per medici e infermieri, infine, c’è l’accusa di favoreggiamento nei confronti della polizia penitenziaria, avendo il loro atteggiamento reticente - nessuno ha mai pensato di denunciare che il ragazzo aveva probabilmente subito un pestaggio - di fatto intralciato le indagini.
Il personale sanitario del Pertini, insomma, dovrà rispondere di una lunga catena di reati. Tuttavia la verità dei pm traccia un confine netto tra ciò che è accaduto a Stefano prima di entrare al Pertini e l’inferno dei quattro giorni di ricovero. Alle tre guardie carcerarie - Nicola Menichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici - inchiodati da due testimoni già ascoltati in incidente probatorio e accusati di averlo pestato nelle aule del Tribunale non viene più contestato l’omicidio preterintenzionale ma il ben più lieve reato di lesioni personali gravi e abuso di potere. Eppure a leggere la quantità di lesioni che quei due minuti di pestaggio avrebbero causato al ragazzo - dal politraumatismo alla colonna vertebrale alle ecchimosi sul volto, alle escoriazioni alla mano e sul ginocchio - risulta difficile separare la morte di Stefano dai traumi subiti. Ma non solo: alle guardie penitenziarie viene contestato di averlo picchiato per farlo desistere «dalle reiterate richieste di farmaci e dalle continue lamentele». Perché si lamentava Stefano se non aveva ancora subito alcun pestaggio? E’ una domanda che non trova risposta nella stringata ricostruzione degli eventi che emerge dal dispositivo di chiusura delle indagini. Ma che difficilmente emergerà anche nel corso del processo, visto che secondo la Procura nulla si può contestare ai carabinieri che arrestarono Stefano il 15 ottobre e lo ebbero in custodia la prima notte. Non hanno avuto alcun seguito né la lettera scritta dal detenuto che ha diviso la cella con Stefano al Regina Coeli, né la testimonianza resa dai due cittadini rumeni che lo incontrarono la mattina del processo: secondo tutti e tre i testimoni il ragazzo era già dolorante, e raccontò di aver subìto un pestaggio in caserma.
Liberi dunque da qualsiasi preoccupazione i carabinieri. Entra invece nell’indagine Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio detenuti e trattamento del Prap, che insieme alla dottoressa del Pertini Rosita Caponetti - il medico di guardia all’ingresso di Cucchi al Pertini - sono accusati di falso ideologico e abuso di ufficio. Marchiandi è il dirigente protagonista di uno dei passaggi più strani della vicenda. Si recò quel sabato pomeriggio alle 18, quando il suo ufficio era ormai chiuso da quattro ore, inforcando la sua motocicletta («mi trovavo a passare di lì perché dovevo andare a cena sulla Tiburtina», la testimonianza resa davanti la Commissione sul servizio sanitario del Senato) per permettere il ricovero di Stefano al Pertini. A Caponetti viene contestato di aver compilato un referto falso scrivendo che il ragazzo era in uno «stato discreto»: permettendo così che potesse essere ricoverato al Pertini, dove invece non dovrebbero ricevere cure persone «in situazioni cliniche di acuzie». Come quella di Stefano.

Fonte articolo 'Il Manifesto'

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2 commenti:

  1. Tutti vogliamo giustizia quando accadono certe cose, le indagini giudiziarie sono una cosa, uelle giornalistiche un altra.
    Riporto tutto quello che non è stato detto all'oppinione pubblica sulle condizioni del povero Cucchi, forse è bene ch si sappia anche questo, sono notizie vere in possesso anche delle autorità,.
    Il racconto dei fatti e
    degli sciagurati accadimenti che hanno riguardato Stefano Cucchi non
    possono prescindere, per onestà intellettuale e deontologica di chi ha il dovere
    di indagare sulla vicenda dal punto di vista parlamentare, amministrativo,
    politico o giornalistico di evidenziare, con la stessa rilevanza di altri aspetti,
    che il giovane Cucchi era dedito allo spaccio di stupefacenti, vittima della
    droga lui stesso, soggetto a episodi di epilessia, dal carattere difficile (fino al
    punto di avere problemi relazionali con gli stessi familiari) e che entrava ed
    usciva dagli ospedali, spesso a seguito di eventi traumatici".
    "Con grande rammarico ci siamo resi conto, invece, che dalle cronache
    giornalistiche è completamente sparito ogni riferimento ai problemi giudiziari
    e di tossicodipendenza del ragazzo che, pian piano è diventato soltanto il
    geometra Cucchi", prosegue il segretario del SAPPE, per il quale "è
    indispensabile che vengano raccontati tutti gli aspetti della vita di Stefano
    Cucchi, non per morbosità o per disonorare il ricordo dello sfortunato
    ragazzo, perché essenziali per la ricostruzione di quanto accaduto il 16 ottobre
    al fine di evitare che vengano attribuite ingiuste responsabilità a chi ha
    solamente adempiuto al proprio dovere. Questo non è stato fatto dal senatore
    Marino che ha omesso di informare l'opinione pubblica di elementi
    fondamentali in questa vicenda".
    "Ci si riferisce, in particolare, al fatto che Stefano Cucchi, negli ultimi nove
    anni, recatosi al pronto soccorso per ben 17 volte gli sono stati prescritti
    ricoveri ospedalieri, dettagliatamente descritti da pagina 28 a pagina 37 della
    perizia consegnata dai consulenti del pubblico ministero quasi tutti a seguito
    di eventi traumatici quali cadute dalle scale, risse o aggressioni. Ci si riferisce,
    ancora più in particolare, al fatto che appena quindici giorni prima lo stesso
    Cucchi era stato ricoverato al pronto soccorso per numerosi traumi contusivi
    subiti (a suo dire) a seguito di un presunto incidente stradale".
    "Come abbiamo sempre sottolineato fin dall'inizio di questa vicenda abbiamo
    piena fiducia nell'operato della magistratura. Soprattutto, riteniamo
    importante il lavoro della magistratura, al fine di individuare se ci sono
    responsabili della morte di Stefano Cucchi. Nessuno - conclude Capece - ha
    bisogno di un colpevole a tutti costi, questo non gioverebbe a nessuno, né ai
    familiari, né alle istituzioni e all'opinione pubblica, né, tanto meno, a coloro
    che ingiustamente potrebbero essere ritenuti responsabili di fatti che non
    hanno mai commesso".

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  2. Le accuse sono precise: favoreggiamento e abbandono di incapace con l’aggravante di averne provocato la morte, abuso di ufficio e falso ideologico. Tredici le persone coinvolte che finiranno sotto processo tra personale medico e paramedico, secondini e un dirigente dell’amministrazione penitenziaria. I colpevoli DEVONO pagare. Punto!

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