
1) “la possibilità di scegliere chi va a Palazzo Chigi” (forse non sa che il premier lo sceglie il capo dello Stato, non gli elettori, visto che siamo e restiamo una Repubblica parlamentare);
2) “un nuovo modo di guardare l'economia” (poche ore dopo ha provveduto Standard & Poor's a guardare la nostra economia in un nuovo modo: declassandola);
3) “un nuovo linguaggio della politica”. E almeno questo è vero. Un tempo, per quanto malavitosi, i politici italiani si sforzavano di parlare una lingua diversa da quella della malavita. Ora i linguaggi coincidono, e Ferrara modestamente è all'avanguardia. Commentando l'indagine di “questi ragazzotti in cerca di protagonismo” (i pm di Napoli) sul ricatto a B. di Lavitola & Tarantini ha dichiarato: “Che c'entra col ricatto il fatto che degli amici sono un po’ insistenti e alla fine ti spillano dei quattrini? Io li proteggo, embè? È un ricatto questo? No, è protezione di un amico. Io sono molto ricco e generoso, gli ho dato dei soldi. È reato questo?”. Provate ora a rileggere queste parole con un lieve accento siciliano, meglio se con inflessione corleonese: “Minchia, signor commerciante, scusasse se sono tanticchia insistente, ma vossia è motto ricco, c'ha i piccioli pure int'u culu e abbiamo saputo puro che c'ha delle bedde criaturi che vanno alla scola in cima alla strata, ma bisogna starci attenti a ‘sti picciriddi, quacchiduno potrebbe facci del male, e noi li vogliamo sempre in salute, infatti siamo qui a offrirci la protezione, che costa puro poco... E me lo chiama pizzu chistu? Ma quali pizzu, quali riato! Chista protezione è! Generosità è! Ci siamo capiti, ah? Che facciamo, ripassamo domani?”. Basta tradurre in corleonese le ultime esternazioni del premier e dei suoi turiferari per coglierne il senso profondo. “Valter, rimani all'estero”. “Te l'avevo detto che ci intercettavano”. “Non vado a testimoniare per non darla vinta ai pm”. “I magistrati hanno ridotto in miseria Tarantini”. “L'indagine deve passare a Roma”. E anche la chicca di Ferrara sui pm “ragazzotti”. Viene in mente il giudice Rosario Livatino che, appena osò indagare su mafia, politica e massoneria nell'Agrigentino, fu subito insultato dal presidente Cossiga: “Possiamo continuare con questo tabù, che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno?”. La mafia risolse il problema ammazzando il giudice ragazzino il 21 settembre 1990. Trentun anni a oggi. Ferrara, commosso, l'ha voluto commemorare da par suo.
fonte articolo 'Il fatto Quotidiano'
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