
Sono tre gli elementi fondamentali sulla morte di Stefano che emergono dalla relazione: la disidratazione, dovuta alla sua opposizione ad assumere cibo, acqua e cure perché voleva parlare con un avvocato. In sei giorni perderà 10 chili. In Senato il ministro della Giustizia Alfano disse che Stefano aveva addirittura bevuto succhi di frutta: «Qualunque cosa abbia bevuto - si limita a commentare Marino - non è stata somministrata in modo sufficiente». Ci sono poi le fratture, considerate recenti e dovute a colpi inferti. E, infine, l’ora della morte che secondo i periti della Commissione è avvenuta intorno alle 3 di notte. La dice lunga sullo scarso monitoraggio del paziente avvenuto al Pertini: la rianimazione, secondo il diario infermieristico, è avvenuta solo alle 6. Stefano era morto da tre ore e nessuno se ne era accorto. Particolare che potrebbe portare ad aggiungere un’accusa di falso alla non facile posizione dei medici: in sei sono indagati per omicidio colposo, compreso il primario del Pertini.
Indagate anche tre guardie carcerarie per omicidio preterintenzionale. Ma l’indagine della Commissione del Senato - che ha ascoltato tutti i testimoni in 40 udienze - mette in luce anche altri aspetti, minori ma non meno interessanti.
Emerge ad esempio che il ricovero del trentenne nel reparto dell’ospedale carcerario è stato adottato «con una procedura del tutto anomala»: il ricovero, infatti, è stato formalizzato direttamente al Pertini dopo un nulla osta dato da un dirigente del ministero della Giustizia che era fuori servizio e «si è reso disponibile in via del tutto eccezionale», tanto che in sede di audizione è stato affermato che «non ci sono precedenti di questo tipo». Cosa vuol dire? Che le difficoltà organizzative dell’amministrazione penitenziaria, secondo la Commissione, prevalgono sulla valutazione di ciò che sarebbe meglio per il detenuto: si usa il «repartino», che non è attrezzato per le emergenze, perché lì non servono piantoni. Ma potrebbe anche evidenziare che qualcuno voleva a tutti i costi posizionare un detenuto pesto in quella struttura piuttosto che in un «normale» ospedale.
Si scopre, inoltre, che l’ortopedico non era presente al pronto soccorso del Fatebenefratelli, ma viene consultato telefonicamente. Si sottolinea - cosa già nota - che tra l’ingresso in carcere e la prima visita al pronto soccorso (quella in cui
Stefano rifiuta il ricovero e passa la notte in cella) passano 4 ore, nonostante le due strutture si trovino vicinissime. E ancora: è sparita la cartella clinica di accompagnamento dal carcere al Fatebenefratelli.
Si fa notare che il primario del Pertini non ha mai visitato Stefano, e che il 21 ottobre quando il livello di azotemia raggiunge il punto di massima criticità non viene predisposto alcun «monitoraggio continuo delle condizioni del paziente».
«Abbiamo restituito dignità al cittadino Stefano Cucchi - ha detto la senatrice Soliani - a cui è stato persino impedito di parlare con un famigliare, con un avvocato o con qualcuno di sua fiducia». Proprio questo punto è uno di quelli che la Commissione chiede alla Procura di chiarire: chi abbia la responsabilità di non aver dato corso alle richieste di colloquio lasciando così il paziente «in una condizione psicologica che ha certamente influito sulle cure».
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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