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di 'Per quel che mi riguarda'

lunedì 23 novembre 2009

Cucchi, parla la sorella: «Quel muro di silenzi sulla morte di Stefano» di Roberto Suozzi

«Per noi la morte di Stefano è stata un fulmine a ciel sereno. È giunta in maniera inaspettata, sconvolgente e fatico ancora adesso a credere che sia successa davvero. La cosa che ci ha sconvolto di più è stato il muro di silenzi che c’è stato sin dal primo momento».
Ilaria Cucchi combatte con gran sofferenza la battaglia per accertare la verità sulla morte del fratello. Così commenta l’audizione del testimone durante l’incidente probatorio:
«Un dolore che si rinnova. La disperazione di sentire la sofferenza di Stefano attraverso le parole del testimone».
I silenzi da parte di chi?
Anzitutto,mentre Stefano era ricoverato, da parte di chi avrebbe dovuto darci notizie sul suo stato di salute ma non l’ha fatto. E successivamente da parte delle istituzioni, per cui noi – ad oggi – ancora non sappiamo esattamente perché è morto Stefano.
La sanità pubblica dovrebbe garantire il diritto alla salute, specie con una persona inerme bisognosa di cure, di umanità...
Nella vicenda di Stefano, l’umanità è proprio quello che è mancato. A lui sono stati negati tutti i diritti fondamentali dell’essere umano: il diritto alla difesa, quelli del malato, di essere assistito dai propri cari in fin di vita. È mancata anche nei confronti dei familiari, che non erano stati avvisati della gravità della situazione. Anzi, ci era stato detto che il ragazzo era «tranquillo». Oggi quel «tranquillo» io lo traduco in «agonizzante».
Chi ha detto che era tranquillo?
Un agente della polizia penitenziaria, quando ci raccontavano che non potevamo parlare coi medici perché non era arrivato un permesso da parte del carcere.
Cosa vi hanno detto imedici, siete riusciti a parlarci?
In nessuna circostanza, se non dopo la morte di Stefano. Né io, né imiei genitori, abbiamo potuto mai avvicinare i medici, perché «non era arrivato il permesso». Si sono fatti vedere solo dopo il suo decesso, quando siamo andati a chiedere spiegazioni.
Voi non avete nascosto un problema che molti tendono a occultare: la tossicodipendenza.
No, non l’abbiamo mai nascosto perché questa era la realtà. Stefano era uscito da un percorso molto difficile in una comunità e sembrava star bene. Purtroppo adesso possiamo immaginare che avesse ricominciato a drogarsi. Ma non è questo che lo ha portato alla morte. Noi non vogliamo nascondere nulla, anche perché qualunque informazione che siamo in grado di dare può essere un elemento importante per le indagini.
Vi siete rivolti alle istituzioni con una lettera in cui chiedete soprattutto
trasparenza, tutela della democrazia e il diritto alla dignità della persona.

Esatto. In uno stato democratico, di diritto, tutto questo non dovrebbe succedere. Ma ripeto: nel momento in cui accade, bisogna che qualcuno si assuma le proprie responsabilità. E che alla famiglia venga detto in maniera completa quello che è successo al proprio figlio.
Quello di Stefano non è purtroppo un caso isolato.
La maggior parte delle guardie carcerarie fa il proprio lavoro in maniera seria, dignitosa. La nostra intenzione non è una lotta cieca contro lo Stato. È la richiesta di individuazione delle responsabilità dei singoli.
Come può una «giustizia eguale per tutti» produrre un sistema carcerario così inumano?
Qui di inumano c’è anche il reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini. La mancanza di umanità c’è stata ovunque nel caso di mio fratello. Gli è stato fatto del
male dal punto di vista fisico ma soprattutto morale; è stato lasciato morire lentamente, in solitudine. Questa è la cosa che, al di là di tutto, fa più male. Solo e probabilmente con la sensazione di abbandono. Lui non poteva sapere che noi eravamo là fuori a chiedere sue notizie. E quindi sarà morto domandandosi perché nessuno andava a trovarlo.
Qual è, per te, il dovere di uno stato democratico nei confronti di tutti i suoi cittadini, soprattutto di quelli «sotto tutela»?
Sicuramente chi commette reati va punito, ma anche tutelato. Lo Stato, nel momento in cui prende in consegna una persona, deve garantirne l’incolumità. Se mio fratello
in qualche modo ha sbagliato doveva essere punito, ma non certo con la vita.
Cosa avete intuito in tutta questa storia, almeno finora?Innanzitutto trovo vergognoso lo scaricabarile che c’è stato fin dal primo istante. Mio fratello è uscito da casa con le proprie gambe e in normali condizioni di salute,
e ci è stato restituito morto dopo sei giorni, in quelle condizioni disumane. Però sembra che nessuno ha fatto niente, nessuno sa niente e non ci si dà un perché. Questo io lo trovo vergognoso. Ho apprezzato molto la solidarietà di tante persone, dalla gente comune fino ai politici di entrambi gli schieramenti e a voi dei mezzi di
informazione. È stata costituita anche una commissione di 12 parlamentari di entrambi gli schieramenti, su iniziativa di Luigi Manconi.
Ma se i media non avessero alzato i riflettori la storia sarebbe caduta nel vuoto, com’è successo in tanti altri casi. Mi auguro che siano individuati tutti – e dico tutti – i colpevoli. E che vengano puniti adeguatamente. Noi vogliamo dare una dignità alla sua morte, e soprattutto vogliamo evitare che altri possano passare quello che ha passato lui. Stefano non deve essere né un eroe né un modello da seguire. Deve però essere fatta chiarezza sulla sua morte. Non aveva fatto niente per meritarsi questo.

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