Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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giovedì 16 settembre 2010
Soluzione 5 per cento di Marco Travaglio
(vignetta bandanax)
Navigando senza Tom Tom nelle centinaia di paginate dei giornali piene di indiscrezioni, retroscena, interviste, dichiarazioni con smentita incorporata, il cittadino (e)lettore si chiede che diavolo sta succedendo. Ha sentito i finiani garantire il loro voto al 95% del programma in 5 punti e 13 pagine di B, che comprende tutto lo scibile umano, dall’economia planetaria alla Salerno-Reggio Calabria, e ingenuamente domanda: dov’è allora il problema? Perché il pover’ometto, a quell’età e in quelle condizioni psicofisiche, si arrabatta per comprare traditori pronti a tradirlo appena svoltato l’angolo, pescandoli preferibilmente (e comprensibilmente) tra le coppole siciliane? Perché non s’accontenta di quel 95% di riforme, visto che in 16 anni non ne ha fatta manco una? La risposta è banale, addirittura lapalissiana. Ma diventa un rompicapo, una sciarada, visto che la stampa italiana non serve, come nel resto del mondo, a semplificare le cose complicate, ma a complicare le cose semplici. È raro trovare un giornale (men che meno un tg) che spieghi chiaramente cos’angustia il Cainano in queste notti di fine estate: non le grandi o le piccole riforme, e nemmeno la Salerno-Reggio Calabria; bensì, pensate un po’, i suoi processi. Due (Mills e Mediaset) furono bloccati col “legittimo impedimento” alle soglie della sentenza di primo grado; il terzo (Mediatrade) alle soglie del tribunale. Poi ci sarebbe l’inchiesta di Trani sulle manovre anti-Annozero, ma quella riposa in pace alla Procura di Roma, così solerte invece (addirittura nella pausa estiva) sul mega-scandalo di casa Tulliani, di cui peraltro si ignora il reato. Varato nel febbraio scorso per la durata di 18 mesi, il “legittimo impedimento” scade fra un anno. Ma potrebbe svanire già il 14 dicembre se la Consulta dovesse bocciarlo. Insomma, i tre processi potrebbero ripartire a gennaio e i primi due chiudersi in tribunale entro l’estate. Dunque B. ha tre mesi per inventarsi qualcos’altro di più sicuro e duraturo, e trovare una maggioranza che glielo voti. L’ideale era il “processo breve”, ma ammazzava mezzo milione di processi: ritirato dopo il marameo di Fini. Che fare? Allungare il congelamento con un nuovo “legittimo impedimento” che impedisca alla Consulta di pronunciarsi sul primo? Troppo rischioso. Trattandosi di una nuova legge, la Consulta potrebbe intanto bocciare la vecchia e, implicitamente, anche la nuova: a quel punto persino Napolitano avrebbe difficoltà a firmarla. Meglio una soluzione finale, che fulmini i tre processi una volta per tutte. Perfidamente Fini insiste per il lodo Alfano costituzionale. Ma Ghedini giustamente non ne vuol sapere: per una legge costituzionale occorre almeno un anno di lavori parlamentari, con doppia lettura Camera-Senato-Camera-Senato più un altro anno per il referendum confermativo (evitabile solo con una maggioranza del 66%, e B. non è sicuro nemmeno del 51%) che, con l’aria che tira, diventerebbe abrogativo. Intanto c’è tutto il tempo per arrivare alle sentenze di primo grado, più l’appello della causa civile Mondadori (in primo grado la Fininvest fu condannata a pagare 750 milioni a De Benedetti). Qualche buontempone ripropone il lodo Consolo: decide il Parlamento se un reato è ministeriale o no. Ma i delitti contestati a B. sono corruzione, falso in bilancio, appropriazione indebita, frode fiscale: che c’entrano con le funzioni di governo? In attesa che il cilindro di Mavalà partorisca un nuovo coniglio morto, B. passa le notti in bianco. E il Paese è sempre appeso ai suoi processi: 60 milioni di scudi umani presi in ostaggio in cambio della sua impunità. Ma zitti, mi raccomando, non si deve sapere. Ieri Ostellino, sul Pompiere, invitava B. a “mostrare di essere un uomo di Stato” e “chiarire quali ostacoli istituzionali, politici, sociali gli hanno impedito di fare le riforme”. Povero Ostellino, la mamma non gli ha ancora spiegato nulla. Quando uno lo legge, non capisce mai se ci è o ci fa. L’ipotesi più accreditata è che ci sia e ci faccia contemporaneamente.
