
La regigione non conta, Il Sudan per decenni ha vissuto una guerra civile tra il Nord (musulmano, di etnia araba) e il Sud del paese (cristiano, di etnia Dinka), nulla di più classico nella storia africana di paesi disegnati a matita secondo gli interessi dei grandi Stati europei. Ma dal 2003, in sordina e lontano dalle telecamere, gruppi di guerriglieri Janjaweed (letteralmente “demoni a cavallo“) hanno iniziato a bruciare interi villaggi nella zona occidentale del Darfur, che condivide con il “cuore politico” del Sudan, sia l’origine tribale che la religione. Un conflitto quindi atipico, difficilmente collocabile nei soliti schemi con cui la diplomazia internazionale legge i conflitti africani.
“CI DICEVANO DI NON LASCIARE VIVO NESSUNO” - E’ questo uno dei passaggi chiave di una confessione di un militare sudanese, intervistato dalla BBC. ”Devi stuprarla, altrimenti sarai picchiato“, racconta il soldato che poi riuscì a uscire da quell’inferno procurandosi delle ferite. “Se non facevi come ti ordinavano di fare, se ti rifiutavi di uccidere i bambini, ti avrebbero ucciso a tua volta“. Testimonianza dopo testimonianza insomma si aprivano degli squarci su un conflitto sanguinoso e terribile, e la questione arrivò alle Nazioni Unite. Stefano Marucci, Giornalettismo, continua a leggere
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