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di 'Per quel che mi riguarda'

sabato 21 agosto 2010

Invito a cena con relitto di Marco Travaglio

Commentando nel 2004 la vittoriosa campagna elettorale di Bush contro lo sbiadito Kerry, l’ex direttore dell’Espresso Claudio Rinaldi dava qualche suggerimento di buonsenso al centrosinistra italiano. “Se la destra – scriveva in uno strepitoso articolo, poi raccolto nel libro “I sinistrati” (Laterza,2006) – cerca sempre di collocarsi agli antipodi della sinistra, questa esita a tracciare un confine chiaro fra sé e gli avversari”. E ne traeva tre “lezioni americane” per l’Ulivo.

1) “In un sistema a due, occorre possedere un’identità forte”.

2) “Non bisogna aver paura di strapazzare l’avversario”, invece il centrosinistra nostrano “si lascia paralizzare dall’accusa di antiberlusconismo. Ma è un’accusa stupida, giacchè il compito di qualsiasi opposizione è opporsi con argomenti comprensibili ed efficaci”, “posizioni nette e semplici”, “pochi slogan di facile presa”, alla larga da “blabla noiosi”, “programmi troppo dettagliati e illeggibili” e “sottigliezze e sfumature” politichesi.

3) “Gli eccessi di cordialità con l’avversario vanno evitati. Bush non farebbe mai intervenire Kerry alle proprie manifestazioni di partito, e nemmeno Kerry ospiterebbe mai Bush. Chi indulge a simili cortesie ottiene soltanto il risultato di disorientare e demotivare i propri elettori, dando loro l’impressione che la concorrenza non sia affatto male”. Ora, non solo i leader del Pd non hanno mai seguito (e probabilmente nemmeno letto) i consigli di Rinaldi, ma hanno sempre fatto l’esatto opposto.

Nell’ultimo mese, nella politica italiana, è accaduto di tutto: più che negli ultimi 15 anni. Infatti tutti i soggetti in campo e fuori si sono mossi e posizionati: Pdl, Fini, Schifani, Napolitano, Lega, Udc, Di Pietro, Vendola, Montezemolo, Passera. Tutti, tranne il Pd. Quando i giornalisti cercano un leader del Pd per raccoglierne le posizioni e le intenzioni, s’imbattono in segreterie telefoniche dagli accenti esotici. Le ultime dichiarazioni degne di nota di Bersani erano la leggendaria apertura a un governo Tremonti seguita da una smentita a sua volta smentita dal vicesegretario Letta (Enrico, non Gianni, che Tremonti lo odia) e il fantasmagorico “Pretendiamo che Berlusconi riferisca in Parlamento e ci dica cosa intende fare”. Parole forti. Poi il segretario s’è dato, forse opportunamente, alla clandestinità. Non pervenuto dall’11 agosto fino a ieri. Si ignora se sia stata sua la pensata di invitare alla festa nazionale del Pd a Torino i ministri Tremonti, Maroni, Calderoli e naturalmente l’insigne Schifani. Fatto sta che i primi tre, dopo aver accettato, hanno fatto retromarcia per solidarietà col governatore leghista Cota, che secondo il Pd avrebbe vinto le elezioni con vari trucchi e imbrogli, quindi la sua presenza alla festa del Pd è parsa eccessiva persino al Pd. Ma non al sindaco Sergio Chiamparino. Reduce dai disastri combinati con la fondazione San Paolo (alleanza con la Lega e con Tremonti per nominare al vertice un amico della Lega e di Tremonti) e con un gruppo di rifugiati somali, questa giovane promessa del Pd – ha appena 62 anni e fa politica solo da 40 – s’è infuriato per l’esclusione di Cota. E, anziché felicitarsi per lo scampato pericolo e pregare il cielo che si ritiri anche Schifani, si è molto rammaricato per il no di Maroni, Calderoli e Tremonti, anche perché con Maroni doveva presentare il suo libro pubblicato da Einaudi (cioè da B.). “La festa del partito – spiega il sindaco Gianduja – è sempre stata un momento di dibattito con gli esterni”, mentre escludendo l’autorevole Cota “si viola il galateo”. Un tal Merlo aggiunge in gramaglie che “ora la festa, da nobile confronto, si trasformerà in propaganda politica”. E non sia mai che, all’inizio di un’infuocata stagione pre-elettorale, il Pd faccia un po’ di propaganda a se stesso, anziché ai peggiori arnesi del governo avversario. Resta da capire quando mai i leader del Pd siano stati invitati alle convention del Pdl o alle adunate celtiche di Pontida. Infatti la Lega e il Pdl vincono sempre, i Perditori Democratici mai. Sarà una combinazione.


Fonte articolo e vignetta 'Il Fatto Quotidiano'


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