Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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giovedì 22 aprile 2010
Berlusconi prepara la festa della vittoria di Micaela Bongi
Né una corrente né un venticello. E nemmeno uno spiffero. Il Silvio Berlusconi della vigilia non lascia margini di manovra al «cofondatore». La giornata è frenetica, a palazzo Grazioli è un continuo via vai, tra riunioni con i coordinatori prima, con i capogruppo poi, e pontieri in affanno che
fanno la spola tra i duellanti.
Come sempre, il premier fa in modo che le meditazioni consegnate in privato ai suoi si diffondano all’esterno della sua residenza romana, e sono dichiarazioni di guerra. Ma il leader del predellino va anche oltre. Nel tardo pomeriggio partecipa, a villa Miani, al ricevimento per il sessantaduesimo anniversario della nascita dello stato di Israele. C’è anche Gianfranco Fini. E dopo una fugace e obbligata stretta di mano tra i due, il Cavaliere alza il tiro e la posta anche pubblicamente, davanti ai giornalisti. Il presidente della camera intende organizzare la minoranza? "Il Pdl è un partito che nasce dal popolo, non è un partito con le correnti. Non è possibile che ci siano delle correnti, che qualcuno ha definito metastasi dei partiti". Quel qualcuno
si chiama Gianfranco Fini, che nel corso di un’assemblea nazionale di An, nel 2005, richiamò così all’ordine le varie anime del suo vecchio partito. Certo, dice ancora Berlusconi, per una minoranza interna c’è spazio, nel grande popolo della libertà, che «è il partito più democratico che c’è, dove si discute». Ma
«quando si arriva a una decisione dove c'è una maggioranza, la minoranza si deve adeguare». Figurarsi: «Io stesso ho accolto decisioni dell’ufficio di presidenza del partito, di cui fanno parte i 37 protagonisti del Pdl», e per inciso non Fini. Anzi, «ricordo che recentemente avanzai tre proposte ma mi adeguai alle decisioni dell'ufficio di presidenza».
Un’allusione, e niente più, al vero tema della direzione allargata ai parlamentari che si riunisce questa mattina all’auditorium della Conciliazione. Perché il leader di Arcore intende ridurre ai minimi termini quello che ormai considera solo un antagonista, relegarlo in un angolo, farlo apparire irrilevante e evitare che questa sera i tg possano dire che il presidente della camera ha strappato qualcosa. Per questo nelle dichiarazioni della vigilia non vuole nemmeno ineserire nell’ordine del giorno della affollata riunione di oggi lo strappo del «cofondatore». Posto che «non sono io ad aver posto dei problemi e dunque non sono io a dover dare risposte, semmai è Gianfranco Fini che ha sollevato delle questioni. Io ascolterò e replicherò sulla base di ciò che dirà», il Cavaliere descrive la mattinata all’auditorium come un maxi-evento celebrativo. Sebbene per tutta la giornata di ieri e con la previsione di fare notte inoltrata si lavori ai documenti da presentare, più o meno unitari, e nonostante le «colombe» cerchino di ammorbidire l’atteggiamento del capo, il capo non arretra. Perché - e questo lo dice in privato - «se riconosco la minoranza di Fini poi mi ritrovo il Vietnam in aula, con continue imboscate. Punta a distruggermi, lo dobbiamo fermare subito». Dunque: la direzione, assicura, non si riunisce per rispondere alle sollecitazioni dell’ex residente di An, ma «è stata convocata prima della recente tornata elettorale». E, continua il Cavaliere, «avrà tre momenti importanti». Prima di tutto (ovviamente dopo l’introduzione del leader «indiscusso», che farà anche le conclusioni), il commento dei risultati alle regionali «e quello sulle continue vittorie avute negli ultimi due anni dal Pdl dovunque si sia presentato», con un’analisi del voto affidata a Denis Verdini. « Subito dopo parleranno i ministri che si soffermeranno sul gran lavoro fatto in questi due anni di attività di governo e sul gran lavoro che dovremo fare nei prossimi tre anni che ci attendono nella legislatura», come la riforma della giustizia. E poi si svolgerà la discussione, aperta «a tutti coloro che si iscriveranno e che il tempo consentirà di far parlare». Tutto qui, «non bisogna attribuire nessun altro significato e scopo a questa direzione del partito». A Fini ovviamente sarà «consentito» di parlare, ma si prevedono anche gli interventi degli altri fondatori del Pdl, tanto per dire che il cosiddetto «cofondatore» è uno tra tanti, da Gianfranco Rotondi a Alessandra Mussolini. Punta di perfidia: a Ignazio La Russa dovrebbe essere affidata la relazione sul tema «Lega», un alleato fedele, non il dominus della coalizione.
