
Dal 1995-96 gli affamati cronici hanno ripreso ad aumentare in numero assoluto: in precedenza, malgrado il rapido accrescimento demografico, erano scesi dagli 878 milioni del 1969-71 a 825 milioni, grazie soprattutto - sostiene il rapporto – ai maggiori investimenti nell’agricoltura e nelle campagne seguiti alle devastanti carestie dei primi anni ‘70; investimenti che contribuirono all’aumento delle rese. (...)Importante notare che «la fame non è aumentata a causa di raccolti insufficienti ma dei prezzi elevati degli alimenti a livello delle famiglie, dei redditi in diminuzione e della disoccupazione in aumento a causa della crisi economica globale» sostiene il rapporto dell’Onu. Il caos climatico e la crisi delle risorse energetiche, idriche e minerali, insieme alla crescita demografica e alla perdita di fertilità dei suoli potrebbero in futuro trasformare questa scarsità alimentare relativa al reddito in scarsità assoluta. (....)
L’aumento del numero delle persone che soffrono la fame sia durante i periodi di bassi prezzi e relativa prosperità economica che nei periodi di prezzi alti e recessione dimostra, secondo la Fao, che manca una governance globale della sicurezza alimentare. I leader che hanno pompato ingentissime risorse nella crisi finanziaria, lo faranno per combattere fame e povertà? I mezzi tecnici ed economici per farla finita con la povertà ci sono, ma la volontà politica sembra mancare. Eppure il (doveroso) sostegno all’agricoltura, ai produttori di cibo e ai «beni pubblici» nel mondo rurale è una delle chiavi per ridurre la povertà - un fenomeno tuttora prevalentemente rurale - e assicurare il diritto all’alimentazione nei paesi meno avanzati. Con un apparente paradosso, gli investimenti pubblici in agricoltura e nel mondo rurale rispetto al Pil agricolo sono molto più bassi nei paesi prevalentemente
agricoli (il solo 4%). (....)
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Il 97% del totale dei bambini morti prima del loro quinto compleanno, riguarda 68 paesi in via di sviluppo – solo India, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Pakistan e Cina, totalizzano più della metà di queste morti. Il paese con il peggior tasso di mortalità infantile è la Sierra Leone, con 262 bambini morti ogni 1.000 nati, seguita dall’Afghanistan, con 257 su 1.000. In tali paesi, le principali cause di mortalità infantile sono aggravate da condizioni di malnutrizione, povertà endemica, cattive condizioni igieniche, scarsità di acqua potabile, mancato accesso all’istruzione da parte delle madri ed utilizzo limitato della contraccezione. Esistono però anche paesi che negli ultimi anni hanno registrato una notevole crescita economica, ma non sempre essa è stata accompagnata dalla diminuzione dell’indice di mortalità infantile: l’India, che registra un quinto dei decessi di tutto il mondo, ne è un esempio. Questi i dati che emergono dal rapporto “La nuova sfida: dire basta alla mortalità infantile”, presentato oggi da Save the Children in occasione della conferenza stampa di lancio della nuova campagna mondiale dell’Organizzazione, volta a combattere la mortalità infantile. (Save the Children Italia)
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