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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 30 luglio 2010

Le prove di WikiLeaks di Giuliana Sgrena

(vignetta Mauro Biani)
"Il caso Calipari è stato insabbiato in nome della «ragion di stato". Lo abbiamo più volte denunciato in base a indizi, ma ora sono arrivate le prove. A fornirle è uno dei 92 mila file segreti rivelati da WikiLeaks sulla guerra sporca degli americani e dei loro alleati in Afghanistan, ma anche in Iraq. Questo documento, che risale al 9 aprile del 2007, rivela le pressioni dell’allora vicesegretario di stato John Negroponte, già ambasciatore Usa a Baghdad (lo era anche il 4 marzo del 2005 quando morì Calipari) nei confronti del governo Prodi attraverso l’ambasciatore italiano a Washington, Giovanni Castellaneta. Un anno prima, nel giugno del 2006, il caso Calipari era già stato uno degli argomenti discussi dal ministro degli esteri D’Alema durante una cena con la segretaria di stato Condoleezza Rice.
Ma le pressioni Usa si accentuano nel momento in cui comincia il processo contro Mario Lozano (contumace), rinviato a giudizio per omicidio volontario politico di Nicola Calipari e tentato omicidio volontario di Andrea Carpani (altro agente Sismi) e mio. «Un processo in contumacia è un messaggio orribile
e va stoppato», sosteneva l’esponente dell’amministrazione americana, e sollecitava il governo italiano a far capire al tribunale romano che «le azioni sul campo di guerra esulano dalle sue competenze». Per l’ambasciatore era difficile immaginare una interruzione o rallentamento del processo. Infatti il processo si è concluso ma le pressioni di Negroponte evidentemente avevano sortito il loro effetto se la sentenza della III Corte di Assise di Roma, emessa il 25 ottobre 2007, stabilisce la non procedibilità nei confronti di Lozano per difetto di giurisdizione in base alla consuetudine della «legge dello zano» (un soldato risponderebbe solo alla giustizia del paese di provenienza, come risulta dai documenti che porta nello zaino).Una sentenza ridicola dopo un dibattito approfondito in materia di diritto internazionale, quindi la procura di Roma, l’avvocatura dello stato (il governo si era costituito parte civile) e chi scrive hanno presentato un ricorso in Cassazione.
Il 19 giugno 2008 è il giorno del giudizio. Il dibattito si riaccende ma, mentre interviene il rappresentante dell’avvocatura dello stato, si sparge la voce che è arrivata una telefonata da Palazzo Chigi (nel frattempo era cambiato il governo, non c’era più Prodi ma Berlusconi) che invitava a lasciar cadere il ricorso. Con imbarazzo l’avvocato concludeva l’intervento affidandosi alle decisioni della Corte, che respingeva il ricorso e mi condannava a pagare le spese. Una sentenza ritenuta
sbagliata da diversi esperti di diritto internazionale. Secondo Antonio Cassese, primo presidente del tribunale internazionale per l’ex-Jugoslavia, «la nostra Corte ha inutilmente abdicato alla giurisdizione italiana, inchinandosi a quella statunitense. Poteva invece affermare che i nostri giudici sono competenti, trattandosi di un crimine di guerra», e poi lasciare a una corte di merito valutare se si trattava di un omicidio volontario o colposo. Ancora una volta l’Italia ha dimostrato di essere un paese a sovranità limitata.

Fonte articolo 'Il Manifesto'

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