Il quadro è questo, prendere o lasciare. Perché, insiste Berlusconi, «mi auguro che non ci siano scissioni, lo spero proprio», ma in tal caso «il governo andrebbe avanti comunque», si mostra sicuro mentre tra i suoi c’è chi incrocia le dita. Come dire: la porta è quella. La minaccia di elezioni anticipate - che i finiani considerano un’arma scarica - il premier lascia che venga pronunciata dai leghisti: «Se la situazione non si risolve, allora meglio il voto».
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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si chiama Gianfranco Fini, che nel corso di un’assemblea nazionale di An, nel 2005, richiamò così all’ordine le varie anime del suo vecchio partito. Certo, dice ancora Berlusconi, per una minoranza interna c’è spazio, nel grande popolo della libertà, che «è il partito più democratico che c’è, dove si discute». Ma
«quando si arriva a una decisione dove c'è una maggioranza, la minoranza si deve adeguare». Figurarsi: «Io stesso ho accolto decisioni dell’ufficio di presidenza del partito, di cui fanno parte i 37 protagonisti del Pdl», e per inciso non Fini. Anzi, «ricordo che recentemente avanzai tre proposte ma mi adeguai alle decisioni dell'ufficio di presidenza».
Un’allusione, e niente più, al vero tema della direzione allargata ai parlamentari che si riunisce questa mattina all’auditorium della Conciliazione. Perché il leader di Arcore intende ridurre ai minimi termini quello che ormai considera solo un antagonista, relegarlo in un angolo, farlo apparire irrilevante e evitare che questa sera i tg possano dire che il presidente della camera ha strappato qualcosa. Per questo nelle dichiarazioni della vigilia non vuole nemmeno ineserire nell’ordine del giorno della affollata riunione di oggi lo strappo del «cofondatore». Posto che «non sono io ad aver posto dei problemi e dunque non sono io a dover dare risposte, semmai è Gianfranco Fini che ha sollevato delle questioni. Io ascolterò e replicherò sulla base di ciò che dirà», il Cavaliere descrive la mattinata all’auditorium come un maxi-evento celebrativo. Sebbene per tutta la giornata di ieri e con la previsione di fare notte inoltrata si lavori ai documenti da presentare, più o meno unitari, e nonostante le «colombe» cerchino di ammorbidire l’atteggiamento del capo, il capo non arretra. Perché - e questo lo dice in privato - «se riconosco la minoranza di Fini poi mi ritrovo il Vietnam in aula, con continue imboscate. Punta a distruggermi, lo dobbiamo fermare subito». Dunque: la direzione, assicura, non si riunisce per rispondere alle sollecitazioni dell’ex residente di An, ma «è stata convocata prima della recente tornata elettorale». E, continua il Cavaliere, «avrà tre momenti importanti». Prima di tutto (ovviamente dopo l’introduzione del leader «indiscusso», che farà anche le conclusioni), il commento dei risultati alle regionali «e quello sulle continue vittorie avute negli ultimi due anni dal Pdl dovunque si sia presentato», con un’analisi del voto affidata a Denis Verdini. « Subito dopo parleranno i ministri che si soffermeranno sul gran lavoro fatto in questi due anni di attività di governo e sul gran lavoro che dovremo fare nei prossimi tre anni che ci attendono nella legislatura», come la riforma della giustizia. E poi si svolgerà la discussione, aperta «a tutti coloro che si iscriveranno e che il tempo consentirà di far parlare». Tutto qui, «non bisogna attribuire nessun altro significato e scopo a questa direzione del partito». A Fini ovviamente sarà «consentito» di parlare, ma si prevedono anche gli interventi degli altri fondatori del Pdl, tanto per dire che il cosiddetto «cofondatore» è uno tra tanti, da Gianfranco Rotondi a Alessandra Mussolini. Punta di perfidia: a Ignazio La Russa dovrebbe essere affidata la relazione sul tema «Lega», un alleato fedele, non il dominus della coalizione.
Il quadro è questo, prendere o lasciare. Perché, insiste Berlusconi, «mi auguro che non ci siano scissioni, lo spero proprio», ma in tal caso «il governo andrebbe avanti comunque», si mostra sicuro mentre tra i suoi c’è chi incrocia le dita. Come dire: la porta è quella. La minaccia di elezioni anticipate - che i finiani considerano un’arma scarica - il premier lascia che venga pronunciata dai leghisti: «Se la situazione non si risolve, allora meglio il voto».
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