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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 7 gennaio 2011

È la stampa, sciocchezza di Marco Travaglio

Dalla lettura dei giornali, una domanda sorge spontanea: sarà la malapolitica a peggiorare l’informazione o la malainformazione a peggiorare la politica? È una bella gara. Che non si gioca soltanto sui media di stretta osservanza berlusconiana, tipo Il Giornale, Libero, Il Tempo (da sei mesi fanno sempre lo stesso titolo: “Fini è un delinquente”). Ma anche su quelli più normali. Se si esclude la felice parentesi del Corriere, che qualche giorno fa mise in prima pagina un fatto – la condanna del generale Ganzer per narcotraffico e l’eventualità (subito tramontata) delle sue dimissioni dal Ros – il resto è tutto un echeggiare l’ultima stantia dichiarazione di questo e quello. B. riesuma i comunisti. Napolitano invita al dialogo (un evergreen che si porta su tutto: la giustizia, la scuola, l’università, la Fiat, i tagli alla cultura). Bossi rutta qualcosa sul federalismo. Casini invita ad abbassare i toni. Tremonti forse fa la fronda ma forse no. Il Pd è diviso, nell’ordine, su tutto. Sono anni e anni che sentiamo gli stessi personaggi ripetere le stesse cose. La notizia sarebbe Berlusconi che scopre la fine del comunismo con 21 anni di ritardo, Napolitano che invita allo scontro, Bossi che urla “il federalismo è una boiata pazzesca!”, Casini che invita ad alzare i toni, Tremonti che scarica la Lega e sposa Berlusconi, il Pd compatto almeno sul segnale orario. In attesa che uno di questi miracoli si verifichi, le solite dichiarazioni dei soliti noti dovrebbero finire, a esser generosi, fra le brevi a fondopagina. Non troneggiare in copertina. E lasciare spazio alle notizie, cioè ai fatti, non alle chiacchiere, agli spifferi, ai retroscena (ci sono specialisti del ramo, i celebri “retroscenisti”, che cercano il retro a una scena che non c’è e raccontano con grande enfasi i sospiri di Moffa, i battiti di ciglia di Nucara, gli incisi di Pionati alla buvette come se parlassero di Churchill, Roosevelt e Stalin a Yalta). In nessun paese al mondo i giornali aprirebbero con “notizie” tipo “Nuovo monito di Napolitano” o “Berlusconi: ‘No alle elezioni’” o “Bossi: ‘Sì alle elezioni’” o “Pd: ‘Elezioni boh’”, o – volendo proprio folleggiare – “Cesa: ‘Sì al governo tecnico’”. Anche perché i poveri lettori che ancora si trascinano in edicola a versare l’obolo quotidiano, quando leggono certe leccornie, chiedono i soldi indietro. Mentre lamentano la classe politica più parolaia e inconcludente del pianeta, i giornali inseguono i politici fino all’ultimo monosillabo. Così, in un circolo vizioso senza fine, i politici passano le loro giornate a spararle sempre più grosse, nella certezza di un titolo nei tg della sera e sui giornali dell’indomani. Si spiegano così fenomeni sconosciuti nel mondo civile, tipo Gasparri o Stracquadanio o Capezzone, di cui si ignorano le opere, ma non le vaccate. Il giornalismo “due punti virgolette” è sciatto ma comodo: attende gli eventi, non si sbilancia, subappalta l’informazione a chi dovrebbe esserne controllato, non dà fastidio a nessuno. Poco importa se le cose dette da tizio o caio sono false: ci si limita a registrarle o a contrapporle alle repliche dell’altro fronte. Per esempio gli ultimi deliri telefonici del Cainano nel programma di Signorini su Canale5 dominano tg, siti e giornali (tranne il nostro): i comunisti “esistono ancora”, “hanno seminato miseria, disperazione e 100 milioni di morti” (deve averglielo detto Putin), “non sono cambiati” (magari) e “vogliono sbattermi in galera con la complicità dei pm” (volesse il cielo). Lo diceva già nel '94, dov’è la notizia? E poi D’Alema “ora veste in cachemire” (una sciarpa) e porta “scarpe su misura” (roba di 12 anni fa, ai tempi della Bicamerale). E “mai avuto tresche con donne di sinistra” (gli entrano in casa a decine, lui non sa nemmeno come si chiamano, ma chiede subito per chi votano). Un caso da legge Bacchelli diventa la notizia del giorno. Viene quasi da solidarizzare con Minzolingua: pure lui, beninteso, non dà una notizia nemmeno per sbaglio, ma almeno lo pagano per quello.

Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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