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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 3 novembre 2009

STEFANO E LA FINE DELLA PIETÀ di Maurizio Chierici

(vignetta Bandanas)
Chi finisce in prigione non é uguale davanti alla legge: dipende dalle amicizie. Stefano Cucchi non contava niente, famiglia come tante: affetti e preoccupazioni, nessun doppiopetto o porte importanti alle quali bussare. Per due grammi di marijuana è morto nelle stanze dove si amministra la giustizia. Ma é l’agonia dei genitori la vergogna difficile da perdonare, quell’impossibilità di incontrare il ragazzo sepolto nei labirinti della burocrazia in una solitudine che negava i diritti garantiti in ogni paese normale a cittadini considerati non colpevoli prima della condanna. Era uscito di casa per una notte più o meno brava per tornare libero nella cassa da morto. Siamo un paese senza pietà ? Siamo un paese dalle pietà graduate: la pietà dovuta a chi vive nella luce dei poteri al potere, e la non pietà per i senza nome. Treno Italia: prima classe, seconda classe, carro bestiame. Ecco un esempio delle disuguaglianze alle quali obbligano le riconoscenze. Dopo anni di fughe procedurali, scuse e rinvii, l’onorevole Cesare Previti va in tribunale e da una corte all’altra arriva la condanna: 6 anni di galera per corruzione nell’intrigo Imi-Sir, 29 aprile 2003. Ma gli amici che gli dovevano tante cose riescono a dribblare la giustizia, leggina Cirielli approvata col fiatone pur di svuotare la sentenza della Cassazione. Per chi ha compiuto 70 anni, carcere addio. L’onorevole resta a Rebibbia più o meno gli stessi giorni che hanno inghiottito Stefano Cucchi. Sono proprio questi giorni a far capire com’è diversa la valutazione tra la grande truffa e due grammi di droga. Stefano diventa subito invisibile, irraggiungibile, cancellato, mentre appena Previti mette i piedi in cella cominciano i ricevimenti: Renato Schifani, Sandro Bondi, Daniela Santaché portano i saluti del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che arriva per ultimo nella visita di conforto al povero amico travolto dell’errore giudiziario. Anche in galera le chiacchiere degli onorevoli non contano i minuti che stringono la visita di una padre qualsiasi al quale anche pochi minuti sono stati negati. Non è solo il privilegio di un avvocato d’affari: la zona grigia che avvolge gli inconsapevoli perbene è abituata a rasserenare chi galleggia sopra la legge. Nel 1982 il ricercato Licio Gelli, maestro della loggia P2, cade in trappola a Ginevra. Inutile la prigione di massima sicurezza: riscappa per consegnarsi ai gendarmi appena i suoi avvocati concordano l’estradizione in Italia tagliando un po’ di processi dei quali è protagonista. Strage di Bologna, tanto per dire. Ma un venerabile non può finire in una prigione qualsiasi. E la Certosa di Parma si trasforma in camera d’albergo telesorvegliata, pranzo e cena dal ristorante più goloso, insomma privilegi riservati a chi ha passato a fil di spada ministri e protagonisti della storia: Berlusconi o Cicchitto, i primi nomi che vengono in mente. Impossibile lasciarlo dietro le sbarre. Consulto fra luminari della medicina: “cuore gravemente malato, lasciatelo morire a casa”. 35 anni dopo, salute di ferro, ma nessuno osa sfiorare Gelli. I suoi segreti possono travolgere i governi. Povero Stefano morto perché senza segreti da vendere.

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