
Quest’ondata di giustizialismo non può che disgustare i garantisti veri, cioè non pelosi. Le “
liste Anemone” che escono quotidianamente sui giornali sono un obbrobrio. Non perché siano false o depistanti (non essendo agli atti della Procura di Perugia, c’è pure questo sospetto). Ma perché sputtanano persone che non han fatto nulla di male: farsi ristrutturare la casa dalla ditta
Anemone, tra l’altro prima che si sapesse chi era il titolare, pagando i lavori con regolare fattura, è cosa del tutto normale. E soprattutto perché stipare centinaia di nomi in un unico calderone, senza distinguere chi ha pagato il conto e chi no e, se no, perché, è un ottimo sistema per alimentare il polverone del “così fan tutti”, ultimo rifugio dei mascalzoni. In realtà così non fan tutti e non tutti sono uguali, nemmeno fra i clienti di
Anemone: i funzionari di Polizia ovviamente si rivolgevano a una ditta accreditata con i protocolli di sicurezza del Viminale; gli inquilini di palazzi di enti pubblici non possono certo scegliere chi esegue i lavori (l’impresa la sceglie l’ente pubblico) e così via. Checché si depisti e generalizzi, lo scandalo continua a chiamarsi
Scajola,
Matteoli,
Lunardi e soprattutto
Bertolaso: i padri e i padrini di
Anemone. Tutti fedelissimi di
Berlusconi. Ora il pover’ometto è terrorizzato, come nel 1992 quando – raccontò il consulente Ezio Cartotto – confidava agli amici: “A volte mi sorprendo a piangere da solo sotto la doccia”. Ripete continuamente il mantra “Non è una nuova Tangentopoli”, parola che gli provoca spiacevoli conseguenze psicosomatiche. L’altro giorno, forse temendo una retata, ha disertato il Consiglio dei ministri e s’è chiuso a Palazzo Grazioli ricevendo – scrive Libero – “pochissimi interlocutori in vestaglia e pigiama”. È così preoccupato che, in Borsa, si teme un crollo degli ordinativi di escort. Al capezzale, anzi al lettone di Putin, si alternano
Al Fano e
Cicchitto. Al telefono – sempre secondo Libero – “il premier sente spesso
Lorenzo Cesa” che, essendo stato in galera per tangenti, lo può capire. Ogni tanto qualche ventriloquo esce e riporta il Verbo del Capo.
Cicchitto ce l’ha con “le liste di proscrizione” (il capo preferisce quelle di prescrizione).
Angelino Jolie assicura che “non è una nuova Tangentopoli: sono episodi che, se veri, meritano una severa punizione dei colpevoli” (tipo un ministero). Ai lati del ring, i secondi incitano il pugile suonato a rialzarsi. “
Silvio reagisci o finisci male”, sbraita
Belpietro, che pretende subito “una campagna per far capire che non c’entra” (difficile:
Anemone lavorava anche per Palazzo Grazioli). Ma il tappetto al tappeto non sa come uscirne e biascica di “accelerare sulla legge anti-corruzione”. Sarebbe un evento epocale: la prima legge anti-corruzione varata da un corruttore. Pare di vederlo, in pigiama, mentre delira picchiando la testa contro il muro: “Chi sbaglia è fuori dal governo e dal Pdl! Troppi si sono arricchiti alle mie spalle, ora paghino!”. Già, bravo, e da chi si comincia? Da
Sciascia che gli pagava le mazzette alla Finanza e lui ha portato in Parlamento? Da
Previti che gli pagava i giudici e lui ha portato al governo? Dal condannato
Dell’Utri che ha promosso deputato? Dall’arrestando
Cosentino, sottosegretario all’Economia? Dopo vent’anni spesi a collezionare processi, a riempire il partito di pregiudicati e a difendere dalle toghe rosse battaglioni di grassatori e lestofanti, ora che quelli l’han preso in parola e han cominciato a fare come lui, è difficile travestirsi da giustizialista e non essere riconosciuto. S’è dimenticato di avvertire i compari che lui può e tutti gli altri no. Ora che quelli, animati da fame atavica, gli mangiano pure le gambe del lettone, è tardi per suonare il contrordine. Ha ragione il ministro
Rotondi, quello con la testa a kiwi: “Con
Scajola abbiamo creato un pericoloso precedente”. Non per la casa pagata da
Anemone. Ma per le dimissioni. Se un ministro se ne va per così poco, tanto vale evacuare governo e Parlamento.
Fonte articolo e vignetta 'Il Fatto Quotidiano'
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