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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 19 luglio 2011

SAN RAFFAELE - UNA TRAGICA FARSA di Norma Rangeri

Ci mancava il suicidio eccellente perché il copione di Tangentopoli rivivesse anche nei macabri dettagli del colpo di pistola alla tempia. Ieri il numero due del San Raffaele si è sparato nel suo ufficio, travolto dallo scandalo del debito colossale di un’impresa sanitaria governata a maggior gloria da don Verzé, il prelato folgorato da Berlusconi, benedetto come un miracoloso dono di dio. Se le repliche della storia assumono i contorni grotteschi della farsa, l’eco della Smith& Wesson risuona come una farsa tragica. Per i protagonisti che ne sono gli interpreti e per il paese che li tollera o li subisce.
Le similitudini con quel che accadde in Italia nei primi anni ’90 sono impressionanti: una crisi economica profonda, una progressiva decomposizione del sistema politico, la sordità dei partiti asserragliati nei palazzi a difesa di feudali privilegi, fino all’arrivo, in parlamento, di richieste di arresto per parlamentari e ministri. Per rispettare il copione non ci viene risparmiata neppure la via di fuga dei referendum elettorali, come quello che ci traghettò dal proporzionale al maggioritario, dal pentapartito morente al berlusconismo trionfante. E, a giudicare dal risentimento popolare contro la casta che attraversa in questi giorni la Rete, non è neppure da escludere, prima o poi, la replica del lancio di "monetine" se nelle prossime ore l’assemblea di Montecitorio decidesse di votare contro l’autorizzazione a procedere dei deputati sotto inchiesta.
Affacciato sull’orlo di un debito pubblico unico al mondo, spinto alla disintegrazione nazionale, il paese ha reagito in tutti i modi. Scendendo in piazza nelle sue avanguardie consapevoli, votando nelle elezioni amministrative e nei referendum, mettendo all’ordine del giorno la richiesta di un autentico cambio nelle forme della partecipazione e della decisione, nelle priorità dell’agenda. Accadeva appena un mese fa, ma è come se tutto fosse già sepolto in un passato remoto, oscurato dal paravento dell’emergenza condivisa, dagli appelli del Quirinale alla coesione, dalla scelta delle opposizioni di firmare la tregua concedendo il lasciapassare a provvedimenti feroci verso un ceto medio pericolosamente spinto con le spalle al muro. In compenso il governo ha strappato un altro voto di fiducia e Berlusconi, ieri, mentre la Borsa subiva l’ennesimo tonfo bruciando un controvalore di 12 miliardi, saliva al Quirinale scortato da Gianni Letta per il "rimpastino" (il ministro della giustizia da rimpiazzare).
Mentre sul Colle si tentano accordi nel vuoto di una prospettiva politica, nel sottomondo della vita quotidiana non si riescono a formare le classi perché mancano gli insegnanti, l’assistenza sanitaria non è più un diritto, le famiglie operaie ingrossano l’esercito degli otto milioni di nuovi poveri, la disoccupazione seppellisce il sud del paese. Solidali con i deboli si agitano sulla scena i comprimari. Il maggior partito di opposizione lancia richieste senza appello di dimissioni del governo. Che le respinge al mittente, come chi sa che più il Pd abbaia e meno riesce a mordere.

Fonte articolo 'Il Manifesto'
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