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di 'Per quel che mi riguarda'

mercoledì 5 gennaio 2011

Battista nel paese delle meraviglie di Marco Travaglio

Grazie di cuore a Pierluigi Battista, editorialista del Corriere, per aver mirabilmente riassunto in un solo articolo com'è ridotto il giornalismo italiano. Il punto di partenza del noto tuttologo esperto in niente sono le cimici che Bossi dice di aver trovato un paio di mesi fa nel suo ufficio al ministero (perché non sembra, ma Bossi è un ministro) e nella sua casa a Roma, ma si guardò bene dal denunciare. Di lì Cerchiobattista parte in quarta con un excursus storico (si fa per dire) nel mondo dello spionaggio politico-giudiziario, con citazioni dotte dei film “Le vite degli altri” e “Minority Report” (ma poteva pure starci, per coerenza, “Quel gran pezzo dell'Ubalda”). Da buon orecchiante, Battista si limita a evocare vicende che gli ronzano nella memoria smemorata, senz'avere la più pallida idea di come si siano concluse e quindi dell'importanza e del significato da attribuire a ciascuna. Ne esce un blob indistinto e lattiginoso dov'è tutto uguale: intercettazioni legittime su gravi reati e dossier criminali per screditare avversari politici, verità e menzogne, delitti e patacche, complotti e bufale, tragedia e farsa. Chi legge ha la sensazione di vivere in un paese dove tutti spiano tutti, un “onnipotente stato di polizia” modello “Gpu o Stasi o Kgb”, dove lo sport prediletto è “distruggere privacy e reputazione”. Così alla fine ha sempre ragione B. (ma anche il governo brasiliano, no?). Cogliamo fior da fiore. “...Berlusconi mostrò una cimice (poi ribattezzata 'il cimicione') che avrebbe violato la sua residenza...”. Battista non dice come andò a finire: il Gup di Roma archiviò il caso perché scoprì che, a piazzare il cimicione (un ferrovecchio non funzionante), era stato l'amico dell'addetto alla sicurezza di B. incaricato di “bonificargli” l'ufficio. Un caso di auto-spionaggio. Ma intanto il falso scandalo era servito a gettare un po' di fango sulla magistratura impicciona e a tirare la volata alla Bicamerale. “...Nel magazzino di Gioacchino Genchi sono passate milioni di record riguardanti tabulati telefonici (non proprio intercettazioni dunque) della classe dirigente, fra cui innumerevoli utenze di persone non indagate... informaticamente annotate per gravare come una nube di panico per chi, politico o non, vedeva distrutto e violato, in modo perfettamente legale beninteso, l'ambito della propria riservatezza...”. In realtà, essendo un consulente informatico incaricato da procure e tribunali di incrociare dati telefonici e telematici, Genchi ha avuto per le mani anche migliaia di intercettazioni, grazie a cui ha smascherato e fatto condannare decine di stragisti, omicidi, mafiosi, trafficanti di droga e così via (Battista, giustamente, li chiama “classe dirigente”). I quali, si capisce, parlano anche con persone non indagate. Resta da capire dove stia il problema, visto che in tutto il mondo le indagini si fanno così. “...intercettazioni a strascico che finiscono ai giornali prima ancora che all'attenzione degli interessati...”. Non è così: salvo rarissimi casi, le intercettazioni pubblicate dai giornali sono tratte da ordinanze non più coperte da segreto proprio perché già notificate agl'indagati. Ma tenetevi forte perché arriva il meglio: “...Cosa faceva il team della security Telecom accumulando dati su dati rovistando tra le mail dei malcapitati?”. Qui ci sono addirittura sentenze e confessioni: si sa, per esempio, che il team Tavaroli spiava il vicedirettore del Corriere, Massimo Mucchetti, sventuratamente non allineato con l'editore Tronchetti Provera, che secondo Tavaroli era perfettamente al corrente di tutto. L'unico non al corrente è Battista, che continua a domandarsi: “Cosa faceva il team?”. Giocava forse alla playstation? Del resto è un editorialista del Corriere, mica è tenuto a saperlo. “E cosa avvenne esattamente – s'interroga angosciato – nella storia in cui la Mussolini accusò Storace di aver messo su un apparato spionistico ai suoi danni?”. Avvenne che i responsabili dell'apparato furono condannati in tribunale, e Storace pure, come “promotore o istigatore”. Ma tutto questo Alice non lo sa.

Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'
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