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di 'Per quel che mi riguarda'

giovedì 22 luglio 2010

Mangano e manganello di Marco Travaglio

(vignetta bandanax)
Fingiamo per un attimo di essere un Paese normale. I magistrati che indagano sulla strage di via D’Amelio dichiarano solennemente dinanzi alla commissione parlamentare Antimafia di essere “a un passo dalla verità”. Quella vera, non quella taroccata da mille depistaggi di Stato. Cioè stanno per rivelarci chi e perché ha voluto la morte violenta di Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorta. Dall’intero Paese, a cominciare dalla stampa, dalla classe politica e dalle più alte cariche istituzionali sempre pronte a lanciare moniti perché “sia fatta piena luce”, dovrebbe levarsi un coro unanime di applausi, di gratitudine, di encomi solenni. Il governo dovrebbe chiedere ai magistrati che cosa possono fare le istituzioni – più uomini, più mezzi, più risorse, più sostegno – perché anche quell’ultimo passo sia compiuto al più presto. E interrogarsi sui provvedimenti da prendere. Invece tutto il contrario. Un senatore della Repubblica, fondatore del partito che governa, condannato in appello per mafia e imputato per calunnia aggravata contro alcuni pentiti (in un processo che lui stesso ha bloccato alle soglie della sentenza d’appello con una richiesta di “legittima suspicione” per traslocarlo in un altro tribunale, avvalendosi di una legge vergognosa, la Cirami, che i suoi presunti oppositori si sono ben guardati dall’abrogare sebbene avessero solennemente promesso ai loro elettori di cancellarla), continua a ripetere che il suo eroe è Vittorio Mangano. Cioè il boss sanguinario travestito da stalliere che Borsellino, insieme con Falcone, fece condannare per mafia e per traffico di droga e che, due mesi prima di morire, definì in un’intervista a due giornalisti francesi “la testa di ponte di Cosa Nostra nel Nord Italia per il traffico di eroina”. Intanto il presidente del Consiglio, in visita al Milan, se la prende con le fiction e i film sulla mafia che, parlandone, ingigantirebbero la pericolosità di quell’opera pia. I suoi principali collaboratori, terrorizzati, manganellano i pm che han detto di essere a un passo dalla verità sulla strage, accusandoli di lanciare messaggi mafiosi al Parlamento solo perché hanno pronunciato un’ovvietà: e cioè che non sono sicuri che la classe politica sia pronta a fronteggiare l’onda d’urto della verità che emerge dalle indagini (per comprenderne la portata, basta fare la conta delle decine di politici, funzionari, dirigenti e agenti dei servizi e delle forze dell’ordine coinvolti direttamente o indirettamente nelle trattative e nei depistaggi). Un giornale sedicente indipendente come il Corriere scrive in prima pagina, a firma Panebianco, che il Csm dovrebbe tappare la bocca ai pm per evitare che rilascino dichiarazioni “clamorose e avventate” (e che ne sa lui?). Intanto gli house organ del premier titolano a tutta prima pagina: “Una bomba sulla testa di Berlusconi. Questo è terrorismo” (il Giornale), “I giudici minacciano Silvio. Messaggio esplosivo e sinistro dai pm siciliani”. Secondo Feltri, i magistrati “terroristi” vogliono addirittura “liquidare la maggioranza legittimamente eletta con metodi da repubblica delle banane”. Evidentemente in casa B. si sanno cose che non solo noi, ma nemmeno i magistrati conoscono. La Procura di Caltanissetta sta indagando su via D’Amelio e sulla retrostante trattativa (oggetto di accertamenti anche a Palermo) intrecciata dai vertici del Ros con Cosa Nostra tramite Vito Ciancimino nell’estate del ’92, quando al governo c’erano ancora i partiti della Prima Repubblica e l’avvento di B. era di là da venire (è quella di Firenze, per ora silente, a indagare sul ‘93 e il possibile ruolo di Forza Italia). Dunque a preoccuparsi dovrebbero essere i reduci di quella stagione, non i protagonisti di quella che le subentrò. Invece in casa B, appena si avvicina la verità su via D’Amelio, pensano subito a B. La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo. Nessuna persona normale, quando apprende che si sta per scoprire il colpevole di una strage, si preoccupa per sé. Nessuna, tranne B. Perché?


Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'


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