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di 'Per quel che mi riguarda'

giovedì 24 giugno 2010

Quello che gli altri non dicono di Marco Travaglio

Il documentario “Sotto scacco” di Gumpel e Lillo allegato da oggi al Fatto mostra le immagini degli attentati politico-mafiosi del 1993 alla Torre dei Pulci di Firenze, attigua agli Uffizi, al Padiglione di arte contemporanea (Pac) di Milano e alle basiliche romane di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. Nomina alcune delle vittime (10 morti e decine di feriti) di quegli eccidi. E provoca una domanda: ma perché quei filmati non si vedono mai e quei nomi non si sentono mai in televisione? Conosciamo a memoria le scene dell’autostrada Palermo-Punta Raisi in zona Capaci e di via D’Amelio sventrate dalle bombe del 1992 contro Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli uomini delle scorte: perché degli attentati del 1993 si è perduta la memoria anche visiva? L’unica risposta plausibile ha molto a che fare con la ragione di vita del nostro giornale (e del nostro tormentatissimo sito): perforare l’omertà della nostra politica e dell’“informazione” al seguito, quel gigantesco bavaglio, anzi autobavaglio, che i piani alti del Palazzo hanno imposto al Paese sulle origini della Seconda Repubblica. Il regime trasversale nato da quelle trattative inconfessabili e dalle stragi che ne sono scaturite ha fabbricato intorno a Capaci e via D’Amelio un’impostura oleografica e consolatoria: Falcone e Borsellino simboli dello Stato “buono” che combatte la mafia “cattiva”. Le due punte di diamante dell’antimafia che ha messo in ginocchio Cosa Nostra punite dalla vendetta mafiosa. Il Bene contro il Male, lo Stato contro l’Antistato. E giù retorica, celebrazioni, documentari, fiction. Sappiamo che le cose non sono andate così, e quel che raccontano Spatuzza e Ciancimino jr conferma le verità giudiziarie consacrate ma ipercensurate sui “mandanti esterni”, cioè politici, imprenditoriali, istituzionali (nel nostro dvd il pentito Mutolo racconta che già Borsellino aveva saputo di manovre istituzionali per garantire l’impunità ai boss subito dopo Capaci con la comoda scappatoia della “dissociazione”, e 18 giorni dopo fu ucciso). Ma questo ci è stato raccontato a reti unificate e milioni di italiani se lo sono bevuto. Le stragi del 1993 invece a questa impostura fumettistica da film western, cow boys contro indiani, o da film giallo, Intoccabili contro Al Capone, non si prestano. Stonano, suscitano interrogativi, non si lasciano schiacciare nella contrapposizione manichea tra buoni e cattivi. Si capisce subito che i conti non tornano. L’unica certezza, giudiziariamente accertata, è che a organizzarle materialmente furono gli uomini del clan Graviano, regnante sul quartiere Brancaccio. Ma anche un bambino tonto, vedendo il Pac, il Velabro e la Torre dei Pulci in briciole, non può non domandarsi: quante persone non dico a Brancaccio, ma in Italia conoscevano l’esistenza di quei tre edifici prima che fossero abbattuti nella primavera-estate ’93? Chi suggerì quei bersagli raffinatissimi e semisconosciuti ai macellai dei clan Graviano, Bagarella, Aglieri e Messina Denaro per i primi attentati mai compiuti da Cosa Nostra fuori dalla Sicilia? E perché, subito dopo, la guerra della mafia allo Stato finì di colpo? Perché l’ultimo attentato, quello contro i carabinieri all’Olimpico di Roma, fu annullato in extremis a fine gennaio ’94, all’indomani della discesa in campo del Cavaliere? Quelle immagini sono pericolose, eversive, perché parlano da sole: costringono chi le vede a porsi queste domande. Domande imbarazzanti, per chi conosce le risposte o deve fornirne una. Si rischia di dover riscrivere anche la falsa trama western di Capaci e via D’Amelio: meglio lasciar perdere. Molte risposte sono leggibili nelle carte del processo Dell’Utri, che nelle prossime ore avrà la sua sentenza d’appello. Ma anche quel processo è tabù: riguarda i misteri della Seconda Repubblica, dunque in tv non se ne deve parlare. E chi infrange il divieto dev’essere chiuso (Annozero) o censurato (Silvia Resta su La7). Per questo è nato il Fatto.

Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'


Link collegati:

Novembre 1993, i giorni del golpe di Antonio Padellaro

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