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
La solitudine dei numeri premier di Marco Travaglio
Navigando senza Tom Tom nelle centinaia di paginate dei giornali piene di indiscrezioni, retroscena, interviste, dichiarazioni con smentita incorporata, il cittadino (e)lettore si chiede che diavolo sta succedendo. Ha sentito i finiani garantire il loro voto al 95% del programma in 5 punti e 13 pagine di B, che comprende tutto lo scibile umano, dall’economia planetaria alla Salerno-Reggio Calabria, e ingenuamente domanda: dov’è allora il problema? Perché il pover’ometto, a quell’età e in quelle condizioni psicofisiche, si arrabatta per comprare traditori pronti a tradirlo appena svoltato l’angolo, pescandoli preferibilmente (e comprensibilmente) tra le coppole siciliane? Perché non s’accontenta di quel 95% di riforme, visto che in 16 anni non ne ha fatta manco una? La risposta è banale, addirittura lapalissiana. Ma diventa un rompicapo, una sciarada, visto che la stampa italiana non serve, come nel resto del mondo, a semplificare le cose complicate, ma a complicare le cose semplici. È raro trovare un giornale (men che meno un tg) che spieghi chiaramente cos’angustia il Cainano in queste notti di fine estate: non le grandi o le piccole riforme, e nemmeno la Salerno-Reggio Calabria; bensì, pensate un po’, i suoi processi. Due (Mills e Mediaset) furono bloccati col “legittimo impedimento” alle soglie della sentenza di primo grado; il terzo (Mediatrade) alle soglie del tribunale. Poi ci sarebbe l’inchiesta di Trani sulle manovre anti-Annozero, ma quella riposa in pace alla Procura di Roma, così solerte invece (addirittura nella pausa estiva) sul mega-scandalo di casa Tulliani, di cui peraltro si ignora il reato. Varato nel febbraio scorso per la durata di 18 mesi, il “legittimo impedimento” scade fra un anno. Ma potrebbe svanire già il 14 dicembre se la Consulta dovesse bocciarlo. Insomma, i tre processi potrebbero ripartire a gennaio e i primi due chiudersi in tribunale entro l’estate. Dunque B. ha tre mesi per inventarsi qualcos’altro di più sicuro e duraturo, e trovare una maggioranza che glielo voti. L’ideale era il “processo breve”, ma ammazzava mezzo milione di processi: ritirato dopo il marameo di Fini. Che fare? Allungare il congelamento con un nuovo “legittimo impedimento” che impedisca alla Consulta di pronunciarsi sul primo? Troppo rischioso. Trattandosi di una nuova legge, la Consulta potrebbe intanto bocciare la vecchia e, implicitamente, anche la nuova: a quel punto persino Napolitano avrebbe difficoltà a firmarla. Meglio una soluzione finale, che fulmini i tre processi una volta per tutte. Perfidamente Fini insiste per il lodo Alfano costituzionale. Ma Ghedini giustamente non ne vuol sapere: per una legge costituzionale occorre almeno un anno di lavori parlamentari, con doppia lettura Camera-Senato-Camera-Senato più un altro anno per il referendum confermativo (evitabile solo con una maggioranza del 66%, e B. non è sicuro nemmeno del 51%) che, con l’aria che tira, diventerebbe abrogativo. Intanto c’è tutto il tempo per arrivare alle sentenze di primo grado, più l’appello della causa civile Mondadori (in primo grado la Fininvest fu condannata a pagare 750 milioni a De Benedetti). Qualche buontempone ripropone il lodo Consolo: decide il Parlamento se un reato è ministeriale o no. Ma i delitti contestati a B. sono corruzione, falso in bilancio, appropriazione indebita, frode fiscale: che c’entrano con le funzioni di governo? In attesa che il cilindro di Mavalà partorisca un nuovo coniglio morto, B. passa le notti in bianco. E il Paese è sempre appeso ai suoi processi: 60 milioni di scudi umani presi in ostaggio in cambio della sua impunità. Ma zitti, mi raccomando, non si deve sapere. Ieri Ostellino, sul Pompiere, invitava B. a “mostrare di essere un uomo di Stato” e “chiarire quali ostacoli istituzionali, politici, sociali gli hanno impedito di fare le riforme”. Povero Ostellino, la mamma non gli ha ancora spiegato nulla. Quando uno lo legge, non capisce mai se ci è o ci fa. L’ipotesi più accreditata è che ci sia e ci faccia contemporaneamente.
Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
La solitudine dei numeri premier di Marco Travaglio
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