(vignetta Bandanax)

Professor Tarchi, oggi Fini è costretto a smarcarsi da Berlusconi, ma anche costretto a restarne compagno di partito. Se le sembra così, perché?
Perché una sua scissione verrebbe interpretata come l’esito di un conflitto personalistico da buona parte degli elettori del Pdl, che al di là di un continuo controcanto rispetto al presidente del Consiglio e di alcune prese di posizione lontane dalla cultura e della mentalità dell’elettore di destra, non hanno percepito sin qui nessun abbozzo di un credibile programma e/o progetto politico condivisibile.
FareFuturoWebMagazine avverte che Fini è «potente fra la gente ». Il professor Campi lo esorta a fare due passi avanti. Le sembra uno scenario possibile?
No. Sono affermazioni che, in linea con una tendenza che ha caratterizzato FareFuturo fin dall’inizio, mirano solo a impressionare con effetti speciali. Fini, semmai, riscontra acute simpatie a sinistra, ma solo in funzione antiberlusconiana. Se Berlusconi uscisse di scena, su quel terreno non capitalizzerebbe quasi nessun consenso.
Lei è stato tra i primi del Msi a parlare della «necessità di uscire fuori dal tunnel del fascismo». Non è quello che prova a fare l’ex leader di An?
Se vogliamo insistere nell’analogia, quello delle nostalgie era, per i neofascisti, un tunnel simile a quello delle metropolitane: c’erano varie vie di uscita. A destra, a sinistra, percorrendo lunghi tratti nel ripensamento critico, prendendo scorciatoie opportunistiche e insincere a scopo solo tattico. La mia strada e quella di Fini sono state, e sono, opposte. E dieci anni dopo che io avevo pronunciato la frase che lei cita, Fini annunciava il prossimo avvento del «fascismo de il Duemila» con gli stessi toni con cui, un paio d’anni fa, si è detto certo che i fascisti avevano scelto la parte sbagliata. L’opportunismo per un politico è una dote essenziale; per chi si occupa di idee, è un comportamento indecente.
Marcello Veneziani, altro intellettuale formatosi negli anni della Nuova destra, sostiene che il leader di An non ha coltivato i temi della destra, lasciando scoperto tutto un fianco del Pdl, latitando nel contrasto con la Lega e così facendo fuggire gli elettori di questa parte. «Uno speaker buono per la tv, non un leader di governo», condivide?
Sì. Sebbene con Veneziani mi sia spesso trovato in disaccordo. Peraltro, fino a pochi anni fa, Fini criticava Berlusconi da destra, agitando tematiche nazionaliste e rivendicando un presidenzialismo statalista. Si è accorto che non faceva breccia e ha indossato gli abiti del moderato aperto ad istanze progressiste. Per cercare dagli avversari quella legittimazione a futuro leader di un governo pacificatore delle tensioni che il centrodestra non gli avrebbe riconosciuto.
Il pezzo ribelle di An e il Pd potrebbero convergere sulla difesa dell’unità del paese e della costituzione dal presidenzialismo senza contrappesi. La convergenza
è paradossale: ciascuno arriva su temi non tradizionalmente propri (la sinistra e l’unità nazionale, la destra e la difesa del parlamento). Qual è il suo punto di vista su questo esito?
Sarebbe catastrofico, elettoralmente, per entrambi. Un Fini alleato di fatto del Pd siporterebbe dietro, a stento, una piccola pattuglia di parlamentari e rischierebbe di non raggiungere il quorum necessario per superare la soglia di sbarramento alle successive consultazioni. A meno che un certo numero di elettori del Pd non decidesse di fare quanto hanno fatto molti ex elettori di Prc, PdCI e Verdi nel 2008. E un connubio Bersani-Fini non dispiacerebbe certo né a Di Pietro né a Grillo.
Lei, anche nel suo ultimo libro, sottilinea che l’attuale destra di governo non è l'erede di quella «rivoluzione» che la sua Nuova destra sognava. I finiani rivendicano di aver raccolto «l’eredità possibile» di quella esperienza. A suo parere c’è oggi, da Casapound al palazzo, un luogo un movimento o una persona che incarni quelle idee? Oppure quella di Nd era veramente una «rivoluzione impossibile»?
No. Chiunque legga imolti testi che l’esperienza della Nuova Destra ha prodotto, sa che quel progetto meta politico puntava ad un solve et coagula che non si è realizzato, riunendo delusi di destra e di sinistra attorno a temi precisi: valorizzazione delle specificità culturali dei popoli in opposizione all’omogeneizzazione culturale cosmopolita, rifiuto del modello culturale occidentalista, opposizione al consumismo, all’individualismo e al materialismo spicciolo, differenzialismo antirazzista, multiculturalismo a base intercomunitaria,
lotta contro la «colonizzazione sottile» dettata dall’americanismo, rifiuto dell’egemonia unipolare statunitense e della Nato. Le pare che ci siano, a destra e dintorni, soggetti politici che sostengono queste idee? A me no. Posso proficuamente dialogare su molti di questi temi con Danilo Zolo o con Franco Cardini,ma su altri terreni non c’è possibilità di proficui confronti. La politica ha divorziato dalle idee, e non da oggi.
Fonte intervista 'Il Manifesto'
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