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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 30 giugno 2009

Storie di vita vissuta: '1956' di Agi Berta.

I miei primi ricordi risalgono al periodo della rivoluzione del ’56. Forse qualche impronta registrata da me, bimba poco più che tre enne, è stata successivamente ampliata, ricostruita dai racconti degli altri, dei grandi…di sicuro ricordo d’aver giocato spesso alla guerra in quei giorni. Non avevo dei soldatini, queste cose non si regalavano alle femminucce, i pezzi dei scacchi del nonno formavano il mio esercito. I bianchi erano gli ungheresi, i neri le truppe dell’ONU. Ricordo molto bene questo particolare: combattevo contro le truppe dell’ ONU, che in ungherese ha un suono vagamente sinistro….specie per una bambina che non sapeva niente dei ruoli in campo, che sentiva però i notiziari alla radio dove ogni ora lo speaker annunciava: resistete, le truppe dell’ONU stanno alle frontiere….
In quei giorni l’asilo era chiuso o forse i nonni non volevano che io ci andassi, perciò la sera potevo far anche tardi. Del resto, sarebbe stato difficile dormire, la vecchia radio gracchiante era eternamente accesa, sintonizzata sui canali della BBC o sulla Voce d’America. Le trasmissioni erano disturbate, bisognava alzare molto il volume per poter captare qualche frase completa. Nonno era letteralmente incollato alla radio e ad ogni riferimento ad un eventuale intervento dell’ONU scuoteva la testa mormorando:
- Vigliacchi! America non è mai intervenuto per salvare nessuno! Perché promettono? Cosi manderanno al macello i nostri ragazzini…che si lasceranno uccidere. Folli! Eroi suicidi!
Non è che capissi molto chi fossero i vigliacchi e chi gli eroi, nel mio piccolo qualsiasi esercito che minacciava di entrare nel mio paese era nemico e io cercavo di impedire il macello: l’estremità del tappeto costituiva la frontiera dove le eroiche figure bianche cercavano di fermare l’invasore nero….
Era tardi quel giorno, stavo sotto il tavolo, immersa nel gioco, quando bussarono alla porta. I due vecchi scambiarono uno sguardo preoccupato, un visitatore cosi a tarda ora li riempiva di angoscia. Nonna mi prese in braccio e mi strinse forte:
- Spegni prima la radio, magari qualcuno aveva sentito che ascolti le stazioni vietate! – disse al nonno.
Tirarono un respiro di sollevo, quando videro mia zia alla porta. Io ero strafelice: adoravo questa zia, allegra, giovane e bella. Viveva a Budapest e solo raramente ci faceva visita, ma le sue permanenze erano sempre festa per me, troppo abituata a vivere con due vecchietti.
In genere vestiva abiti bellissimi: allegre gonne a ruota, fresche camicette, cinture colorate stringevano la vita sottile questa volta invece portava pantaloni, scarponi che sembravano da uomo, sulla spalla un verde zaino militare. Dietro a lei, c’era un giovane uomo, anche lui con lo zaino e in più, aveva con se un grosso pacco di cartone legato con lo spago.
- Ho poco tempo, tra un paio di ore dobbiamo ripartire. Un camion ci porterà fino al confine poi da li dobbiamo proseguire a piedi….Ma volevo salutarvi prima, volevo dare un bacio a Agi e darle questo... – fa un cenno all’uomo che mi porge il pacco, ma poi ripensa un po’ prende un coltello dalla tasca e recide lo spago.
Io non osai toccare niente, guardai la zia, che però come se non cogliesse il mio sguardo, continuava a parlare con i nonni:
- Lui è Gabor, ci sposeremo, quando saremo in Austria, è uscito tre giorni fa dalla galera….veramente sono usciti tutti: i politici ma anche i delinquenti. A Budapest sta succedendo un macello, non si capisce niente…Noi ce ne andiamo…
- Non posso legarti al piede del tavolo, hai sempre fatto quello che volevi, però sai come lo penso: la tua patria è qui. Nel bene e nel male.
A quel punto intervenni:
- Ma si, nonno, lega la zia al piede del tavolo, cosi possiamo giocare sempre insieme.
Tutti risero, però è stata una risata triste. La zia però finalmente si ricordò di me:
- Dai Agi, apri il pacco, è per te! – e rivolgendosi ai nonni, aggiunse – Abbiamo venduto tutto per pagare il passaggio, gli zaini e poche altre cose ancora e con i soldi rimasti abbiamo comprato un regalo per la bambina…tanto, al di della frontiera i soldi ungheresi non ci serviranno più….
Dal pacco usci la più bella camera delle bambole che io potei immaginare. Mobili di legno, laccati di verde e decorati con piccoli fiorellini dipinti di rosso: un armadio, un comò in linea con tutto il resto, un letto con due cuscini e un piccolo piumone, lo specchio e c’erano persino due comodini. Non mi sembrava vero una meraviglia del genere. Rimasi lì imbambolata a lisciare le lenzuoline ricamate e ripetevo, forse solo dentro di me stessa: Zia, ti voglio bene, ti voglio tanto bene. E poi corsi da lei e affondai il viso sui suoi pantaloni ruvidi.
Dopo un po‘ di silenzio commosso, fu la nonna a riprendersi per primo:
- Avete fame? Ho ancora un po’ di zuppa rimasta dalla cena e c’è del prosciutto, ma in due ore posso farvi un pollo arrosto, può tornarvi utile…Tu, - rivolse al nonno - vai a prendere una gallina dal pollaio…
- No, grazie, la zuppa va bene…magari un po’ di prosciutto ce lo portiamo, il camion può arrivare anche prima.
Quella sera non volli andare a letto. Rimasi in braccio della zia….
Quando la mattina dopo mi svegliai, loro non c’erano più. Nonna aveva gli occhi gonfi da lacrime e anche nonno era più silenzioso del solito.
Non osai chiedere niente, come se temessi delle loro risposte ma i mobili per le bambole stavano li, nel mio angolo di giochi….dunque non sognai tutto. Aspettai che fossero loro a spiegarmi cosa stava succedendo.
- La zia è partita per un lungo viaggio.
- Ma tornerà?
- Oh certo che tornerà…. Ma prima ancora dobbiamo sapere se è arrivata sana salva in Austria.
Nonno mise tre sedie vicino alla radio:
- Dobbiamo ascoltare il notiziario con attenzione, la zia ci manderà un messaggio.
Siamo stati due giorni ad ascoltare centinai, forse migliaia di messaggi cifrati, con i quali i profughi cercavano di avvertire i familiari dall’altra parte del cortile di ferro. Finalmente sentimmo la frase concordata, letta dalla voce di uno speaker:
- Agi, fa freddo, copri bene con il piumino la tua bambola.
Il messaggio è stato ripetuto tre volte in orari diversi.

E poi…diversi mesi dopo, quasi a primavera inoltrata, arrivò la prima cartolina della zia da Toronto.
Rividi mia zia nel 1968. Ma quella è un’altra storia….

2 commenti:

  1. bel racconto, Agi, come tutte le narrazioni che sanno di verità..Sullo sfondo sembra di vedere Anna Frank. Ti abbraccio
    adriana

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  2. MI piacciono molto, Agi, le tue storie di vita vissuta. Grazie.

    Grazie anche a te Adriana per essere presente nel mio blog con i tuoi commenti sempre attenti.

    Un bacio ad entrambe.

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