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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 13 ottobre 2009

Scampoli comici e utilizzatori finali di Norma Rangeri

La satira e i comici sono il naturale tallone di Achille dei politici, e di un premier che di materiale ne offre in abbondanza. Berlusconi lo sa così bene che tra un attacco alla stampa e una cannonata sul Quirinale, nei giorni scorsi li ha chiamati in causa lamentandosi delle battute che gli riservano. Il più urticante, Daniele Luttazzi, è stato cancellato dal piccolo schermo, non ancora dai teatri italiani dove oggi ritorna con lo spettacolo «Va dove ti porta il clito». Ma in tv resistono con siparietti scavati dentro qualche talk-show e ogni tanto scampoli di satira riescono a superare la barriera del berlusconismo televisivo.
Come è successo l’altra sera (domenica, Canale5) con le canzoncine che all’utilizzatore finale ha riservato il comico di Zelig, Checco Zalone (l’attore Luca Medici). Famoso per la capacità di rubare l’anima ai cantanti facendone la parodia, Zalone ha imbracciato la chitarra e, sulle note della Canzone di Marinella di De André, si è divertito a evocare l’imprenditore Tarantini e il premier che «a villa Certosa pensava soltanto a una cosa», ricordando le promesse «ti faccio fare la velina, la deputata, la fiction rai ma solamente se...» (al pubblico il compito di finire la frase), citando la Puglia terra «di burrate, taralli e ragazze che viaggiano anche loro in aereo così arrivano fresche», o «la soubrette che prende più delle altre, 500 euro o mille se si ferma», senza dimenticare che «mentre Obama era eletto il nostro presidente era eretto». Niente di eccezionale, ma le battute di Zalone, nel deserto che le circonda, fanno notizia.
E se, ancora sul fronte del centrodestra, le ronde padane sono diventate il leit-motiv del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, protagonisti dell’appuntamento domenicale di Che tempo che fa, nel programma di Fazio ha fatto la sua estemporanea apparizione Corrado Guzzanti. In attesa di rivederlo davanti alle telecamera della tv pubblica, dobbiamo accontentarci di qualche brano dello spettacolo teatrale. È suo un Di Pietro esilarante, travolto dall’overdose di proverbi con cui il politico si aiuta per sbrogliare l’eloquio difficile, gli inciampi sintattici, l’inesorabile perdita del filo del discorso. O l’imitazione di Prodi, dimenticato in una stazione ferroviaria dove diventa un saggio barbone a cui chiedere consiglio e, dove, alla fine in vista delle elezioni, saranno costretti a tornare gli uomini del Pd per pregarlo di sfidare, ancora una volta, il Cavaliere. Ci sarebbe da ridere.

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