Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 13 ottobre 2009
IMMORAL SUASION di Marco Travaglio
(vignetta tratta da il corriere)
Per la terza volta in quattro giorni il presidente della Repubblica ha dovuto spiegare pubblicamente la sua condotta. Evidentemente non era ben chiara. E non lo era a causa di un peccato originale che risale all’estate 2008. Il Berlusconi III, appena insediato, infilò nel decreto sicurezza già firmato da Napolitano un emendamento che bloccava 100 mila processi per bloccarne due: quelli in corso a carico del premier e di alcuni suoi complici per gli affari Mills e Mediaset. Il Quirinale – come ha ricordato ieri - avvertì di essere contrario all’emendamento, mentre era favorevole a una legge ordinaria che bloccasse i processi alle alte cariche dello Stato: alle tre che non avevano processi e a quella che ne aveva un bel po’. Nacque così il cosiddetto Lodo Alfano, che non era un lodo e che un imbarazzato Pd lasciò passare senza un nanosecondo di ostruzionismo per non dispiacere al Colle ed evitare che, nel frattempo, il processo Mills-Berlusconi arrivasse a sentenza. Quando poi Napolitano firmò quella porcheria, fece sapere che superava le censure avanzate dalla Consulta nel 2004 bocciando l’altro scudo incostituzionale: il Maccanico-Schifani. In realtà non le superava tutte, ma solo alcune. I turiferari quirinalizi esaltarono la “moral suasion”, cioè la prassi di anticipare il giudizio sulle leggi in via di preparazione o di approvazione, suggerendo come cambiarle per evitare bocciature. Ma di questa prassi non c’è traccia nella Costituzione. Articolo 74:“Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”. Non c’è scritto che la legge dev’essere “manifestamente incostituzionale”. Nè che il presidente possa intervenire prima che la legge diventi tale, cioè venga approvata dal Parlamento (ddl) o dal governo (dl). Altrimenti - come fanno notare diversi costituzionalisti - il presidente diventa coautore della legge e, al momento di promulgarla o respingerla, si ritrova in mano un testo che ha collaborato a scrivere. Il che non rientra fra i suoi poteri. Stessa scena per il decreto Englaro, quando Napolitano spedì una lettera di contrarietà al Consiglio dei ministri mentre questo stava deliberando; e per la legge sulle intercettazioni, quest’estate, quando il ministro Alfano salì al Colle e si sentì preavvertire – raccontò la Repubblica, mai smentita - che il testo così com’era non sarebbe passato. Così la maggioranza rinviò tutto all’autunno. Le buone intenzioni della moral suasion sono fuori discussione: si tenta, come direbbero i pompieri del Corriere, di “evitare lo scontro”. Ma di buone intenzioni è lastricato l’inferno. Soprattutto se, al tavolo della moral suasion, siede un immoral tipetto come Berlusconi. Il quale conosce due sole categorie di interlocutori: i servi e i nemici. E, quando si siede al tavolo, serve regolarmente al suo ospite un piatto di letame fumante, prendere o lasciare. Al massimo, bontà sua, concede di togliere un cucchiaino di letame: il resto va ingurgitato tutto, con la faccia radiosa e i complimenti al cuoco. Chi non mangia diventa un nemico, comunista, golpista, nemico del popolo. Ora si spera che, avendo assaggiato anche lui il menu, il presidente ne prenda atto. E, al prossimo piatto di letame che gli servono, lo respinga al mittente tutto intero, con un bel messaggio motivato alle Camere per spiegare che il Parlamento non è un optional e che lui, quella roba lì, non la digerisce.
Fonte articolo
Per la terza volta in quattro giorni il presidente della Repubblica ha dovuto spiegare pubblicamente la sua condotta. Evidentemente non era ben chiara. E non lo era a causa di un peccato originale che risale all’estate 2008. Il Berlusconi III, appena insediato, infilò nel decreto sicurezza già firmato da Napolitano un emendamento che bloccava 100 mila processi per bloccarne due: quelli in corso a carico del premier e di alcuni suoi complici per gli affari Mills e Mediaset. Il Quirinale – come ha ricordato ieri - avvertì di essere contrario all’emendamento, mentre era favorevole a una legge ordinaria che bloccasse i processi alle alte cariche dello Stato: alle tre che non avevano processi e a quella che ne aveva un bel po’. Nacque così il cosiddetto Lodo Alfano, che non era un lodo e che un imbarazzato Pd lasciò passare senza un nanosecondo di ostruzionismo per non dispiacere al Colle ed evitare che, nel frattempo, il processo Mills-Berlusconi arrivasse a sentenza. Quando poi Napolitano firmò quella porcheria, fece sapere che superava le censure avanzate dalla Consulta nel 2004 bocciando l’altro scudo incostituzionale: il Maccanico-Schifani. In realtà non le superava tutte, ma solo alcune. I turiferari quirinalizi esaltarono la “moral suasion”, cioè la prassi di anticipare il giudizio sulle leggi in via di preparazione o di approvazione, suggerendo come cambiarle per evitare bocciature. Ma di questa prassi non c’è traccia nella Costituzione. Articolo 74:“Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”. Non c’è scritto che la legge dev’essere “manifestamente incostituzionale”. Nè che il presidente possa intervenire prima che la legge diventi tale, cioè venga approvata dal Parlamento (ddl) o dal governo (dl). Altrimenti - come fanno notare diversi costituzionalisti - il presidente diventa coautore della legge e, al momento di promulgarla o respingerla, si ritrova in mano un testo che ha collaborato a scrivere. Il che non rientra fra i suoi poteri. Stessa scena per il decreto Englaro, quando Napolitano spedì una lettera di contrarietà al Consiglio dei ministri mentre questo stava deliberando; e per la legge sulle intercettazioni, quest’estate, quando il ministro Alfano salì al Colle e si sentì preavvertire – raccontò la Repubblica, mai smentita - che il testo così com’era non sarebbe passato. Così la maggioranza rinviò tutto all’autunno. Le buone intenzioni della moral suasion sono fuori discussione: si tenta, come direbbero i pompieri del Corriere, di “evitare lo scontro”. Ma di buone intenzioni è lastricato l’inferno. Soprattutto se, al tavolo della moral suasion, siede un immoral tipetto come Berlusconi. Il quale conosce due sole categorie di interlocutori: i servi e i nemici. E, quando si siede al tavolo, serve regolarmente al suo ospite un piatto di letame fumante, prendere o lasciare. Al massimo, bontà sua, concede di togliere un cucchiaino di letame: il resto va ingurgitato tutto, con la faccia radiosa e i complimenti al cuoco. Chi non mangia diventa un nemico, comunista, golpista, nemico del popolo. Ora si spera che, avendo assaggiato anche lui il menu, il presidente ne prenda atto. E, al prossimo piatto di letame che gli servono, lo respinga al mittente tutto intero, con un bel messaggio motivato alle Camere per spiegare che il Parlamento non è un optional e che lui, quella roba lì, non la digerisce.
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