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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 22 ottobre 2010

Manicomio organizzato di Marco Travaglio

Sempre più spesso, leggendo i giornali, vien voglia di chiamare l’ambulanza. L’impressione è di vivere in un manicomio organizzato, dove i matti si credono psichiatri e gli psichiatri si credono matti. Gli house organ della Banda B. si affannano a dimostrare che la Rai è in mano a giornalisti di sinistra. E gli house organ della sinistra si accaldano a dimostrare che non è vero. Ma chissenefrega per chi votano i giornalisti tv: ciò che conta è che diano le notizie, possibilmente vere, possibilmente tutte. Vespa, Minzolingua, Fede, Vinci e il carneade di Studio Aperto non sono pericoli pubblici perché sono di destra, ma perché non danno le notizie o, le rare volte che le danno, sono false. Mentana non vota da secoli, è un simpatico equilibrista, per diventare direttore del Tg La7 ha dovuto attendere per mesi il via libera di B. Però le notizie le dà quasi tutte e quasi tutte vere, quindi fa un bel tg e il pubblico lo premia. Salendo i gradini della scala psichiatrica, ci si imbatte nell’annosa querelle sugli scrittori di sinistra che pubblicano per Mondadori o Einaudi, sui registi e attori di sinistra che fanno film per Medusa, sui teledivi di sinistra che lavorano per Endemol e Mediaset. Ieri il Giornale sbatteva in prima pagina Fazio, Saviano, Benigni, Zagrebelsky, Scalfari, De Gregorio: “I mantenuti da Berlusconi”, “pagati anche con i suoi soldi per sparargli addosso”, “stipendiati dalle sue case editrici”, “gridano al regime pagati da Silvio”. Anzitutto non si vede perché chi lavora per un’azienda dovrebbe amare e leccare il datore di lavoro: solo un paese di servi può considerare strano o scandaloso che un operaio Fiat non straveda per Marchionne e non gli sia eternamente grato per l’onore che gli fa a dargli un lavoro e uno stipendio: semmai dovrebbe essere Marchionne a rispettare e ringraziare le maestranze della Fiat, senza le quali i suoi presunti miracoli se li infilerebbe dove sappiamo. Eppoi, con una legge sul conflitto d’interessi degna di questo nome, B. non potrebbe stare in politica con Mondadori, Einaudi, Medusa, Endemol e Mediaset. In più Mondadori e dunque Einaudi, le possiede abusivamente, avendole sottratte con la frode a De Benedetti grazie a una sentenza comprata dai suoi avvocati con soldi suoi. Senza quell’operazione criminale, Mondadori apparterrebbe a un finanziere che non siede in Parlamento e il problema sarebbe risolto alla radice. In ogni caso, se uno scrittore fa un libro con l’editore Tizio, è l’editore Tizio che intasca la gran parte degli utili (i diritti d’autore non superano mai il 10-15% del prezzo di copertina). Dunque è l’autore che “mantiene”, “paga”, “stipendia” l’editore, non viceversa. Lo stesso vale per il cineasta che lavora per Medusa e la star tv che lavora per Endemol o Mediaset. Il che pone pur sempre un problema di coscienza agli scrittori: ma non perché sono “mantenuti” da B, bensì perché contribuiscono a farlo ricco. E a spacciarsi per liberale, tollerante, democratico e magnanimo, visto che concede loro l’onore di lavorare per lui. Ultimo gradino, ultima cazzata: le polemiche sui compensi di questo o quel protagonista della tv. Ora è la volta di Fazio, di Saviano e degli ospiti di Vieni via con me. Secondo Libero, “lo show di Saviano farà perdere alla Rai 2 milioni” perché ne costerebbe 3 e incasserebbe solo 810 mila euro di pubblicità. Ma intanto la Rai è un servizio pubblico e può permettersi di investire quote di canone in programmi di pubblico interesse (Saviano in tv, oltretutto, ha un lauto mercato all’estero). Il problema semmai sono i varietà, i reality e le menate che vanno in onda giorno e notte senza un barlume d’interesse pubblico, finanziati col canone perché il rapporto costi-spot è in perdita. Dopodiché, siccome la Rai sta sul mercato, deve misurarsi con i valori e i costi di mercato: vuole Saviano, Bono e Benigni? Li deve pagare per quel che valgono. Invece l’acuto Masi pretende che Saviano, Bono e Benigni lavorino gratis per pagare lo stipendio a Belén e Vespa al Festival di Sanremo. Quello sì che è servizio, anzi servizietto, pubblico.

fonte articolo e vignetta 'Il Fatto Quotidiano'
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