Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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mercoledì 22 luglio 2009
LA CASA IN BRICIOLE di Paolo Berdini
Cinquecentocinquanta milioni di euro in cinque anni per risolvere l’emergenza abitativa e la crisi economica del settore. E’ quanto ha affermato il presidente del Consiglio dei ministri: con il "piano casa" si darà un’abitazione ai nuclei familiari e giovani coppie a basso reddito, agli anziani in condizioni svantaggiate, agli studenti fuori sede, agli sfrattati, agli immigrati regolari. Un numero impressionante di famiglie troveranno casa con solo 550 milioni! Tanto per dare una dimensione, per la costruzione del palazzo del nuoto di Roma, che doveva rappresentare l’ottava meraviglia del mondo, ne servivano 600. Oltretutto un impianto sportivo che non verrà terminato. Siamo di fronte all’ennesima manovra diversiva per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica.
Ma se cerchiamo nelle motivazioni del provvedimento, troviamo anche un’implicita ammissione del fallimento delle politiche del ventennio liberista. Poche settimane fa, l’Istat ha certificato che dal 1995 al 2006 sono stati costruiti oltre 3 miliardi di metri cubi di cemento. Il 40% di questa mostruosa quantità edilizia è costituita da case: sono state dunque costruite 2 milioni e mezzo di nuove abitazioni, mentre il numero delle famiglie è cresciuto soltanto di poche decine di migliaia. Qualunque governo dotato di un minimo di serietà sarebbe dovuto partire da questa gigantesca contraddizione: un mare di cemento e l’emergenza abitativa per una consistente fetta di popolazione. La risposta sta nelle caratteristiche della fase economica che ha trionfato. Si è costruito per il "mercato" e basta, per i fondi immobiliari internazionali. I finanziamenti per le case popolari sono stati pressoché azzerati, mentre in tutta l’Europa occidentale si è invece continuato a costruire alloggi pubblici. Mancando una cultura di opposizione, anche questo finto piano casa continuerà a mantenere in piedi la commedia degli equivoci che la potente lobby dei costruttori ha saputo costruire in questi anni. Il provvedimento governativo privilegia ancora il cosiddetto hausing sociale, una loro "denominazione d’origine controllata" che originava dall’obiettivo di cancellare l’intervento pubblico per lasciar fare ai privati. Ma sono proprio i dati dell’Istat a dimostrare che questa ipotesi è fallita. L’unico modo per risolvere il problema della casa è declinare oggi un nuovo ruolo dello Stato. E’ la mano pubblica che nei momenti di crisi deve saper indicare una prospettiva di grande respiro. Se le regioni progressiste smettessero di partecipare alla gara al ribasso con la cultura berlusconiana (vedi le brutte leggi del Piemonte, della Campania e del Lazio) e provassero a cimentarsi con questa sfida, potrebbero disegnare un futuro che affidi al recupero del paesaggio e dell’ambiente e alla riqualificazione delle città, i settori su cui fondare uno sviluppo nuovo.
Fonte articolo
Ma se cerchiamo nelle motivazioni del provvedimento, troviamo anche un’implicita ammissione del fallimento delle politiche del ventennio liberista. Poche settimane fa, l’Istat ha certificato che dal 1995 al 2006 sono stati costruiti oltre 3 miliardi di metri cubi di cemento. Il 40% di questa mostruosa quantità edilizia è costituita da case: sono state dunque costruite 2 milioni e mezzo di nuove abitazioni, mentre il numero delle famiglie è cresciuto soltanto di poche decine di migliaia. Qualunque governo dotato di un minimo di serietà sarebbe dovuto partire da questa gigantesca contraddizione: un mare di cemento e l’emergenza abitativa per una consistente fetta di popolazione. La risposta sta nelle caratteristiche della fase economica che ha trionfato. Si è costruito per il "mercato" e basta, per i fondi immobiliari internazionali. I finanziamenti per le case popolari sono stati pressoché azzerati, mentre in tutta l’Europa occidentale si è invece continuato a costruire alloggi pubblici. Mancando una cultura di opposizione, anche questo finto piano casa continuerà a mantenere in piedi la commedia degli equivoci che la potente lobby dei costruttori ha saputo costruire in questi anni. Il provvedimento governativo privilegia ancora il cosiddetto hausing sociale, una loro "denominazione d’origine controllata" che originava dall’obiettivo di cancellare l’intervento pubblico per lasciar fare ai privati. Ma sono proprio i dati dell’Istat a dimostrare che questa ipotesi è fallita. L’unico modo per risolvere il problema della casa è declinare oggi un nuovo ruolo dello Stato. E’ la mano pubblica che nei momenti di crisi deve saper indicare una prospettiva di grande respiro. Se le regioni progressiste smettessero di partecipare alla gara al ribasso con la cultura berlusconiana (vedi le brutte leggi del Piemonte, della Campania e del Lazio) e provassero a cimentarsi con questa sfida, potrebbero disegnare un futuro che affidi al recupero del paesaggio e dell’ambiente e alla riqualificazione delle città, i settori su cui fondare uno sviluppo nuovo.
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