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di 'Per quel che mi riguarda'

sabato 27 febbraio 2010

IMPEDIMENTO POPOLARE di Norma Rangeri






















Gli anticorpi esistono e si manifestano. Prima che l’onda fangosa ricoprisse la scena italiana e dopo l’approvazione in parlamento del legittimo impedimento, il movimento viola lanciò l’idea di una manifestazione. Nessuna risonanza sui giornali, dibattito acceso nella rete. Ad accendere l’attenzione sull’appuntamento di oggi ci pensano lo scandalo della Protezione civile, la rabbia dei cittadini dell’Aquila, lo svelamento del filo nero, eversivo, mafioso dietro la truffa del secolo.
Piazza del Popolo nasce dunque non come reazione delle forze di opposizione, non per iniziativa dei partiti di sinistra, ma come protesta della società, della pubblica opinione informata dei fatti.
Sul palco della manifestazione leggeremo la frase che il sociologo francese Alain Touraine ha scritto nell’intervista al nostro giornale: «Possiamo dire che il popolo viola è fatto di uomini e donne disposti a mettersi in cammino». E’ una immagine che aiuta la riflessione politica e la traduzione simbolica di questo strano, inedito protagonista della scena italiana.
Parlare di uomini e donne in cammino vuol dire che chi partecipa a manifestazioni come questa di Roma (autoconvocata e autofinanziata) mette in campo la propria individualità, la sua storia personale, la sua «affettività», come spiega Touraine
con un esplicito riferimento alla cultura del femminismo. Dunque accanto alle espressioni di gruppi sociali e insieme ai movimenti organizzati (gli operai di Alcoa e Termini Imerese, i terremotati dell’Aquila oggi sul palco), si esprime un soggetto plurale di massa.
Diversamente dalla straordinaria mobilitazione del No-BDay del 5 dicembre, convocata per chiedere le dimissioni di Berlusconi, questa volta è la difesa della Costituzione negli articoli 1, 3 e 21 a essere perno del richiamo alla partecipazione. Perché dobbiamo difendere la Repubblica fondata sul lavoro, sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e sulla libertà di informazione. Tre radici della democrazia moderna, sepolte ma non ancora sradicate dal ventennio berlusconiano.
E’ un programma politico che avrebbe bisogno di una classe dirigente capace di non scambiarlo con nuove bicamerali, conteggi congressuali, muri identitari alimentati da ideologie escludenti.
Noi siamo un giornale senza padroni, per questo in pericolo.
Berlusconi e il ministro Tremonti decidono, a loro discrezione, a chi dare e a chi togliere i fondi dell’editoria. Segnano il territorio del potere mediatico, con l’esibizione arrogante del conflitto di interessi. Mentre il centrodestra aspetta l’esito delle elezioni regionali per chiudere i conti. Con il parlamento (il presidente del senato rilancia l’elezione diretta del capo del governo). Con la magistratura (Berlusconi definisce "talebani" i giudici). Con l’informazione (il Tg1 cancella la parola "prescrizione" e la sostituisce con "assoluzione").
Oggi siamo in piazza per tenere aperto un varco, contro la rassegnazione e l’assuefazione. Per vivere in un paese libero.

Fonte articolo e foto 'Il Manifesto'

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